albanese grande

Certa mimica, tra benedicente verso un uditorio osannante (mani giunte, sguardo compiaciuto), e cifra gestuale di un palcoscenico subito “occupato”. Certe parole (“ve la prenderete dopo col Sindaco”), ad assegnare subliminalmente le parti, a vellicare un immediato e preliminare mormorìo, che annunciasse altro, e peggio, se mai non fosse seguita pronta obbedienza: della folla come del bersaglio designato. Certa obliqua tronfiaggine (“io la perdono, ma quelle cose non le deve dire più”). Certa sottomissione istituzionale, a quel punto, indotta da una maniera sinistramente sacerdotale, corrisposta dalla massa festante ed eccitata dal rito propiziatorio.
Tutta questa pantomima, tra l’Autodafè e indimenticate “autocritiche” moscovite, sublimazione di quel connubio gesuitico-sovietico che infiniti addusse lutti ai tovarich, mi ha avvilito; e più che avvilito: pensando al maneggio mestatore e impostore consumato sulle vittime della Guerra di Gaza.
Maneggio: perché non bastava il fanatismo religioso di parte ebraica, sostegno velenoso all’infausto Nethanyau; non bastava il fanatismo religioso di parte musulmana, variamente jihadista, variamente Hamas, variamente Hezbollah, variamente Iran.
No, non bastava. Ci voleva pure la Special Rapporteur. Rosy Bindi + Rula Jebreal + Donatella De Cesare + Vanna Marchi + Mario Merola + Andrey Vyshinsky + Torquemada (perché qui non ci sono pregiudizi di genere, né geopolitici, né religiosi), cioè, Francesca Albanese.
Un capolavoro, tutto sommato.
C’era solo da dire, ieri a Reggio Emilia, come sempre e dovunque, che il 7 Ottobre c’era stato un primo massacro: un primo, non l’unico. A ben vedere, l’impaccio un po’ pusillanime e un po’ intimidito del Sindaco Massari, segnalava la volontà di affermare un tale minimo di decenza logica, prima ancora che un minimo di civiltà.
Non l’unico massacro, ma il primo: col suo cruento seguito di ostaggi; e che solo a partire dal riconoscimento di un comune dolore, si poteva e si può tentare la via di una pace, se non di una pacificazione.
Per lo meno, lo si poteva dire nell’agio di un teatro di una cittadina ricca e serena, di uno Stato benestante e lontano dalle bombe.
E invece no. Altro il copione, altra la scena, resa tanto più potentemente autocelebrativa e autoritaria, considerando che si è infierito su chi stava consegnando un premio, un riconoscimento: superfluo orpello al cospetto di una gloria palingenetica. E, infatti, con Hamas “la Palestina è tornata ad essere al centro della discussione, stanno animando una rivoluzione globale”. Aleggiava nella Nostra una commossa e vaticinante gratitudine.
Ma, in fondo, è stato solo uno spettacolino di provincia, per un uditorio di provincia: bigotto e feroce come usa in ambiti chiusi, senza remore morali o anche solo estetiche, perché senza confronti, senza misure, senza nulla che non sia un proprio aberrato narcisismo a fungere da mondo, da “cielo stellato sopra di me”, da “legge morale in me”. E figurarsi da via per giungere ad una “Pace Perpetua”.