logo editorialeIl cognome – Ligresti, nel caso di specie - non ha importanza qualora venga violato un diritto: quello che le condizioni di vita siano dignitose per chiunque e ovunque, in carcere a maggior ragione. Compete, infatti, allo Stato farsi carico della scelta compiuta dall'ordinamento, che dello Stato stesso costituisce massima espressione, di comprimere la libertà personale di chi sia in attesa di giudizio. E, che tale scelta sia condivisa o meno, chiunque concorda sul principio che sono le istituzioni a dover garantire che le galere siano luoghi ove la civiltà del trattamento dei reclusi venga assicurata, compresa l’attenzione al loro stato di salute.

Nessuna giustificazione - dalla mancanza di fondi a spazi insufficienti – per l’attenuazione del suddetto principio può essere consentita. Ogni scelta compiuta in uno Stato di diritto comporta la responsabilità che a essa sia data l’attuazione migliore, salvo smentire la premessa in forza della quale è stata assunta: vale a dire il diritto stesso. Né il disvalore delle azioni, certe o da accertare, compiute da chi sia recluso come condannato ovvero in attesa di giudizio può costituire alibi idoneo a consentire che le sue istanze di vita decorosa vengano tenute in minor conto rispetto a quelle di chi compia azioni di valore. La legge rischia altrimenti di confondersi con una sorta di “lex talionis”, e non è il caso.

Il cognome non conta, si diceva, a fronte della necessità che i detenuti vivano dignitosamente nei luoghi destinati alla loro reclusione. Contano forse le relazioni amicali, considerato che, a parità di situazione di disagio rispetto a molti altri che pure si trovavano in galera nello stesso momento, ad una carcerata sono valse la telefonata di un Ministro.

Non è questa la sede ove ricostruire giuridicamente la vicenda o accertare le responsabilità del Ministro stesso. Ci si limita all'unico dato certo: la telefonata è stata fatta in quanto la reclusa era persona conosciuta da Annamaria Cancellieri. Quest’ultima, dunque, con riguardo alla signora Ligresti ha mostrato specifico interesse, tale da richiedere a chi di competenza una particolare considerazione del suo caso. Non rileva se tale intervento abbia sortito un qualche risultato, dato che, come si diceva, ciò che serve valutare è soltanto l’operato del Ministro, la cui correttezza prescinde dall'esito che esso abbia concretamente avuto.

Nobile è l’intento, mirabile la volontà di alleviare la situazione di sofferenza, comprensibile il coinvolgimento emotivo del Ministro nei riguardi di una persona conosciuta. Tutto ciò premesso, ci si chiede se l’agire della Cancellieri risponda ai criteri ai quali debba essere improntata l’attività di qualunque Istituzione, non solo quella della Giustizia che, alla stregua delle altre, trova nel diritto il proprio fondamento. Ogni Amministrazione pubblica deve svolgere la migliore valutazione delle istanze coinvolte nella propria azione sì da effettuarne di volta in volta il contemperamento, ovvero disporre il sacrificio di quelle ritenute meno meritevoli di tutela rispetto alle altre che decida di tenere in maggior conto. La legittimazione dell’Istituzione e, con essa, l’accountability di chi la rappresenta si fonda sulla circostanza che, in qualunque momento, essa possa rendere conto del proprio operato e ciò non solo qualora richiesta ufficialmente nelle sedi competenti, ma anche di fronte alla collettività dei soggetti amministrati. Questi ultimi, infatti, in quanto destinatari diretti o indiretti di ogni pubblica azione, devono poter compiere costantemente ogni verifica reputino necessaria su tale azione e soprattutto sulle motivazioni che ne vengono addotte a fondamento.

Nel caso di specie, le ragioni dichiarate dal Ministro Cancellieri a sostegno della propria condotta non paiono pienamente adeguate. Fermo restando che, come evidenziato in premessa, si concorda sulla circostanza che alle modalità di vita dei carcerati vada prestata la massima urgente attenzione, comprese quelle di chi porti il cognome Ligresti, ci si chiede se il Ministro, prima di intervenire nella circostanza in esame, abbia effettuato quella valutazione comparativa delle istanze cui sopra si faceva riferimento: abbia cioè messo a confronto lo stato della signora in questione con quello di altri detenuti, arrivando alla conclusione che ella, sulla base di precisi e comprovabili motivi, meritasse un interesse specifico nonché un trattamento particolare rispetto a coloro che si trovavano nelle medesime condizioni. Qualora Annamaria Cancellieri potesse dimostrarlo, tutto sarebbe a posto. Diversamente, invece, qualora non riuscisse a giustificare la circostanza che la situazione della signora Ligresti fosse meritevole di tutela maggiore rispetto ad altre similari, ne dovrebbe trarre le dovute conseguenze.

Taluni hanno espresso apprezzamento per l’operato del Ministro, che ha almeno risolto un problema tra i migliaia dei quali pochi paiono curarsi. Ci si chiede allora perché Annamaria Cancellieri, anziché spendere energie e attenzioni solo verso la signora Ligresti, a lei legata da vincoli particolari, non si sia adoperata per tutti coloro i quali versano in situazioni di difficoltà analoghe in galera. Nel corso del congresso dei Radicali di sabato scorso, il Ministro ha dichiarato di aver aiutato anche altri che a lei si sono rivolti per sottoporle situazioni di disagio carcerario via sms, mail o altro. Anche laddove questo venisse dimostrato, a maggior ragione, ci si chiederebbe perché la Guardasigilli, conoscendo la situazione di malessere generalizzato, anziché profondere energie per casi individuali e senza alcun criterio oggettivo di intervento, non abbia indirizzato il proprio interesse erga omnes, vale a dire verso tutti i detenuti indistintamente, nonché una volta per tutte. Ad esempio, mediante il pubblico e trasparente riferimento alla questione Ligresti, il capo di Gabinetto della Giustizia avrebbe potuto sollecitare l’interessamento dei soggetti competenti verso chiunque fosse recluso pur se gravemente malato; ovvero la messa a punto e l’adozione delle misure normative in materia di carcerazione che pare abbia allo studio; o ancora l’amnistia di cui si parla da tempo. Dunque, la Cancellieri non ha fatto ciò che da un Ministro ci si aspetterebbe: agire in modo chiaro e concreto con i mezzi previsti dall’ordinamento per soddisfare le istanze collettive di cui sia portatrice una categoria di soggetti dei quali per competenza è chiamata a occuparsi. Ha, invece, fatto una telefonata, perché venisse valutata con molta cura una persona singola e da lei ben conosciuta.

Lascia perplessi, inoltre, la circostanza che nel caso di specie, particolarmente delicato per i legami tra la reclusa e la Guardasigilli, quest’ultima non abbia posto attenzione, oltre che alla Ligresti, alla necessità diffusa e sempre più sentita che l’azione di un Ministro sia scevra da qualsivoglia sospetto di favoritismo. Trasparenza significa anche mancanza di ombre sulla propria condotta: giovano a tale risultato criteri oggettivi che possano costantemente illuminare l’iter comportamentale seguito in ogni circostanza nelle sedi istituzionali dai soggetti a esse preposti.

Al congresso dei Radicali il Ministro ha rivendicato il proprio diritto ad essere “umana” al di là del ruolo. Esigenza sacrosanta che nessuno discute. Ma la sensibilità personale dimostrata in un caso specifico e per molti profili peculiare non è sufficiente. Peraltro, qualora essa riguardi una persona amica, corre il rischio di essere interpretata in senso diverso. Non sembra necessario specificare quale.

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