Le teorie complottiste sembrano fondate perché sono diffuse da un’indistinta massa di produttori e credute da un’imponente e anonima massa di consumatori. A questa imbecillità come mercato della “verità” (anzi, delle “contro-verità”) contagiose pensava Eco nel suo j’accuse ai social media.

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Qualche giorno fa, dopo una sua Lectio Magistralis per l’ennesima Laurea ad honorem, Umberto Eco ha azzannato l′ignoranza dei social network, responsabili - a suo dire - di aver dato “diritto di parola a legioni di imbecilli”.

Messa così la questione suonerebbe senza appello, per Umberto Eco ovviamente. Senza appello per impliciti sottotesti di razzismo culturale, di elitarismo intellettuale e di snoberie sociali tipici della terza età di intellettuali che, dopo aver rivoluzionato le logiche della cultura e scardinato le retoriche imperanti, si accomodano nella sclerosi di un regressivo reazionariato culturale, quale inconscia metafora del timor panico della morte e della dispersione del sé.

La reazione, in qualsivoglia sua forma, è sempre indice della paura della propria indefinibilità o dispersione identitaria. Ma le cose, come sempre, non possono essere ridotte ad una sintesi facile.

A margine della sua Lectio Magistralis Eco ha detto: “Il fenomeno di Twitter” - e in realtà ha usato Twitter come parte per il tutto di internet - “da un lato è positivo” - e qui ha fatto vari esempi virtuosi - “ma dall'altro canto dà diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di rosso, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”.

Questa frase ha dato scandalo. Eco è stato accusato, con altri termini, delle cose di cui sopra e si è aperto un dibattito sulla faccenda.

Ora proviamo a ribaltare il piano. Partiamo dal presupposto che questa frase incriminata sia stata detta a margine della lectio magistralis dedicata alla “sindrome del complotto”. Bene, in termini di riflessione sul complottismo e pressappochismo diffuso e proteiforme, che sta permeando non solo il sentire culturale di tutte le fasce sociali, ma che è diventato, ancora una volta e come sempre nella storia, un elemento cardine delle neo ideologie politiche, la frase di Eco non è folle.

È vero: il web è la magnificazione tecnologica, potente bellissima e liberatoria, dell’ignoranza come mainstream culturale. È la comunicazione nella gassosa contemporaneità. Comunicazione (e grappoli di termini/nozioni) che ha spostato la sua ragione e i suoi parametri dalla qualità dell’informazione alla massa informativa.

Il teorema dello scambio dati on line (informazione vuol dire scambio di dati) è quello per il quale massa dati=credibilità: se il dato è diffuso, ridondante, e rintracciabile ovunque, vuol dire che è credibile, autorevole. La fonte come sinonimo di autorevolezza non esiste più; esiste la fonte in quanto ampiezza di bocca da fuoco di dati e di veicolazione e viralità di essi.

È un teorema che inoltre ha invertito i suoi paradigmi ideologici. Se una volta il teorema massa dati=credibilità era immediatamente letto come indice di assenza di libertà espressiva, oggi, invece, è inteso come metafora di libertà. Al mainstream di regime si è contrapposto un mainstream di contro-regime (complottista) diffuso quanto quello di regime, se non di più.

Alla retorica delle false verità ad uso e consumo del potere si è contrapposta una retorica delle controverità (false come le verità strumentali) ad uso e consumo di un contropotere complottistico, ma che sono andate in circolo nei brainframe di tutte le categorie sociali, e che sono diventate oltremodo leggendarie e assiomatiche proprio grazie al web.

Intere generazioni di umani fondano la loro cognizione culturale su di una serie di grasse e crasse controverità che sono vere come tutte le leggende (metafore sempre della psicologia di massa e del singolo, che ha bisogno di leggende – la leggenda ti fa esistere) ma ovviamente false in quanto leggende.

Chi può dire a Eco che ha torto? Chi può dire che il fatto che un terzo degli italiani sia convinto che la finanza e l’economia mondiale siano eterodiretti da un circolo pluto/bancario/giudaico/massonico non dipenda dal fatto che on line l’economia sia spesso spiegata così, con tanto di documentari in tre puntate? E poi: l’auto-attentato american-sionista delle Torri Gemelle? Le scie chimiche? Barbara Palombelli proprietaria delle strisce blu di Roma? Il latte che sgretola le ossa e le multinazionali bastarde che ce lo fanno bere e mangiare ? Ebola inventata dagli americani? L’uomo che ha uno stomaco vegetariano versus la grande produzione e gli allevamenti intensivi?

Tutte questioni in partenza né vere, né false… ma mal poste, e inverosimili non tanto in quanto tali, ma perché spiegate in termini complottistici, e quindi di grande successo internautico. Bene.

Il complottismo è un virus, ed è indubbiamente rafforzato dalla velocissima e potentissima circuitazione di una informazione on line indifferenziata ed incentrata sul teorema ideologico massa dati=credibilità, imbullonato sul principio per il quale l’influenza è vera perché la prendono tutti. Il complottismo è un virus spesso utile a sgretolare il potere dominante, spesso sterile, spesso inutile perché lo rafforza, ma sempre e comunque culturalmente dannoso.

In questi termini Eco ha ragione. Ma la riflessione di Umberto Eco è, volutamente o, chissà, involutamente, parziale. Eco non è interessato a riflettere sul fatto che la superfetazione degli opinion leader, principio costitutivo del web, sia buona o cattiva.

Eco dice che “la tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. Frase che, parlando di sindrome del complotto o di vuoti a perdere mentali, è condivisibile. Ma non lo è quando ci troviamo, e spesso capita, davanti ad un web opinion leadering di qualità, fertile, situazionista, trasformativo, libertario, omicida dell’informazione istituzionale e imbavagliata.

In poche parole: se Umberto Eco davvero si riferiva solo alla logica della sindrome complottista, allora ha ragione. Se si riferiva, ma non credo, alla dimensione individualistica del web (che comunque è illusoria – ma questa è un altro articolo), allora non ha capito nulla. O lo ha fatto per fare ammuina.

E comunque si è dimenticato di dire che la tecnologia, web incluso, di per sé non è né buona, né cattiva: dipende da come si usa, e da chi ha interesse che venga agita in un modo piuttosto che in un altro.

Infatti il web è gestito da un cartello pluto/bancario/giudaico/massonico. Lo sanno tutti. Basta fare una ricerca on line.