Flixbus

(Public Policy - stradeonline.it) Ve lo ricordate il decreto “salva liste” di Maroni nel marzo 2010? Alla vigilia delle elezioni regionali si scelse la via di un decreto “interpretativo” per cercare di sanare il caos liste PdL in Lazio e Lombardia.

Nessuna sorpresa, è logico: quando la politica fallisce costringe il legislatore a interpretare, mica a decidere, correggere o a fare mea culpa. Lo schema rischia di ripetersi - magari questa volta con qualche atto amministrativo - sul caso Flixbus, come ha lasciato trasparire il Ministro dei Trasporti Graziano Delrio.

"Il ministero sta ragionando sulla possibilità di modificare le norme della manovrina, ma può anche darsi che non ce ne sia bisogno, perché le interpretazioni possono essere sufficienti" ha detto il ministro dopo che il presidente dell’Autorità per la Regolazione dei Trasporti, interpellato sempre sulla vicenda Flixbus, aveva dichiarato: “Non bisogna avere paura del nuovo”.

In questo caso, il ricorso all’interpretazione non sarebbe solo un fallimento, ma anche un atto di profonda vigliaccheria politica. Dopo tre interventi legislativi in tre mesi e mezzo, dopo un’estenuante “metti-togli-metti”, tra rincorse e rinculi, dopo un giochino sadico che ha visto protagonisti prima 4 senatori fittiani e poi 2 deputati del Pd (Boccia e Ventricelli, con procedure non trasparenti in Commissione), un governo di un Paese civile non può dire “in Italia interpretiamo” a un’azienda che opera in tutta Europa e che ad oggi a ottobre è costretta a chiudere.

Non si può lasciare in vigore una norma liberticida molto chiara. Quella norma va cancellata come chiedono alcuni emendamenti di PD e SVP al decreto Sud, in corso di conversione al Senato. La frase di Delrio suona come una pacca sulla spalla non così rassicurante: è il classico pat pat paternalistico della politica. Il “tranquillo, ci pensiamo noi” si dissolve via via nella selva delle altre preoccupazioni, degli interessi più forti e diventa un miraggio lontano, un chiodo che si fa stecchino.

Così è andata fin qui. I lettori di Strade hanno seguito passo dopo passo la via crucis. A marzo hanno firmato in più di 60mila una petizione per salvare Flixbus ma la loro volontà, sulle prime vincente, è andata in fumo, al pari dei pareri pro-concorrenza dell’Antitrust e dell’Autorità per la Regolazione dei Trasporti. Poi il governo aveva cancellato la forzatura attraverso la manovrina, e speriamo che ora intervenga di nuovo con soluzioni e non con interpretazioni, con la fermezza dimostrata sul caso dal ministro Calenda.

Non vogliamo di certo illudere il lettore: tutto passa dalle mani del PD, più che del governo. Lo stesso partito in cui da un lato, con atti parlamentari e dichiarazioni tra rassegne e terrazze, Renzi, Boccadutri, Esposito e Del Barba vogliono rimuovere ogni restrizione e dall’altro Boccia, Ventricelli e Covello si sono espressi a diverso titolo (e con diverse mani) a favore dei vincoli posti dai fittiani.

Addirittura il presidente della Commissione Bilancio, Francesco Boccia, si è spinto a dire che “l’autorizzazione a operare come concorrente e ottenere delle licenze è qualcosa che deve decidere il Parlamento e non un tecnico del ministero dei Trasporti che dà le licenze”. Una dichiarazione eversiva rispetto alla liberalizzazione del mercato dei servizi automobilistici interregionali fatta con il decreto legislativo 285/2005 e mai messa in discussione per 11 anni.

Chissà se la titubanza del ministro Delrio riflette gli animi contrastanti all’interno del Pd. Noi siamo certi che grazie ai prezzi più bassi (che non danneggiano né la sicurezza, né le imprese che ci lavorano), Flixbus abbia rappresentato un’innovazione e una libertà di scelta in più per gli utenti, e per questo va difesa. Pensiamo anche che quest’accanimento politico, questa perversa prevaricazione permanente si sia trasformata in un’autentica operazione simpatia per l’azienda e in un gigantesco autogol per la classe politica, per il governo e per il PD.

E mentre non fatichiamo a intravedere il ghigno del Joker monopolista nell’excusatio non petita di Ferrovie dello Stato ("Dietro le norme anti Flixbus non c'è Fs, come si vociferava” ha detto l’ad), noi continuiamo a credere nella libertà di mercato, nella concorrenza, portata anche da BusItalia, società del gruppo FS. BusItalia non esclude Flixbus. È la legge che oggi esclude Flixbus e non Busitalia.

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