Renzi ha sfruttato la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della perequazione delle pensioni, nonché i margini strettissimi (rectius, inesistenti) concessi da Bruxelles per darvi attuazione al di fuori degli equilibri previsti da DEF, per prendere i più classici due piccioni con una fava.

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Da una parte, replicando lo schema degli ottanta euro, ha annunciato l'ennesima elargizione a data certa a una platea decisamente ampia di pensionati, che riceveranno in media cinquecento euro ad agosto. Dall'altra, con questa pirotecnica una tantum, ha di fatto rigettato la sentenza della Corte, minimizzandone il possibile impatto finanziario e scegliendo dunque una impostazione più rigorista di quelle che erano fino ad oggi circolate.

Con due miliardi - che non sono pochi, ma non sono niente rispetto a dove si rischiava di arrivare - si chiude la pratica aperta dalla pronuncia della Consulta. E lo si fa prima del voto regionale, per sfuggire l'accusa di viltà e per lanciare gli ultimi quindici giorni di campagna elettorale all'insegna di un nuovo e concretissimo bonus Renzi.

Rispetto all'ipotesi prospettata dal premier si potrà discettare di limiti e incongruenze tecniche, a partire da una regressività analoga a quella degli ottanta euro e dall'estensione del beneficio a pensioni tutt'altro che medio-basse, considerando anche il sussidio fiscale implicito nel meccanismo retributivo.

Rimane però il dato di fondo, quello del disconoscimento del "diritto acquisito" alla perequazione e della difesa del principio di realtà, in un paese in cui le questioni di costituzionalità in materia di prestazioni sociali sembrano indipendenti da ogni considerazione di sostenibilità finanziaria e la Corte pare essere inconsapevole o disinteressata della ricaduta contabile delle sue pronunce, che in quest'ultimo caso forse non era neppure stata quantificata.

Se si considera che le opposizioni - tutte, senza alcuna eccezione - erano e rimangono schierate a difesa del principio "le sentenze si rispettano", cioè "date tutto a tutti", la posizione di Renzi, per opportunistica, furba o demagogica che la si voglia considerare quanto ai tempi e ai modi, nella sostanza rimane un argine (speriamo solido) alla follia dei diritti a prescindere e del populismo previdenziale.

Se poi dalle parti del PD si evitasse di scaricare sul governo Monti e sulla Fornero la responsabilità di tutto questo casino - come se alle scelte di allora qualcuno avesse mai prospettato praticabili alternative - sarebbe meglio. Non solo per ragioni di onestà intellettuale, ma anche di opportunità, visto che, se la legge Fornero è "sbagliata", allora toccherebbe correggerla, e correggerla costerebbe ben più di due miliardi una tantum. E a quella porta, da dentro il PD, presto anche gli "amici" di Renzi torneranno a bussare.

@carmelopalma