Mobilitarsi a parole per i palestinesi, nei fatti per Hamas
Diritto e libertà

Uno sciopero generale fondato sulla rimozione sistematica delle responsabilità di uno dei due attori nel conflitto (Hamas): nei fatti, quella indetta ieri dai sindacati di base e che ha prodotto manifestazioni e scontri nelle principali città italiane è una grande mobilitazione all’insegna del supporto e della collaborazione - consapevole o meno - con la strategia di Hamas.
Hamas è un regime totalitario jihadista che da decenni reprime, tortura e uccide i suoi stessi cittadini, che ha trasformato Gaza in una piattaforma orwelliana islamista sotterranea votata alla cancellazione di Israele e reso la popolazione civile in superficie un'arma passiva tanto più efficace, quanto più condannata alla morte e al sacrificio. Non riconoscere questi fatti impedisce la ricerca di qualsiasi possibilità di porre fine alla carneficina, perché implica allinearsi ad Hamas e al suo obiettivo di “liberazione” della Palestina “dal fiume al mare” e non è certo utile alla popolazione innocente palestinese, presa in mezzo tra Hamas e le bombe di Netanyahu e dei fanatici messianici che lo sostengono, votati, come Hamas, alla cancellazione etnica e civile dell’avversario.
Riconoscere questi fatti significa però rifiutare la narrazione ideologica che identifica in Israele l’espressione massima di tutte le “nefandezze dell’Occidente”: economiche, politiche, culturali, coloniali, e di oppressione nei confronti del resto del mondo. E rinunciare a un virtue signaling ormai probabilmente sentito come necessario, per non essere malvisti e esclusi dalla propria comunità politica e ideologica, in cui l’odio per Israele (e per estensione, per tutti gli ebrei, anche quelli che con Israele non c’entrano niente) è diventato un fattore identitario strutturale.
Chi riconosce anche le responsabilità e il ruolo di Hamas nel conflitto non partecipa a queste manifestazioni, perché non può sottoscriverne l'agenda politica e la condanna a senso unico verso Israele, pur riconoscendo senza sconti i crimini di guerra del governo israeliano e dei fondamentalisti ebraici che lo supportano (peraltro, una minoranza politica nel paese). Non può sostenerla, a meno di non essere un ingenuo che agita bandiere senza alcuna consapevolezza politica e che si presta inconsapevolmente a diventare strumento occidentale della propaganda di Hamas.
Chi invece rimuove consapevolmente dall'equazione del conflitto Hamas e il suo dichiarato programma politico - la distruzione di Israele, a cui sono state destinate negli ultimi decenni enormi risorse, che potevano certamente essere destinate ad usi civili, per lo sviluppo pacifico di Gaza e la prosperità dei suoi abitanti – e arriva a considerare Hamas "resistenza" nei fatti si allinea invece a tale programma politico, appoggiandolo e legittimandolo.
E' difficile qualificare tali posizioni come mera solidarietà ai palestinesi, perché rappresentano un allineamento concreto e sostanziale agli obiettivi politici di Hamas. Il che è legittimo, basta assumersi la responsabilità delle proprie idee e del proprio posizionamento, e non presentarsi in piazza da indignati per cause morali universali.






