Il verso che occorrerebbe cambiare alle discussioni sulle scelte di politica economica è quella piega prima surreale, poi antireale che prende il dibattito ogni qual volta un esecutivo decide, con operazioni di finanza variamente creativa, di "rimettere i soldi in tasca agli italiani" e di vendicare i torti di un contribuente vessato da un sistema fiscale che (almeno in teoria) rimanda però alle responsabilità dell'esecutivo medesimo e si riconnette pure, secondo un rapporto mediato o immediato di causa-effetto, alla generosa elargizione di cui il governo pro tempore mena vanto.

Non è questione che riguardi il solo governo Renzi, ovviamente. Anzi, fino ad oggi - 80 euro compresi - di tutti i miracolosi "tesoretti" che i governi negli ultimi anni hanno giurato di avere dissotterato e restituito agli italiani quelli del segretario PD sono i più veri e i meno farlocchi, grazie essenzialmente alle forbici del quasi ex commissario Cottarelli e malgrado un quadro di finanza pubblica deteriorato da una crisi economica durissima e ormai endemica.

Però oggi sulla vicenda del TFR in busta paga sembra davvero di tornare al (triste) passato. Lasciamo perdere se, in linea teorica, abbia senso riconoscere ai lavoratori una piena e immediata titolarità di quella quota di salario differito, che ha una finalità sempre più necessariamente previdenziale - se non direttamente pensionistica - e che proprio per questa ragione, non troppi anni fa, era stata reindirizzata, anche con incentivi fiscali, verso i fondi complementari e che è oggi anticipabile solo per gravi esigenze personalli e familiari (salute e prima casa).

Da questo punto di vista, seguendo la stessa logica "libertaria", si potrebbero mettere in busta pure i contributi obbligatori - e decidesse il lavoratore che farne. Ma non è detto che questo incentiverebbe la responsabilità e non l'azzardo morale di persone improvvisamente "ricche" oggi dei soldi di domani.

In termini pratici, poi il problema di finanziamento delle imprese e dell'INPS privati del TFR dei lavoratori non è risolvibile così facilmente attingendo ai "soldi di Draghi", cioè ai prestiti della BCE al sistema bancario per incentivare il credito alle imprese. Il deficit dell'INPS (dove vanno i TFR dei dipendenti delle grandi aziende che non optano per la previdenza complementare) crescerebbe comunque, così come gli oneri finanziari delle piccole imprese, a cui nessuna banca presterebbe euro all'1,5% di interesse. Se a garanzia di tutto, poi, ci si mettesse direttamente lo Stato la cosa non sarebbe a costo zero, sul deficit o sul debito. Si tratta, mal contati, di una ventina di miliardi, che pesano quanto la manovra annunciata per la legge di stabilità.

Sollevare queste perplessità non è semplice, perché sono ovviamente irrilevanti rispetto al fascino dei "pochi, maledetti e subito" promessi dall'esecutivo. Ma l'esecutivo - questo, come i precedenti - farebbe un errore abbastanza grossolano se presentasse questa discussione come un confronto tra i buoni, che vogliono aumentare la busta paga ai lavoratori e i cattivi, che vogliono lesinare il vantaggio contro la doverosa generosità del governo. Non è un modo onesto di raccontare le cose.

@carmelopalma