Il ‘modello San Lorenzo” di Roma Capitale, a metà tra Disneyland e l’Urss di Breznev
Innovazione e mercato
La condanna in primo grado dei responsabili dell’omicidio di Desirée Mariottini ha riaperto il dibattito su un’area, degradata ed abbandonata, al limite del centro storico di Roma per la quale nessuno muove un dito.
Il contesto è semplice. Un quadrilatero di strade, un nugolo di baracche o ruderi del bombardamento di San Lorenzo, parte di proprietà pubblica e parte di privati pesantemente indebitati (come tanti) con le banche. Le regole urbanistiche? Scritte ed approvate da tutte le amministrazioni. Vincoli particolari? Nessuno. In una economia liberale, ovvero nel mondo civile europeo, il “sistema” avrebbe funzionato e le cose sarebbero andate così: un promotore avrebbe studiato un progetto, conforme alla normativa vigente, in cui la somma dell’attivo, derivante dalla vendita dell’immobile finito, fosse superiore a quella del passivo (terreni, costi vivi ed utile d’impresa).
Se questo non fosse stato possibile qualcuno avrebbe dovuto rinunciare a parte dei crediti (probabilmente le banche) per far quadrare i conti. Ma se tutto questo non avviene il terreno rimane lì, le società falliscono, i tribunali aspettano, le erbacce crescono e le aree abbandonate diventano terra di nessuno e incubatore di criminalità e di violenza.
Però l’area di San Lorenzo di cui parliamo non è affatto priva di interesse economico, non è “condannata” a diventare un luogo e fattore di degrado. Si tratta di un’area adiacente al centro storico ed interessante per alberghi, studentato, residenze, sport, piccolo commercio. Insomma: per una molteplicità di investimenti. Invece, cosa ha fatto il Comune di Roma per valorizzarla e riconvertirla? Ha lanciato un concorso di architettura (aperto a tutti ma con l’obbligo di adesione dei proprietari delle aree) per un “Programma di rigenerazione urbana” in cui le funzioni insediabili sono il trionfo del freakkettonismo d’antan. Botteghe artigiane con soprastanti residenza (del bottegaio), biblioteche e spazi aggregativi, e altre amenità così descritte:
“Nello specifico si prevede che il Programma realizzi un distretto multifunzionale che, fruendo e potenziando il sistema di contaminazione culturale che caratterizza il quartiere, sviluppi attività anche nel settore culturale e creativo (es: centri per la danza, spazi per l’arte digitale, il design, la moda, “stazione di servizio” musicale, ecc.), in grado di realizzare sinergie a scala urbana e internazionale”
Un progetto fiabesco ma totalmente avulso dalle regole di sostenibilità dei costi. Inutile dire che il concorso è stato un buco totale. Quale imprenditore investirebbe mai i propri soldi in una sorta di centro sociale dai contenuti improbabili, privo di un obiettivo strategico e senza un modello di gestione economicamente sostenibile? E soprattutto che vuol dire “spazi per la moda”? Una scuola? Un negozio? E per quanto tempo?
Dopo il buco totale del primo concorso adesso cosa si inventa il Comune di Roma? L’idea è quella di espropriare le aree ai privati per realizzare in proprio, non si capisce con quali mezzi, con quali strutture e con quali partner, un progetto di rigenerazione urbana. Si tratta dello stesso Comune di Roma che da un anno e mezzo non riesce a dare un direttore alla principale istituzione cittadina, ovvero il Teatro di Roma.
Roma Capitale sceglie per San Lorenzo un modello di intervento che rimanda a metà tra Disneyland e l’Unione Sovietica di Breznev. Nel frattempo, dall’altra parte di Via Tiburtina, Cassa Depositi e Prestiti ha chiuso un accordo con un investitore olandese per trasformare l’area della ex Dogana Ferroviaria in albergo polifunzionale e studentato con spazi sportivi e ricreativi. Lo stato era proprietario, vende, l’immobiliarista investe, crea occupazione e profitto e la città si arricchisce di un grande polo urbano destinato agli universitari. Altro che esproprio, altro che statalismo municipale straccione.