Scarpinato e Cafiero De Raho grande

C’è, nelle candidature di Cafiero de Raho e Scarpinato con il M5S, una sorta di cupezza retroattiva, di miseria politico-culturale nascosta, o anche solo latente, che prorompe in tutta la sua indicibile verità, per usare un aggettivo caro al secondo dei due alti magistrati.

Si capisce che l’elettorato passivo è un diritto costituzionale, liberamente esercitabile, eccetera. Come la presunzione di non colpevolezza, del resto: pure meticolosamente esautorata da prassi “rivelative” e gazzettistiche, filmiche e docufilmiche, a lungo coltivate o almeno insufflate senza ritegno.

Ma avere ricondotto ad un paradigma, quale quello cui dà corpo il M5S, infantile e plebeo nelle parole e nei pensieri, sconclusionato nell’azione politica, incivile e becero nelle posture istituzionali, il senso ultimo di una funzione inquirente e giudiziaria sempre presentata all’insegna di una unicità millennaristica, di una superiorità etica e personale su ognuno che non si acconciasse ad un servile e immediato “signorsì”, restituisce la verità su una lunga e, a quanto pare, inesausta e infausta stagione di imbarbarimento. E di disordine fanaticamente credulo e superstizioso: sul diritto, sulle stragi, su Cosa Nostra, su Falcone e Borsellino, e su certa scia, velenosamente speculativa, che giunge oggi ad un suo impudico apogeo.

Gente (e non vogliamo dire gentaglia per carità di patria), che non conosceva nemmeno il nome di Piersanti Mattarella, nè perché fu ucciso.

Che ha trasfigurato e sfigurato il coraggio del Generale Mori e di altri uomini solo encomiabili, in un ventennale stillicidio di offese e di ingratissime vendette paragiudiziarie e pretergiudiziarie, capace unicamente di tenere in sospeso la reputazione storico-politica della Repubblica.

Che ha lanciato e condotto alla sua dimensione di massa, la volgarità, l’allusione gratuita, l’offesa turpe e sistematica alle istituzioni democratiche, al metodo democratico, alle libertà democratiche.

Che ha incarnato l’orecchiamento, l’invidia sociale, il parassitismo programmatico, contrabbandandole sotto le mentitissime e fascistissime spoglie del riscatto per un “popolo negletto e proletario”.

Che ha legittimato l’incompetenza insolente come emancipazione, l’ignoranza crassa come autonomia, l’avidità incontenuta come giustizia sociale.

Insomma, un grumo socio-antropologico squallido, demagogico, illiberale, pernicioso e pericoloso, viene riconosciuto da Cafiero e Scarpinato come la loro più consentanea dimensione e prospettiva politica: quanto a dire, culturale ed istituzionale.

Una verità, questa venuta da queste candidature, che chiarisce mentre avvilisce: consegnando a radici e germogli di una gramigna catilinaria e sovversiva, la memoria trafugata di dolori, speranze, slanci e scelte invece generose, e di adamantino sacrificio.

Non basta nemmeno vergognarsi.

Solo l’oblío, il confidente abbandonarsi alla forza liquidatoria del tempo, potranno forse lenire uno sfregio tanto lacerante e ulcerante per la dignità della democrazia, del diritto, della verità. Forse.