Il 'radicale' Yashin ancora in carcere. In Russia la giustizia è la prosecuzione della guerra con altri mezzi
Diritto e libertà
La vicenda umana e politica del cittadino russo Ilya Yashin è stata segnata in queste ultime settimane da nuovi passaggi che si sono svolti nelle aule di (in)giustizia della Federazione Russa. Ciò accade perché l’aggettivo “radicale” può essere appropriato non solo nell’accezione di sinonimo di giusto che Ilya Yashin gli aveva dato in un messaggio pubblicato all’inizio della sua detenzione, ma anche per il metodo che viene utilizzato.
Yashin - così come i molti cittadini e le organizzazioni che ricorrono contro le limitazioni alle libertà civili e politiche davanti ai giudici chiedendo a quest’ultimi di interpellare la Corte Costituzionale sulla conformità ai principi costituzionali della Federazione Russa delle recenti modifiche all’ordinamento in materia di diffusione di notizie sulle attività dell’esercito – può essere considerato radicale perché con la metodologia usata dai radicali pretende che siano messe sotto accusa e sotto processo le leggi che il regime usa contro di lui e dei suoi concittadini. Ma quello di Putin è un regime nel quale l’amministrazione della giustizia deve essere considerata alla stregua di un mezzo per portare avanti la guerra ovvero per prepararla e renderla possibile facendo sì che non sia possibile parlarne o che ciò sia consentito soltanto ai soggetti autorizzati preventivamente a divulgare la versione dei fatti che deve essere conosciuta.
Anche per queste ragioni, come scritto sopra, nell’ultima settimana il Tribunale della città di Mosca si è occupato del caso del “radicale” (giusto) Yashin e per due volte è tornato a negargli giustizia e libertà. Sabato 8 ottobre il Tribunale è stato chiamato a pronunciarsi sull’azione promossa dai suoi avvocati contro il procedimento penale avviato a suo carico. Gli avvocati di Ilya Yashin hanno chiesto di dichiarare l’azione giudiziaria e la detenzione di Yashin illegali, non conformi alle leggi della Federazione Russa contestando il fatto che alla base del procedimento penale non esista un’azione concreta penalmente perseguibile. Il senso di questa azione legale è stato spiegato direttamente da Yashin che durante l’udienza ha detto rivolgendosi al giudice: “mi appello alla Costituzione ed al buon senso. Non puoi mettere una persona in prigione per aver dubitato pubblicamente che il Governo stia dicendo la verità e facendo tutto bene. Non sono io il colpevole, ma le persone che hanno messo questa cartella sulla tua scrivania. Non sono stato io a commettere il delitto, ma coloro che hanno scatenato la strage nel paese vicino. E non dovrei essere io dietro le sbarre, ma i mascalzoni responsabili del sangue sparso di russi e ucraini” E prima ancora di rivolgersi ai giudici ha detto “Ho osato dubitare della versione ufficiale del Ministero della Difesa della Federazione Russa sugli eventi in Ucraina. (…) E lo Stato usando il mio esempio dice inequivocabilmente alla società: devi credere a tutto ciò che dicono i funzionari su questa guerra. E in caso contrario verrai imprigionato (…) sostengo che il pubblico non è obbligato a prendere in parola i funzionari del governo. Al contrario, è nostro dovere civico essere critici nei confronti delle dichiarazioni dei funzionari, interrogarli e controllare attentamente tutto ciò che queste persone dicono. Questo atteggiamento distingue i cittadini dai lacchè”.
Il 12 ottobre il Tribunale della città di Mosca è stato chiamato a pronunciarsi di nuovo sulla legittimità dell’arresto e della detenzione in carcere di Ilya Yashin. Ed anche in questa occasione i giudici hanno respinto il ricorso. Commentando la notizia sui suoi canali social Ilya Yashin ha riferito a chi lo legge dal di fuori delle mura del carcere di Butyrsk nel quale è attualmente detenuto che durante i momenti di socialità i detenuti si sono congratulati con lui. E questa forma di ironia - ha aggiunto - cela come sempre accade una parte di verità raccontando come l’argomento più ricorrente all’interno della prigione “in questo momento è che dietro le sbarre è più sicuro che fuori perché almeno non saranno rastrellati per la mobilitazione e non saranno mandati al fronte a morire”. Qualcuno arriva a dire, forse scaramanticamente, che le mura spesse del carcere potrebbero resistere anche all’onda d’urto di un’esplosione nucleare. Tornando alla sua situazione conclude il suo messaggio scrivendo “Sarebbe tutto divertente se non fosse così triste” ed ammonendo tutti noi con queste parole “Voglio però ricordarvi, amici, che la depressione è un peccato mortale. Sii positivo e sostieni chi ti sta vicino”.
Il “radicale” (giusto) Ilya Yashin non è ovviamente vicino a me ed a chi sta leggendo, ma ciò non ci esonera dall’obbligo di sostenerlo energicamente senza rassegnazione e con la consapevolezza che nella guerra in corso sul campo la liberazione dei popoli della Federazione Russa da Putin e dai tanti che ambiscono a prendere il suo (stesso) posto non è un obiettivo nascosto e segreto – per raggiungere il quale gli Stati Uniti ed i suoi alleati usano il popolo ucraino – ma è oggettivamente una delle condizioni per il ristabilimento dell’ordine internazionale e della pace in quel pezzo di mondo e non solo in quello.
Analisti e diplomatici di provata esperienza hanno detto che quella del rovesciamento del regime di Putin non può essere una delle condizioni e/o degli obiettivi posti alla base della necessaria interlocuzione/trattativa per fermare la guerra in corso. Chi guida le istituzioni nazionali ed internazionali al fianco del popolo ucraino saprà fare tesoro di questo suggerimento. Ma quel che deve essere considerato accertato e chiaro, però, è che fin quando ci sarà un paese delle dimensioni della Federazione Russa - componente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - nel quale l’amministrazione della giustizia non è al servizio dei cittadini ma di chi conduce una guerra contro il loro diritto a conoscere e ad esprimersi, e nel quale ci si può sentire più sicuri all’interno di un carcere che non al di fuori di esso, non è possibile ristabilire le regole del diritto internazionale e la pace necessariamente fondata sul rispetto di quest’ultime. Ed allo stesso modo non sarà possibile discutere, come pure è necessario, della riforma di quelle regole o meglio dell’adeguamento delle disposizioni attraverso le quali assicurare una certa e stabile applicazione dei diritti che le regole internazionali riconoscono e sanciscono a beneficio di tutti, nonché neutralizzare e sanzionare chi li minaccia e li nega.