Il dramma di Alitalia e l'insostenibile leggerezza della politica
Innovazione e mercato
Alitalia si ritrova per la terza volta in nove anni vicina al fallimento. In un caso è già fallita, nel 2008, quando la compagnia pubblica bruciò diversi miliardi di euro dei contribuenti, mentre nel 2014 venne salvata (temporaneamente) dall’arrivo di Etihad. Come andrà a finire nel 2017?
In primo luogo è bene ricordare che l’azienda è privata, a parte il folle investimento di Poste Italiane, e che in Europa, tutte le grandi compagnie aeree sono private e quotate in Borsa. Il Gruppo Lufthansa come così IAG (British, Iberia, Vueling e AerLingus), ma anche Ryanair, Easyjet e Air France - KLM sono tutte quotate in Borsa, molte volte con azionisti del calibro di fondi globali quali Blackrock.
Questo inciso serve a ricordare che il mercato aereo è ormai privato e soprattutto concorrenziale, come ha capito a sue spese Alitalia. Nel 2016, la compagnia ha perso molto probabilmente oltre 600 milioni di euro (il bilancio ancora non è pubblicato) per l’incapacità di trovare la sua posizione in un mercato aereo molto competitivo. Alitalia non è infatti competitiva sul corto e medio raggio rispetto alle compagnie low cost e al contempo è troppo piccola rispetto ai grandi gruppi europei. Questo dovrebbe fare riflettere sul fatto che una posizione stand alone del vettore italiano è ormai insostenibile in un mercato aereo come quello attuale.
Per tale ragione circa 3 miliardi di euro sono stati persi dal 2009, quando la compagnia è rinata con il piano “Fenice”, a oggi. La situazione è così critica che martedi quasi certamente arriverà un commissario, mentre al tempo stesso il Governo farà un "prestito ponte" di 500 milioni di euro per "garantire la sopravvivenza della compagnia”. Il "prestito ponte" non dovrebbe evocare buoni ricordi al contribuente italiano, che ne ha già erogato uno di 400 milioni di euro nell'aprile del 2008, prestito che poi venne considerato "aiuto di stato" dalla Commissione Europea. Quel prestito venne perso dal contribuente italiano nel fallimento di Alitalia appena 4 mesi dopo.
Non ha senso fare nuovi prestiti (oltretutto a prezzo di mercato, per evitare che venga considerato come un aiuto di stato) perché significa dare un incentivo al commissario a non tagliare le rotte necessarie affinchè la compagnia si mantenga in piedi da sola: visti i risultati del 2016, molto probabilmente Alitalia dovrebbe scendere a 12 milioni di passeggeri, rispetto ai 23 attuali, per non continuare a perdere soldi.
È bene che la politica non faccia altri errori con i soldi dei contribuenti, poiché allungherebbe solamente l’agonia di Alitalia. E proprio dalla politica abbiamo visto negli ultimi giorni un fiorire di dichiarazioni sul tema: “tagliare gli sprechi” è stata la parola d’ordine di Luigi Di Maio, quale fosse manager dell’azienda o esperto del settore. E' necessario avere competenza della questione e non scadere nel facile qualunquismo. È importante capire che i problemi maggiori di Alitalia sono dal lato dei ricavi (anche nel piano), dato che la compagnia ha un load factor troppo basso e uno yield non competitivo nemmeno con i vettori low cost.
Inoltre il network delle rotte ha dei seri problemi e, soprattuto, un grosso problema è la competizione sull’hub di riferimento di Roma Fiumicino. Se Alitalia non sarà in grado di convincere lo scalo romano che il suo sviluppo passerà dalla stessa compagnia (cosa molto difficile), sarà impossibile dare un futuro ad Alitalia.
Ci sono quindi pochissime certezze sul futuro della compagnia: Alitalia non potrà essere pubblica, così come non dovrà essere politica. La leggerezza delle parole non serve a nulla in questo momento, anzi contribuisce a complicare una situazione già tragica.