cdp big

Dice Carlo Stagnaro che quando sente parlare di “settori strategici” gli viene l’orticaria. Vale anche per me. Ma in questo articolo non intendo contestare il fatto che alcune infrastrutture abbiano, se non altro per la loro struttura di costi, necessità di essere regolate in modo specifico. Tra di esse, le reti nazionali di telecomunicazioni e energia, reti che non conviene moltiplicare perché costerebbe troppo, e a cui proprio per questo occorre garantire un accesso pluralistico a vantaggio anzitutto dei consumatori.

Queste garanzie di accesso, con le loro modalità e tariffe, già oggi sono stabilite dall’ordinamento sia nelle telecomunicazioni che nell’energia, anche tramite il potere regolatorio e di vigilanza delle Autorità indipendentiC’è una differenza rilevante però tra telecomunicazioni ed energia: nel primo settore la rete non è stata scorporata, mentre nel secondo – almeno per le dorsali nazionali – sono state create società ad hoc a cui le reti, in precedenza di proprietà degli ex monopolisti nazionali, sono state conferite. Queste società hanno acquisito la struttura di public company, cioè aziende ad azionariato diffuso, con però una quota di maggioranza relativa di Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

Carlo Calenda in un suo tweet nell’ambito della polemica sul possibile ingresso di CDP nel capitale di TIM ha auspicato, mi pare, proprio un simile assetto anche per le telecomunicazioni. Questo auspicio a mio avviso però non implica affatto che abbia senso un ingresso di CDP nell’attuale TIM, per i motivi seguenti:

- Il mancato scorporo della rete di TIM implica che se CDP compra TIM compra anche attività che in nessun modo possono essere definite “strategiche”, e quindi introduce un nuovo (ennesimo) conflitto di interessi tra Governo e un mercato in cui lo Stato dovrebbe garantire le regole di una concorrenza corretta, anziché prendere le parti di uno dei competitori. La partecipazione di CDP, se mai, potrebbe essere considerata in relazione a una società di sola gestione della rete, a patto di riuscire a motivare che sia necessaria (a mio avviso non lo è: si veda il prossimo punto).

- Esistono strumenti alternativi per il Governo di proteggersi dal rischio che l’azionista di TIM faccia scelte contrarie alla sicurezza nazionale per quanto riguarda l’infrastruttura di rete. Oltre alla regolamentazione e all’Autorità di settore, il Governo può in casi estremi decidere di usare il cosiddetto “golden power”, recente evoluzione della “golden share” adatta anche alle società non partecipate, e che esplicitamente si applica anche alle reti di telecomunicazioni.

- Come ha notato tra gli altri Luigi Zingales, l’operazione di rastrellamento di rilevanti quote di azioni TIM ha effetti sugli interessi dei suoi azionisti in termini di aumento del prezzo. (Per gli azionisti più grandi diventano molto rilevanti anche gli effetti in termini di governance). E il susseguirsi di dichiarazioni sull’eventuale scalata apre evidentemente il rischio di insider trading sul titolo TIM da parte di soggetti contigui al Palazzo. E se gli azionisti TIM più dinamici possono guadagnare da impennate di prezzo nel breve periodo, è verosimile che i conferitori del capitale di CDP, principalmente risparmiatori postali, abbiano da perdere dall’uso dei loro soldi per sostenere una speculazione al rialzo del titolo telefonico.

Vecchio detto statalista: mai far sapere al risparmiatore postale come vengono usati i suoi soldi.