Bucha 1 grande

Tutto sembra dimostrare che la politica e l’informazione italiana sono un circolo di risentiti ed offesi, con una permalosità che è proporzionale alla negligenza, se non all’improntitudine. Che in Europa – non solo in Ucraina – può pure essersi scoperchiato il baratro dell’orrore, ma loro – gli offesi, gli indignati, i "come ti permetti?" – rivendicano il diritto e il dovere di chiacchierarne in libertà, senza neppure curarsi di capire se per caso non stiano prestando la voce alla causa della dissonanza cognitiva, che è peraltro l’unica guerra che il capobanda del Cremlino sta vincendo.

L’altra ieri è stato presentato alla Camera dei Deputati un rapporto della Federazione Italiana Diritti Umani e della Open Dialogue Foundation dal titolo “Disinformazione sul conflitto russo-ucraino”. Come è spiegato in modo decisamente chiaro nell’introduzione non è una lista di proscrizione – proscrizione di chi, poi? La grande parte dei presunti proscritti campa in televisione da mane a sera e gli altri scrivono quando vogliono sui giornali – e neppure un elenco di “putinaini”, ma una carrellata di esempi che dimostra come “le verità alternative”, diffuse a piene mani dalla propaganda russa, abbiano trovato graziosa ospitalità e risonanza su svariate reti e testate italiane, a partire da quelle del servizio pubblico, con il contributo volontario e involontario di nomi di vaglia del giornalismo italiano.

L’indignazione su questo rapporto, che ha il solo limite di essere parziale e inadeguato a rappresentare il default morale della nostra informazione – per un lavoro esaustivo, non sarebbero bastate trenta pagine, ne sarebbero servite trentamila – non è stata suscitata dalle cose che racconta, ma dai personaggi che coinvolge. Infatti il notizione è che Corrado Augias sarebbe stato rubricato come putiniano. Cosa del tutto falsa, visto che di Augias, come di altri giornalisti e commentatori, si riporta non un giudizio su quello che è, ma un estratto di quello che ha detto, nel suo caso in un dialogo con Alessandro Barbero in una trasmissione Rai. Cose del tipo che Putin “ha profondamente radicato in sé il senso dell’anima russa, quel cristianesimo è molto più intenso del cristianesimo romano barocco”, oppure che “nell’azione di Putin oltre alle ragioni di potere e sicurezza, c’è anche una componente spirituale che riguarda la Russia – la “russicità”. Kiev nasce 800 anni prima di Mosca, è la culla di quella che si chiamava Rus’”. Posto che Augias non è Orsini, non è Micalessin e non è stato e non sarà un collaboratore di Sputnik, si può dire che queste frasi sembrano prese dai discorsi del Patriarca di Mosca Cirillo?

E che dire di un altro eroe dell’informazione democratica, Sigfrido Ranucci, che su Report ha trasmesso – rivendicando lo scoop mondiale – la confessione Aiden Aslin, un cittadino ucraino, nato in Gran Bretagna, catturato dai russi e intervistato in manette, che ammette (ma guarda un po’) di essere un mercenario e fa un appello (ma riguarda un po’) a Boris Johnson perché gli salvi la vita autorizzando uno scambio di prigionieri? Si può dire che questo è un pezzo di tv russa semplicemente coprodotta dalla Rai? Per capire il tono:
"Sei stato tu a chiedere un'intervista con un media occidentale?".
"Sì. L'ho fatto in precedenza con un giornalista russo, e dopo ho chiesto alle autorità della Repubblica Popolare di Donetsk di autorizzarmi a parlare con giornalisti stranieri per aiutarmi nella mia situazione".
"Sei libero di rispondere alle nostre domande o c'è qualcuno che ti fa pressione per dire qualcosa in particolare?".
"No. Sono libero di rispondere alle domande".
Libero di rispondere alle domande.

Non ci vuole troppo a capire che, se nel report non fossero finiti anche i mammasantissima dell’informazione democratica, non ci sarebbero stata la rivolta dei compagnucci della parrocchietta e non ci sarebbe stato né lo scandalo, né gli imbarazzati distinguo come questo, per cui a intervistare Dugin e Soloviev, che male c’è?

Tanti auguri dunque all’informazione con la schiena dritta, che avrebbe anche intervistato il Comandante Arkan, per fargli illustrare le ragioni per cui lavorava alla pulizia etnica in Bosnia, ma dissentendo gravemente dalle sue risposte (quando si dice il rigore professionale) e alla politica con la schiena storta, per cui l'infotainment dell’orrore è rubricabile alla voce “libertà dell’informazione”.

Comunque, questa è la morale della favola. La TV statale Russia Today e il quotidiano online Sputnik sono stati oscurati dalla Commissione Ue, perché l’industria bellica della dissonanza cognitiva non raggiungesse i suoi bersagli europei.
In Italia non solo l’informazione e l'intellighenzia ufficialmente putinista, ma pure quella formalmente anti-putinista pensa invece che riprodurre i talking points e ospitare gli altoparlanti della propaganda di governo russa – i Dugin e i Soloviev, per fare degli esempi – in fondo sia fare libera informazione.

Quindi I protocolli dei Savi di Sion del Cremlino e le voci dei colonnelli e dei generali della disinformazia di Putin sono tenuti fuori dalla porta dalla Commissione Ue, ma in Italia rientrano dalla finestra della “libertà di stampa” e ovviamente non c’è da stupirsi che l’Italia sia il solo paese europeo in cui quasi metà della popolazione crede che, se pure la colpa della guerra è di Putin, il maggiore ostacolo della pace sia comunque Zelensky.