funerali kirk

I funerali di massa di Charlie Kirk sono un momento spartiacque nella storia politica americana. Non sono stati solo un rito di commiato, ma la consacrazione pubblica di una figura estrema, elevata a martire da un movimento che ha scelto la via della polarizzazione radicale.

La decisione di onorare un agitatore politico con funerali quasi di stato, con tanto di volo del feretro sull’aereo del vicepresidente e la presenza di Donald Trump e di quasi tutto il suo governo, segna il punto di non ritorno di un gioco pericoloso: la normalizzazione dell’estremismo come parte del dibattito politico. Questo atto di teatro non è stata una celebrazione del lutto, ma una manipolazione del dolore per consolidare un’identità di gruppo basata sulla persecuzione e sul sacrificio, trasformando una figura divisiva in un simbolo di lotta universale.

Fino a pochi decenni fa, gli agitatori politici che commettevano atti di violenza, o che incitavano a essa, erano universalmente condannati e trattati come dei reietti dalla società. Erano visti come paria, le cui azioni erano escluse dal dibattito civile. Ma oggi questa tradizione è stata sovvertita. Il movimento MAGA e il suo leader hanno intrapreso una strada radicalmente diversa, trasformando coloro che hanno commesso reati politici, come i partecipanti all’assalto al Campidoglio, in veri e propri eroi e martiri.

Questi individui, arrestati e processati, vengono sistematicamente presentati come “prigionieri politici” ingiustamente perseguitati e graziati con atto presidenziale. Denaro viene raccolto per la loro difesa e le loro storie vengono elevate a prove della tirannia di un “regime” avverso. Questa perversa logica crea un circolo vizioso: il martirio di una figura estremista fornisce la prova inconfutabile che la lotta è reale e giusta, e che necessita di una risposta definitiva, spingendo il movimento ben oltre i confini del dibattito civile.

Le teorie e le cospirazioni promosse da minoranze violente hanno sempre segnato la storia americana, dal Ku Klux Klan fino alle milizie antigovernative che trovarono il loro apogeo negli anni ’90 del secolo scorso, con Waco come mito fondatore. Eppure, un fatto rimaneva invariato: il potere costituito, indipendentemente dal colore politico, condannava tali frange e le trattava come minacce alla sicurezza nazionale. Il paradosso del momento presente, reso evidente dai funerali di Kirk, è che le stesse teorie e i gruppi che le promuovono non sono più perseguiti dal regime che essi ritengono corrotto, ne sono invece apertamente sostenuti e promossi.

La figura di un presidente degli Stati Uniti che celebra un agitatore la cui intera piattaforma ideologica si basava sull’abbattimento violento dell’ordine costituito è l’espressione più esplicita di questa sovversione. Il potere non reprime più le cospirazioni eversive, ma le usa come un’arma politica per mobilitare la propria base. In questa narrazione, la figura del politico che dice la verità scomoda, che si oppone al Deep State, in Italia diremmo al sistema, e combatte per i valori tradizionali, viene eroicizzata, trasformando ogni critica nei suoi confronti in un’ulteriore prova della sua presunta missione eroica.

Il pericolo di questa narrazione è che, negli Stati Uniti come in Italia, la creazione di un nemico e di un martire serve a consolidare il potere, a legittimare un discorso di scontro permanente e a minare la fiducia nelle istituzioni. Questa retorica del martirio e della persecuzione minaccia di rendere impossibile il dialogo democratico, trasformando il dibattito politico in una guerra santa in cui ogni mezzo è giustificato. Contrastare questa narrazione è essenziale per la salute della democrazia negli Stati Uniti quanto un Europa.