Elezioni nel Regno Unito, tutto è ancora possibile
Istituzioni ed economia
Due partiti più di altri stanno emergendo come aghi della bilancia nelle combattutissime elezioni generali del Regno Unito, che si terranno il prossimo 7 maggio. In molti rimarranno sorpresi sapendo che, molto probabilmente, tra questi due non ci sarà l'UKIP di Nigel Farage. Il sistema elettorale britannico, un maggioritario uninominale basato su piccoli collegi, penalizza infatti i nazionalisti anti-UE, che, anche a fronte di buone percentuali (in calo dalle europee, a dire il vero), porterebbero a casa solo 4 seggi, almeno secondo le proiezioni.
Nonostante il clima di campagna elettorale permanente di Farage, i viola sono scesi dal 26% dello scorso maggio, quando andarono a Bruxelles in qualità di primo partito del Regno, all'attuale forbice tra il 12 e il 18%. Alcuni sondaggi metterebbero addirittura in dubbio l'elezione dello stesso Farage, candidato nel collegio di South Thanet.
L'uninominale porta invece grande fortuna ai Liberaldemocratici di Nick Clegg, che nonostante un probabile 8% porterebbero a casa una dozzina di deputati a Westminster, dato il loro radicamento territoriale. Non ci saranno, tuttavia, molte chance di rivedere un Governo di coalizione come quello di quest'ultimo quinquennio con i Conservatori, che stanno combattendo un serratissimo testa a testa con i Laburisti. Entrambi i partiti sono intorno al 34%, nonostante il vantaggio di oltre il 10% che i socialisti avevano pochi mesi fa: segno che il bipolarismo-quasi-bipartitico tipico del Regno Unito sta piano piano cambiando, con la crisi dei partiti tradizionali (elemento comune a tutta Europa) e la crescita di forze alternative, in particolar modo autonomiste o critiche verso il sistema dominante.
Una crescita che nell'isola britannica coinvolge soprattutto lo Scottish National Party. I nazionalisti scozzesi, nati nel 1934, hanno ottenuto il loro primo seggio a Westminster nel 1967; nelle elezioni del 2007, con Alex Salmond alla guida, hanno conquistato la maggioranza al Parlamento Scozzese. Ma l'apice del partito è stato ottenere e quasi vincere il referendum sull'indipendenza della nazione il 18 settembre 2014: i "sì" ottennero il 45% dei voti, contro il 55% del "no" unionista.
In seguito all'amara sconfitta Salmond ha lasciato la guida del partito al Primo Ministro, Nicola Sturgeon. L'avvocatessa di Glasgow, classe 1970, sta facendo il pieno di consensi, tanto che dopo il dibattito televisivo con gli altri leader trasmesso su ITV molti inglesi hanno chiesto di poter votare lo SNP, che si candida solo nei collegi scozzesi. Sebbene il partito abbia come primo punto programmatico l'indipendenza della Scozia, e sebbene fino agli anni '70 non abbia avuto un'ideologia ben definita, col tempo è andato a inserirsi - come molti altri partiti indipendentisti, dai catalani ai baschi ai repubblicani nordirlandesi - nel solco del centrosinistra. I due deputati eletti dal partito alle elezioni europee siedono con i colleghi separatisti spagnoli e il membro gallese nel gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo.
Proprio il posizionamento a sinistra dell'SNP è una delle chiavi del suo successo; un'altra è la forte spinta sull'orgoglio patrio che in Scozia è particolarmente marcato. I laburisti sono in difficoltà, in in parte per il successo dell'economia galoppante del Governo Cameron, ma soprattutto per la totale inadeguatezza di Ed Miliband.
È qui che si inserisce la Sturgeon: se da un lato annuncia un possibile appoggio esterno ad un eventuale governo laburista – il tutto con un po' di ambiguità da ambo le parti - dall'altro è stata "pizzicata" a gennaio a dichiarare all'ambasciatore francese che preferirebbe un ritorno di Cameron, in quanto "Mili" non sarebbe "fit for the job". Come se non bastasse, gli scozzesi si coccolano i Laburisti in chiave governativa, ma nella campagna elettorale non hanno lesinato di bastonarli per bene, soprattutto nel leaders debate, di cui la Sturgeon è considerata da tutti la vincitrice assoluta.
Se infatti un appoggio esterno al Labour potrebbe portare a passi da gigante verso il processo di devolution dei poteri promesso da Cameron in seguito al referendum, allo stesso tempo il nemico numero uno da battere in Scozia sono proprio i Laburisti, che al nord hanno sempre fatto incetta di voti, con i Conservatori più radicati al centro e al sud. Secondo i dati di Yougov, ad oggi gli scozzesi riuscirebbero a occupare ben 46 seggi a Westminster, confermandosi come terzo partito.
Resta da vedere se la combinazione Labour-SNP sia l'unica possibile. Tra questo scenario di governo ed una replica del quinquennato Lib-Con ballano una decina di seggi, ma la campagna elettorale è ancora molto tesa e tutto è ancora aperto.
I due grandi partiti stanno entrambi giocando il gioco delle promesse: Cameron dice di voler bloccare per 5 anni i prezzi dei biglietti ferroviari, nonché, in nome della big society, garantire a chi si impegna nel volontariato tre giorni al mese pagati per aiutare il prossimo, mentre Miliband promette di tassare i ricchi, abbassare le tasse universitarie e, per farla breve, aumentare la spesa.
Proprio lo spauracchio della spesa, della crisi e del fallimento del precedente governo di Gordon Brown che quasi portò il paese alla bancarotta, d'altra parte, è il cavallo di battaglia di Cameron, il quale ha al proprio attivo una crescita da record in Europa e, in tema di occupazione, può snocciolare numeri che dalle nostre parti si vedono solo con il binocolo.
Anche i collaboratori possono fare la differenza: se infatti l'attuale Primo Ministro può contare sull'aiuto del frizzante Sindaco di Londra Boris Johnson, sul ferreo Ministro degli Interni Theresa May e soprattutto sull'artefice del successo economico George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere uscente, Miliband è messo un po' peggio: ha ottenuto un timido endorsement da Tony Blair, la disgraziata approvazione di Gordon Brown e si tiene stretto un vecchio arnese come Ed Balls, socialistone tutto spesa e sindacati, autore del famoso pizzino "we have no more money" durante la crisi dell'ultimo governo laburista.
Manca poco meno di un mese alla fine delle elezioni nel Regno Unito, ed è ancora tutto aperto, il che le rende le più interessanti dell'anno in Europa.