Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, nati in Italia nell’Ottocento in epoca lombrosiana, oggi come allora racchiudono in sé il peggio del peggio dell’istituzione manicomiale e di quella carceraria. Una realtà che non si riesce a superare, e che rende l’Italia indegna della Costituzione, e della stessa legge 180.

eusebi - Copia

“Il manicomio criminale va soppresso, altro che superato.
Buttato giù, sfondato, disfatto, dismesso, distrutto, aperto, sventrato
Cioè chiuso. Insomma chiuso. Per sempre.
[…]
In manicomio giudiziario ti dicono che tu non sei più tu, perché qua non ti hanno solo tolto tutto,
ma anche quell’azione per quanto tragica per cui tu sei finito qua dentro,
anche quel gesto te l’hanno portato via, nemmeno quell’azione ti appartiene più.
Qua dentro, qua, in questo manicomio, non c’è più la tua vita, non la trovi più.”
(tratto da Il dialogo di Marco Cavallo e il Drago)

Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), nati in Italia nell’Ottocento in epoca lombrosiana, oggi come allora racchiudono in sé il peggio del peggio dell’istituzione manicomiale e di quella carceraria. Si tratta di strutture giudiziarie, note anche come manicomi criminali, che sono sopravvissute alla chiusura dei manicomi civili, sancita ormai oltre 35 anni fa dalla Legge 180. In nome della pericolosità sociale e della non imputabilità del reato al malato di mente (artt. 88 e 89 del Codice Penale) accade che "il reo non viene inviato in carcere perché non può comprendere ciò che significa pena e rieducazione; viene allora inviato in manicomio giudiziario, dove sotto forma di cura espia in realtà una pena che capisce ancora meno", scriveva Franco Basaglia in Conferenze Brasiliane. Nonostante sentenze della Corte Costituzionale (139/1982, 253/2003 e 367/2004) abbiano stabilito che la pericolosità sociale non è un attributo naturale di quella persona o di quella malattia e abbiano dichiarato incostituzionale la non applicazione di misure alternative all’internamento in OPG, l’impianto normativo resta quello del Codice Rocco del 1930, residuo del regime fascista, coerente con la mentalità segregazionista in materia di malattia mentale. Continua Basaglia, "sono vere e proprie fosse dei serpenti con persone legate ai letti o chiuse in isolamento per mesi. […] Il governo promise di chiuderli, ma naturalmente sono rimasti aperti e funzionanti".

Nel 2010 la Commissione parlamentare d’inchiesta SSN del Senato della Repubblica, presieduta da Ignazio Marino, ha monitorato ciascuno dei sei OPG presenti in Italia (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere), irrompendo senza alcun preavviso per indagare sulle condizioni igienico-sanitarie, sui sistemi di “cura e custodia” e sul numero degli internati, in particolare di quelli dimissibili, ma dimenticati lì da anni. Le testimonianze emerse sono terribilmente drammatiche, come denunciano i documentari OPG. Dove vive l’uomo (vedi Presa Diretta) e Lo Stato della follia di Francesco Cordio.

L’inferno di questi ‘non luoghi’, dove sono internate ancora oggi 890 persone (al 10 gennaio 2014) in condizioni a dir poco disumane, costituisce una pagina vergognosa della nostra Repubblica. Sono i lager dei tempi odierni, lontani quanto basta dagli occhi affinché non disturbino il quieto vivere e non rechino imbarazzo al pubblico pudore. L’internamento e la custodia, secondo la vecchia logica manicomiale, ne sono il fondamento, insieme alla violenza delle porte chiuse e delle cattive pratiche, intrise di contenzione, dell’abuso del trattamento farmacologico, della privazione di ogni elementare diritto di esseri umani. È dunque a dir poco paradossale parlare di cura e riabilitazione in una dimensione di annichilimento e tortura, che rimanda ai manicomi della prima metà del ‘900.

L’orrore degli OPG non è però solo quello visibile della situazione estrema in cui le persone sono crocifisse ai letti di contenzione senza materasso e con il buco al centro. L’aspetto atroce è anche nella continuità che, prescindendo dalle persone, è strutturale di luoghi che portano con sé un’eredità di inumanità e di miseria che possiamo rifiutare solamente chiudendoli. Eppure chiuderli non basta, occorre lavorare al superamento dell’istituzione totale dell’OPG, dei meccanismi giuridici e pseudoscientifici che tengono ancora in piedi i suoi muri, passando per la de-stigmatizzazione culturale di luoghi comuni e pregiudizi che abbondano in ogni dove. Lo squallore degli ambienti è indescrivibile, ma sarebbe pericoloso fermarsi lì e pensare di risolvere la bruttura dell’arretratezza investendo in strutture moderne, tirate a lucido e con bagni idonei, ossia nella falsa modernizzazione.

 

Il Viaggio di Marco Cavallo negli OPG

Lo scorso novembre l’iniziativa Il viaggio di Marco Cavallo nel mondo di fuori per incontrare gli internati, promossa dal cartello di associazioni StopOPG, portavoce nazionale Stefano Cecconi, e sostenuta da Collana 180 – Archivio Critico della Salute Mentale, direttore lo psichiatra Peppe Dell’Acqua, ha riportato gli OPG all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità di governo, e ha ricevuto da Napolitano la Medaglia del Presidente della Repubblica in segno di personale apprezzamento. Protagonista Marco Cavallo, con il suo carico simbolico di sogni di libertà, uguaglianza, dignità e inclusione sociale. Il cavallo azzurro di legno e cartapesta, che nel 1973 ruppe i muri del manicomio San Giovanni di Trieste insieme a Basaglia, è tornato così a “invadere le strade” e a far sua la battaglia degli ultimi.

Il messaggio di denuncia, la chiusura degli OPG. Ma soprattutto un no chiaro e forte alle residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza (rems), in costruzione in tutta Italia. "I manicomi criminali? È da criminali continuare a tenerli aperti. Ma non saranno i fiori alle finestre e le stanze pulite e ordinate a restituire i diritti e i doveri di una piena e reale cittadinanza alle persone ora internate negli OPG, se si continueranno a perpetuare gli stessi meccanismi ideologici di esclusione, isolamento e custodia", commenta Dell’Acqua. "Il problema è che non si stanno costruendo rems per coloro che abbiamo il dovere di trattare in modo adeguato, ma piuttosto tanti mini OPG con posti letto in numero maggiore delle persone oggi internate", spiega Cecconi. Infine, la necessità di fornire ai servizi territoriali di salute mentale adeguate risorse economiche e umane, per garantire la presa in carico, con progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati, dei tanti internati dimissibili per reati di poco conto, cosiddetti “bagatellari”, in nome del diritto alle cure e al recupero, nonché al reinserimento sociale, pur nel rispetto di quelle che sono le misure di sicurezza.

 

La beffa dell'ennesimo rinvio

Sulla base del lavoro della Commissione Marino e delle parole dello stesso Presidente della Repubblica Napolitano che ha definito gli OPG “indegni per un Paese appena civile”, la legge 17 febbraio 2012, n. 9 art 3-ter ne prevedeva il definitivo superamento per febbraio 2013. Ma il rinvio poi al 1° aprile 2014, e ora il rischio di un nuovo impantanamento nell’ulteriore proroga al 2017 richiesta di recente dalle Regioni, sono un segno evidente di come (mal)funzionano le cose. Nella motivazione ufficiale dell’emendamento al decreto Milleproroghe si legge Nonostante le Regioni abbiano presentato, entro i termini assegnati, i programmi per la realizzazione delle strutture sanitarie alternative agli OPG, le stesse non saranno in grado di poter nemmeno avviare nei pochi mesi rimasti, le procedure di gara per la scelta del progettista e dell’impresa esecutrice dei lavori. La preoccupazione delle Regioni è dunque che non sono pronte le rems.

Si tratta di una motivazione inaccettabile per StopOPG. "Il problema non è il ritardo nella costruzione delle rems, ma la chiusura degli attuali OPG in funzione della ‘regionalizzazione’ degli stessi – afferma Cecconi – il problema va affrontato con il rafforzamento di una cultura di responsabilità, il potenziamento dei finanziamenti, la presa in carico degli internati da parte dei servizi e l’applicazione da parte della magistratura delle sentenze della Corte Costituzionale". Analogo il commento e lo sconcerto di Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone: "La proroga è grave, si fa carta straccia delle parole del Capo dello Stato. È un fallimento delle istituzioni. Le risorse vanno spese per progetti terapeutici di inclusione sociale, non per la costruzione di piccole comunità psichiatriche custodiali".

Sulla scia degli incontri avuti a novembre con il Presidente del Senato Pietro Grasso e la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, e a dicembre con il Sottosegretario alla Salute Paolo Fadda e la Ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri, lo scorso 18 febbraio una delegazione del comitato StopOPG ha presentato in Senato dei precisi vincoli di legge per favorire le dimissioni e le misure alternative alla detenzione, frenare gli ingressi impropri e porre fine alle proroghe, dovute in gran parte non alla pericolosità della persona ma all’incuria delle istituzioni che dovrebbero farsi carico di costruire un credibile progetto terapeutico riabilitativo individuale.

"La nave del manicomio è affondata, altre navi, solo in apparenza meno minacciose, si stagliano all'orizzonte", scriveva Basaglia in La nave che affonda. E il 2017 corre il serio pericolo di essere un orizzonte affollato di neostrutture manicomiali, di problemi logistici ed economici (residenze, numero posti letto, camici bianchi), dove gli internati in quanto persone rischiano di passare tristemente in secondo piano. E con loro la dimensione umana, etica, civile e politica della questione degli OPG, una realtà che rende l’Italia indegna della Costituzione, e della stessa legge 180.