Ottant'anni e un'illusione perduta
Diritto e libertà
Viene da pensare che sia stato tutto vano. Gli Alleati, la Normandia, le spiagge, i morti, il coraggio, gli errori, il dolore, la tenacia, la vittoria.
Hitler che non si riesce a situare entro un giudizio storico definito, consolidato, decentemente condiviso: da non crederci.
È stato il Male, quindi, chi lo ha combattuto e sconfitto, il Bene: o no?
E si capisce che queste ultime e grandi parole sono parole-simbolo, essenziali; ma che altro dovrebbe essere la memoria, se non la custodia di un essenza, di un limpido nucleo di semplicità veritativa?
A quanto pare, no: abbiamo tuttora anche neonazisti (in varia foggia civilizzatrice) che hanno abbattuto, fra le altre, pure la statua di chi oppose l’infinito “Never Surrender”, di Churchill. O forse sono sempiterni coglioni. Non saprei dire se il riso o la pietà prevale.
E sì: anche l’Armata Rossa fu un grande Combattente, il popolo russo vinse su Molotov e Von Ribbentrop, sulla immonda spartizione della Polonia, sulle titubanze di Stalin di fronte all’attacco del suo ex alleato tedesco, su una violenza inimmaginabile, uscendo dall’inferno del Fronte più vasto della storia: il più crudele, il più inumano, il più eroico e tragico di sempre. E sarebbe giusto ricordarlo proprio il 6 giugno, nonostante tutto.
Ma ottant’anni fa, lo sbarco, dall’Isola al continente, ebbe la maestà giusta e solenne che da un fatto strategico e politico-militare, perciò determinato nello spazio e nel tempo, distilla un senso superiore e ultrastorico, il senso ultimo di un Principio che si afferma: La Libertà contro la Tirannia, l’Occidente mai perduto che scaccia l’Occidente Rinnegato.
Tuttavia, sembra sia stato tutto vano. Due giorni prima Roma era stata liberata; ma l’Italia era tutto un atroce campo di battaglia: bombardamenti vasti e potenti avevano arato il Bel Paese, la risalita, dalla Sicilia, degli eserciti Alleati aveva disteso sull’Italia Meridionale un paesaggio lunare: e peggio sarebbe stato nell’Italia ancora occupata, con la nostra Guerra Civile, lacerantissima. Eppure, anche questa sarebbe stata una Liberazione.
Tutto vano. Non per le critiche di oggi agli USA e agli Ebrei: i due Soggetti storici che incarnarono il significato inedito di quella Guerra: l’uscita dell’Europa dal gruppo di testa, e l’inabissamento dell’uomo oltre ogni abisso.
Ci mancherebbe; la critica è pienezza di libertà.
Una critica agli USA dovrebbe essere quella di essersi risolti nella Silicon Valley; di aver trasformato il sogno americano in un incubo mondiale; di aver prima vellicato la Cina Comunista per poi temerne il sorpasso, e in nome di una paura, di averci regalato Trump che sfida Biden, il pisciatore sul Campidoglio contro un caso clinico.
Questo si dovrebbe criticare; non un minimo di strategia che ancora agisce sul piano degli automatismi di apparato. Che ragionano in termini di interesse, rapporti di forza e prospettive ed equilibri politici, militari e diplomatici.
La sensazione di una miserabile vanità viene, invece, per il trionfo, lieto e irrefrenabile, di una cretineria universale; di una civiltà scampata al Lebensraum ariano per coltivare l’isteria del selfie, l’onanismo del Reel, il gusto sordido della foto-sputo, magari debitamente falsificata o “aumentata”.
Che disconosce ogni ordine, fosse pure quello dell’alfabeto, per vagare nella sulfurea inconcludenza di una pernacchia permanente: verso dio e satana, la conoscenza e l’ignoranza, la parola e il silenzio: tutto finto, tutto irreale, tutto irrilevante. Tutto un “questo lo dice lei”.
Abbiamo accettato una resa senza condizioni, non alla Wehrmacht, ma ad un fiesta psichedelica variamente qualificata “disintermediazione”, “inclusione”, “connettività”.
La Storia è “uomo-bianco-morto” o l’H Index declinato come una tessera di partito; la parola pubblica inghiottita da quella privata, questa, dall’impulso dello Scemo Digitale Collettivo; una casbah illogica che assorbe indifferentemente il bravo Sinner e “l’incompreso Putin”, le università milionarie con la Kefiah e il Perfido Ebreo: che non può avere un governo inadeguato, un leader dubbio, ma deve essere maledetto sub specie aeternitatis, rilanciando ogni sorta di millenario anatema, perché da deicidi che ti vuoi aspettare, ma sì, alla fine Hitler era un fetente, però con questi qui.
Tutto vano. Una immensa, informe, incontenibile vanità, un’immorale cretineria, una vile cicalare sotto un globale ed opprimente ombrellone.
Oggi, da Omaha, da Utah, da Sword, da Gold, da Juno, possiamo ricordare solo un’illusione perduta.