Il caso dell’omicidio di Yara Gambirasio, l’arresto del suo presunto assassino e le polemiche che ne sono seguite aprono alcuni interrogativi sul rapporto tra scienza, giustizia e statistica, su come i test del DNA debbano essere usati nei processi e il loro valore probatorio debba essere correttamente interpretato, sia fuori che dentro le aule giudiziarie. Strade ha pubblicato, nei giorni scorsi, alcuni approfondimenti sul tema, cercando di evidenziare le varie sfaccettature di un problema tutt’altro che banale. Li raccogliamo in questa piccola monografia, come contributo a un dibattito che ancora non c'è, ma che probabilmente ci dovrebbe essere.

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I test del DNA e l'uso corretto della statistica: riportiamo un significativo passaggio di uno studio sull'uso dei calcoli probabilistici nei processi: per quale ragione, in astratto, in una città di 1 milione di abitanti non ci saranno 9.999 probabilità su 10.000 che il campione rinvenuto sia dell'imputato, bensì solo 1 su 100.

Genetica e inchieste giudiziarie: come funzionano i test del DNA? L'indagine sul caso di Yara Gambirasio passerà probabilmente alla storia per le analisi genetiche che sono state condotte a tappeto sulla popolazione, con il coinvolgimento di diciottomila persone. Moreno Colaiacovo spiega in cosa consiste il test del DNA di cui tutti i giornali parlano, e quanto è affidabile un test genetico in ambito forense.

I limiti dell'informazione tra normativa sulla privacy e principi deontologici. Il caso Gambirasio, che il procuratore generale di Brescia ha definito "sostanzialmente chiuso", ha scatenato una conseguente polemica sul ruolo e sul comportamento dei mass media di fronte a un arresto con presunzione d'innocenza, secondo Costituzione. Da più parti si è gridato allo scandalo. Massimiliano Melley chiarisce che cosa, a norma di legge, i giornali possono e cosa non possono pubblicare.

La prova del DNA non deve essere la nuova ordalia del fuoco. La scienza, nel suo inevitabilmente complicato rapporto con il processo penale, fornisce a quest'ultimo strumenti adeguati e utili a permettere un più fedele avvicinamento alla ricostruzione della realtà storica a fondamento della vicenda processuale. Me resta uno strumento comunque fallibile teso, nella maniera più neutrale possibile, alla comprensione di conoscenze altrimenti precluse. Considerare le prove scientifiche come dogmi o verità rivelate renderebbe un pessimo servizio sia al metodo scientifico che alla giustizia. Ne parla Michele Dubini.