Il governo, già in difficoltà con le banche dopo l’entrata in vigore della normativa sul Bail In, vorrebbe approfittare del caos causato dalla Brexit per mettere in piedi, dopo il Fondo Atlante, un ulteriore fondo di salvataggio che possa risolvere una volta per tutte il problema rappresentato da MPS e supportare il primo. Funzionerà o sarà il solito alibi all’italiana per non correggere i nostri errori?

Famularo cassa

Il risultato inatteso del referendum britannico sull'uscita dalla UE è stato un fulmine a ciel sereno per il sistema bancario italiano, con crolli nell'ordine del 20% per gli istituti quotati.

Il governo – che, come descritto nello scorso numero di Strade, a fatica cercava di fronteggiare il cancro dei crediti deteriorati, con pochi mezzi, nuove regole e tanta moral suasion - ha visto in questo frangente l'opportunità per ottenere una deroga temporanea alle normative contro gli aiuti di stato e alla direttiva BRRD sul Bail In.

Insomma, l'ipotesi di dirottare un po' di denaro pubblico verso le banche in difficoltà, che pareva accantonata dopo l'introduzione di Gacs e Fondo Atlante, per qualche giorno è tornata alla ribalta, pur rimanendo confinata nel regno dei sogni proibiti di qualche politico ingenuo e di qualche commentatore troppo entusiasta.

Come spiegato anche da Mario Seminerio sul blog Phastidio.net, quel che il governo Renzi ha portato a casa è l'ok a prestare garanzie pubbliche su emissioni obbligazionarie fino a 150 miliardi, che consentano a banche solvibili di risolvere problemi di liquidità legati a turbolenze eccezionali di mercato. Una misura ampiamente prevista dalle normative europee e per niente risolutiva nei confronti del problema di fondo del sistema, ossia il circolo vizioso tra perdite potenziali sulle sofferenze e necessità di aumenti di capitale: senza una corretta valorizzazione delle prime, nessuno è disposto a sottoscrivere gli aumenti; senza un adeguato sostegno patrimoniale nessuno si azzarda a svalutare i crediti problematici a livelli tali da tranquillizzare i mercati.

Deus ex machina, alla democristiana italica maniera, il fondo Atlante dà un colpo al cerchio e uno alla botte perché entra nel capitale delle banche e al contempo rileva le sofferenze: la perdita potenziale sulle sofferenze non sparisce (eventualmente si riduce, per il minor rendimento richiesto da chi le acquista e per la possibilità di comprare a leva), ma la scommessa è che venga più che compensata dalla rivalutazione che le azioni subiranno in seguito alla successiva pulizia di bilancio.

Nei primi mesi di vita Atlante ha salvato Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca e forse comprato un po' di tempo a Unicredit per un aumento di capitale che, comunque, potrebbe esserci ugualmente.

Non è dunque una sorpresa che, dal mare di dichiarazioni e idee strampalate di salvataggi di Stato e misure straordinarie, l'ipotesi più plausibile che si va concretizzando è quella di un "Atlante 2", che forse si chiamerà Giasone, un nuovo fondo che si occupi di MPS e raccolga altri 3 o 4 miliardi da aggiungere all'1,7 che residua sulla dotazione iniziale.

Se il lancio di Atlante è stata una scommessa dall'esito ancora incerto, puntare a mettere in sicurezza la storica banca toscana, che oggi rappresenta la principale criticità dell'intero sistema, significa raddoppiare o anche triplicare la posta in gioco.

A questo va aggiunto che la nuova iniziativa dovrà tenere conto anche delle ipotesi di partnership nell'attività di servicing ventilate nei mesi scorsi: non è da escludere pertanto una joint venture con qualche primario investitore che aumenti la potenza di fuoco per smobilizzare le sofferenze e ottimizzi il recupero di quelle rimaste in bilancio.

È ovviamente presto per esprimere giudizi: quel che tuttavia si può già dire è che la posta in gioco rischia di crescere in modo vertiginoso rispetto alle somme impiegate in queste operazioni e può arrivare a valere quanto l'intero sistema bancario. Se si riesce a convincere i mercati di aver risolto il nodo MPS, qualunque altra minaccia sarà gestibile (gli altri istituti maggiori non presentano criticità su questi livelli). Ma che succede se non funziona?

Al momento non sembra ci siano alternative, anche se, come in tutti i frangenti in cui aleggia la paura della fine del mondo, rimane il dubbio che lo spauracchio del too big to fail possa talvolta essere un comodo alibi per non saldare il conto degli eccessi passati.