Si va rafforzando la persuasione che la scienza sia il possibile schermo di un sistema di potere economico occulto. La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti-capitalista. La ‘cultura del sospetto’ non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea.

Palma scontri

Sarebbe meglio che la crescente diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti della scienza – in particolare, ma non solo, sui temi della salute - riflettesse semplicemente un pregiudizio ingenuo o ignorante.

Però, partendo proprio dai fervorini antivax di Beppe Grillo, disponibili in rete e finiti recentemente al centro di una polemica internazionale dopo la denuncia del New York Times, appare abbastanza chiaro che al fondo di questa diffidenza non c’è solo scarsa consapevolezza del metodo sperimentale, ma innanzitutto sfiducia in una scienza considerata asservita agli interessi economici dell’industria farmaceutica.

Anche a proposito degli OGM, per fare un altro esempio, la pregiudiziale contrarietà al loro utilizzo non dipende solo dall’idea che alterino l’identità biologica dei prodotti e dell’ambiente naturale, ma dalla convinzione che concentrino in capo a poche grandi multinazionali un enorme potere politico ed economico, che è in grado di condizionare la comunità scientifica. I vaccini finiscono nel mirino, insomma, non in quanto farmaci, ma in primo luogo in quanto merci prodotte e vendute in un sistema di mercato, e analogamente può dirsi, in tutt’altro campo, anche delle sementi e delle colture OGM; gli scienziati, per parte loro, finiscono sul banco degli imputati perché accusati di legittimare con verità di comodo un disegno di sfruttamento economico. Insomma, la verità scientifica è messa in discussione perché sospettabile, visti gli interessi in gioco, di essere un prodotto manipolato: lo schermo, apparentemente neutrale, di un sistema di potere occulto.

La diffusione del pregiudizio antiscientifico è a misura di quella del risorgente pregiudizio anti-capitalista: la possibilità di ristabilire una relazione di fiducia tra comunità scientifica e opinione pubblica passa dalla capacità di ripristinare la fiducia in un rapporto trasparente e non puramente speculativo tra scienza e mercato. Si tratta di una battaglia essenzialmente politica, non pedagogica, perché chi esclude che il libero mercato sia un ambiente propizio per favorire progressi scientifici di straordinaria utilità sociale e che, al suo interno, la comunità scientifica possa conservare una sostanziale indipendenza non mette in discussione i modelli della scienza galileiana, ma il modello di organizzazione economica della società contemporanea.

È ovviamente auspicabile un miglioramento del grado di alfabetizzazione scientifica della popolazione. Cittadini più consapevoli e informati sono certo meno sensibili alle malie dell’anti-medicina e alle truffe dei guaritori, più capaci di elaborare aspettative realistiche e di orientarsi nell’enorme quantità di informazioni e di “promesse”, da cui sono quotidianamente bombardati. In ogni caso, però, nessun cittadino, per quanto alfabetizzato, a meno che non sia dotato di competenze straordinariamente specialistiche, sarà mai in grado di verificare personalmente la fondatezza di un’ipotesi, la validità di una sperimentazione, l’efficacia (o la non nocività) di un farmaco.

L’opinione pubblica “crede” o “non crede” alla comunità scientifica come atto di fiducia o di sfiducia. Può essere persuasa a fondare la propria fiducia razionalmente, partendo da dati di evidenza. Ma anche ciò presuppone, più che una generica fiducia nella scienza, un certo grado di fiducia nella terzietà delle autorità che garantiscono la validità di questi dati. In ogni caso, accettare una cura o un farmaco non significa, per la quasi totalità dei cittadini, capirne fino in fondo i meccanismi di funzionamento, ma credere nell’indipendenza della comunità scientifica come fondamento dell’accettabilità dei suoi responsi. L’idea che ci facciamo delle verità scientifiche è, insomma, quella che abbiamo di chi le proclama e di chi le certifica.

Per assicurare la trasparenza di un sistema di ricerca dipendente dai quattrini dell’industria della salute si può fare tutto, fuorché pensare di eliminare il potenziale conflitto d’interesse che è strutturalmente connesso al legame tra impresa scientifica e impresa economica. Sostenere che l’unica vera garanzia di indipendenza sarebbe rappresentata dall’assenza di ogni contiguità tra il mondo della scienza e quello del business (o del “potere”) non significa rimpiangere un mondo che non c’è più, ma vagheggiare ingenuamente o evocare furbescamente un mondo che non è mai esistito. Quello che può essere fatto è istituire un sistema di controlli che minimizzi la possibilità che i risultati della ricerca siano manipolati per interessi economici e soprattutto – e qui si torna al tema della fiducia – imparare a comunicarne meccanismi e funzioni all’opinione pubblica.

È interessante notare che per far questo occorre però aderire disciplinatamente ai canoni del metodo scientifico, mentre per presupporre l’intrinseca sospettabilità di qualunque verità scientifica è sufficiente ricorrere a una grossolana retorica cospirazionista. Il rovescio della medaglia è rappresentato dal fatto che i teorici del sospetto hanno tanta facilità a diffamare gli scienziati quanta a legittimare i ciarlatani, come è accaduto proprio al Movimento 5 Stelle, che ha accusato Veronesi di propagandare il ricorso alle mammografie per lucrare sovvenzioni per il suo istituto, ma ha spericolatamente patrocinato il cosiddetto metodo Stamina, che vantava risultati prodigiosi, malgrado Vannoni si rifiutasse ostinatamente di documentarli.

D’altra parte Veronesi, fondatore di un istituto di ricerca e cura che riceve finanziamenti dal sistema imprenditoriale, era, secondo questa logica “antimercatista”, un indiziato speciale, mentre Vannoni, che indossava le vesti (false) del ricercatore indipendente e del generoso capotribù dei reietti della medicina ufficiale, appariva una sorta di alternativa socio-antropologica ai rappresentanti dell’establishment scientifico.

Se però questa cultura del sospetto non è tanto l’ingenuo riflesso di un’opinione pubblica ignara dei progressi della scienza moderna, quanto una manifestazione della più diffusa sindrome politica contemporanea, sarebbe ingenuo pensare di rispondervi semplicemente sul piano “educativo”. Il complottismo è un fenomeno ideologico, non il sintomo di sottosviluppo culturale o di analfabetismo scientifico. È una forma di fanatismo, non di semplice ignoranza. Da questo punto di vista la battaglia in difesa della scienza è oggi parte di una battaglia politica più ampia, al cui centro c’è la difesa del libero mercato e dell’integrazione economica come fattore di sviluppo scientifico e di progresso civile.