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Per quasi dieci giorni abbiamo letto giornali e sentito televisioni parlare di mercati finanziari che brindavano al rialzo dei tassi di interesse deciso della FED. Di conferme della ripresa e di ritorno alla normalità della politica monetaria. Se ne è parlato praticamente fino a Natale. Poi tutti hanno smesso di occuparsene, attratti dalla tavola e dal cenone.

Forse il giorno di natale, tra una coscia di pollo e una fetta di panettone, ero solo io a chiedermi ancora cosa diavolo avranno mai da festeggiare i mercati. Quando mai i mercati finanziari hanno festeggiato una prospettiva di rialzo dei tassi di interesse?

Quando i tassi devono salire la borsa scende. Punto. Ora saranno pure inadeguate le mie vecchie regole del pollice, superficiale la mia analisi, posso pure concedere che il mio punto di vista è viziato da un carattere incupito all'idea dei festeggiamenti ostentati nelle ricorrenze natalizie. Però per mesi pure voi, come me, avete sentito paventare il probabile crollo dei mercati nell'ipotesi di un cambio di direzione chiaro e inequivocabile della politica monetaria americana.

Sono molti a ritenere che, sulle vette raggiunte negli ultimi quattro anni, le quotazioni possono sopravvivere solo finché ci sarà ossigeno dentro il respiratore del QE, e io sono tra quelli che la pensano così. E adesso i mercati che fanno? Si mettono a festeggiare un rialzo dei tassi? I mercati hanno memoria di elefante, piede di lepre, ma non hanno cuor di leone. E solo l'idea che quell'ossigeno un giorno potrà scarseggiare è in grado di scatenare subito una crisi di panico.

Insomma, la spiegazione offerta dal volgo mediatico, come al solito, non mi soddisfa. Non mi convince l'idea che i mercati si mettano a festeggiare la prospettiva di aumento dei tassi di interesse. Quello che ho notato io, invece, è che nelle due settimane precedenti la decisione della FED le quotazioni sono continuamente scese, dal massimo relativo registrato il 30 novembre al minimo registrato in corrispondenza del 14 dicembre, scontando l'aspettativa di un rialzo dei tassi praticamente certo, ma probabilmente sovrastimato. Del resto, in passato (quando la politica monetaria esisteva ancora ed era degna di questo nome) le variazioni dei tassi di riferimento procedevano per scatti minimi di 50 punti base. Invece stavolta il rialzo è stato solo di 25 punti base. Si è trattato solo di una overshooting, dunque. E i mercati si sono affrettati a recuperare terreno subito dopo avere preso consapevolezza di essere stati troppo pessimisti sulle intenzioni della FED.

Viste così, le cose mi sono più chiare. Il balzo delle quotazioni registrato all'indomani della decisione del Federal Open Market Committee non è un festeggiamento. È solo l'ennesimo, grosso sospiro di sollievo, tirato dopo avere appreso dalle dichiarazioni della Yellen che la FED resterà accomodante ancora per lungo tempo. E che futuri rialzi saranno molto, ma molto graduali.

Dov'è allora il ritorno alla normalità della politica monetaria? Semplice: non c'è. Le quotazioni dei mercati finanziari ora stanno nella stessa situazione di prima. Come un arrampicatore “incrodato”, che non vorrebbe più salire oltre, ma nemmeno riesce a scendere dalla parete dove, temerario, si è avventurato. Se solo ci prova cade giù. Stare calmo e aspettare l'arrivo dell'elicottero che lo salverà è la sola cosa che può fare. La banca centrale potrebbe dunque salvare i mercati come si fa con un alpinista incrodato? Con l'elicottero? Ne dubito. La banca centrale americana l'elicottero l'ha sempre usato per lanciare le banconote dal cielo. I salvataggi di emergenza, invece, non le riescono altrettanto bene. Può solo suggerire ai mercati calma e pazienza. In attesa di che cosa, però, non è ben chiaro.

Sotto questo profilo, allora, che senso ha un pericoloso rialzo dei tassi di interesse, visto e considerato che l'andamento dell'economia reale non giustifica un vero cambiamento di verso della politica monetaria? È una mossa che si giustifica solo in un'ottica di pura e semplice comunicazione politico-mediatica: alimentare l'illusione della crescita. Perché il volgo mediatico traduce all'opinione pubblica che l'aumento dei tassi di interesse della FED è la conferma che la ripresa c'è, anche se in realtà la ripresa non c'è.

Dovremmo prendere atto dei termini surreali a cui si è ridotto il rapporto tra la politica monetaria e l'economia. La FED dialoga a colpi di annunci, da un lato con i mercati finanziari, dall'altro lato con l'economia reale, mentendo a entrambi. La banca centrale fa quello che un tempo (ma non solo) faceva il vecchio politico marpione, soprattutto di specie democristiana: diceva a tutti quello che tutti volevano sentirsi dire, e teneva per sé la verità. È proprio vero che il cerchiobottismo è lungi dal passare di moda.