Il PD è il partito di chi ce l'ha fatta. Chi rappresenta tutti gli altri?
Istituzioni ed economia
In questi giorni sono stati pubblicati alcuni interessanti sondaggi sulla scomposizione delle intenzioni di voto per fasce di età ed occupazione. E' significativo, in particolare, il profilo del Partito Democratico. Il partito del premier è accreditato globalmente del 35,4% dei consensi, percentuale che, però, sale fino al 45,1% tra gli elettori che hanno più di 60 anni ed al 47,5% tra i pensionati.
Il PD si difende bene anche nella fascia 45-59 anni e nelle categorie degli impiegati pubblici e privati ma anche dei dirigenti e degli imprenditori. All'opposto Renzi convince solo il 27% di coloro che si trovano nella fascia 30-44 anni, il 28% dei disoccupati ed appena un 15% degli operai.
Osservando questi dati appare abbastanza evidente come l'attuale partito di maggioranza relativa rappresenti principalmente quelle fasce del paese che hanno conseguito una certa stabilità economica. Chi ha uno stipendio fisso, come i dipendenti pubblici ed i privati a tempo indeterminato, chi percepisce una pensione (quasi sempre calcolata con il retributivo) oppure è anagraficamente abbastanza vicino al traguardo e chi, nel mercato del lavoro, ricopre posizioni di élite. Contrariamente a tanti luoghi comuni, quindi, la sinistra non è la voce politica delle "fasce deboli", ma al contrario il voto a sinistra è sostanzialmente il voto di chi "ormai ce l'ha fatta".
E' interessante notare, come, le cosiddette "fasce deboli" non siano rappresentate nemmeno dalla sinistra "dura", a sinistra del PD. SEL raccoglie un mediocre 4,5% tra gli operai, appena un 3% tra i disoccupati, mentre risulta al 6,5% tra i dipendenti pubblici ed al 6,7% tra gli studenti, cioè tra quei giovani che non hanno ancora provato il mondo del lavoro.
Ma allora chi rappresenta veramente i "non garantiti", gli operai, i disoccupati, gli under 40? Se i sondaggi dicono il vero, la risposta sembra chiara. Quell'Italia è rappresentata da Beppe Grillo e da Matteo Salvini. Tra gli operai il Movimento 5 Stelle è al 34,5% e la Lega Nord ad uno stratosferico 23,0%. Tra i disoccupati i grillini sono al 27% ed i leghisti al 15% e questi stessi due partiti vanno a gonfie vele anche tra autonomi ed artigiani, cioè presso quelle categorie esposte alla crisi senza paracadute.
Perfettamente in linea risultano anche i dati dei sondaggi per fasce di età. Sia il Movimento 5 Stelle che la Lega hanno infatti il loro picco tra gli elettori dai 30 ai 44 anni, in altre parole tra coloro che in modo più diretto si confrontano con la situazione drammatica del mercato del lavoro italiano. Tra gli under 30 il dato è meno netto, perché buona parte di coloro che si trovano in questa fascia sono ancora "schermati" dall'università.
La conclusione che si può trarre da tutte queste tendenze è che in questa fase il bipolarismo sociale tra garantiti e non garantiti, tra "insider" e "outsider" si traspone sul piano elettorale nel bipolarismo tra politica ed antipolitica. C'è un'Italia che ancora se la cava, che tutto sommato è stata appena sfiorata dalla crisi e che sente di avere molto più da perdere che da guadagnare da "movimenti bruschi". Questa Italia oggi sta votando in larga maggioranza per Renzi e per il Partito Democratico. Il PD non sembra incontrare alcuna reale concorrenza nella rappresentanza di questa parte del paese. Con l'implosione di Scelta Civica, la riduzione ai minimi termini dell'area Casini-Alfano e la patetica consunzione di Forza Italia, ormai il PD è rimasto l'unico vero partito "mainstream", l'unica opzione politica "tranquilla" a disposizione del nostro elettorato.
L'altra Italia, l'Italia dei non garantiti premia invece l'antipolitica ed i due partiti che più di tutti la incarnano, cioè il M5S e la Lega. Il voto a Grillo ed a Salvini appare soprattutto un grido di allarme dei cittadini che, prima ancora di avere chiara l'effettiva direzione verso la quale si vuole andare, sanno di non potersi permettere che le cose continuino ad andare avanti così. La risposta verso cui ci si indirizza evidenzia, ovviamente, una lettura completamente sbagliata delle dinamiche economiche e delle ragioni della profonda crisi che sta vivendo il nostro paese. Se le aziende falliscono e se i giovani non trovano lavoro non è colpa degli immigrati, né dell'austerity, non è colpa della Merkel, né delle scie chimiche – e però la situazione di diffuso disagio che viene intercettato dai grillini e dal Carroccio merita più rispetto e più attenzione di quanto gliene sia stata attribuita fino a questo momento.
Alcune riflessioni si impongono, in specie per chi crede nelle idee di libero mercato. Innanzitutto la composizione sociale ed anagrafica del voto al PD dovrebbe bastare a raffreddare le speranze di coloro che vedono nel governo Renzi un potenziale in senso riformatore e liberale. Il mandato che viene conferito a Matteo Renzi dal suo elettorato nei fatti non è quello di introdurre innovazioni che modifichino in modo sostanziale gli equilibri sociali e generazionali, bensì più prosaicamente quello di gestire il declino dell'Italia in maniera non troppo accidentata.
In secondo luogo, il successo della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle nel rispondere, a modo loro, all'Italia dei "senza rete" è la fotografia del fallimento più totale del liberalismo italiano. Quella parte del paese che è esclusa dal gioco delle rendite doveva essere la "constituency" liberale naturale, quella che più agevolmente poteva comprendere le ragioni della società aperta e dell'economia libera. Essa pare schierata invece, quasi in toto, a sostegno di posizioni di populismo anti-mercato.
Nell'attuale contesto i liberali hanno sostanzialmente di fronte due possibili scelte. Rassegnarsi alla "conservazione sociale" come massimo esito politico nell'attuale scenario o provare a contendere alle forze populiste la rappresentanza elettorale delle aree del paese - in prospettiva sempre più consistenti - che rimangono ai margini del "sistema protetto".