L'Ucraina e la guerra. La colpa è di Putin, ma responsabilità è nostra
Diritto e libertà
Di chi è la colpa della guerra? Di Putin, in primo luogo: per un elementare principio: chi rompe, paga. Quanto ai rapporti fra stati, è ovvio che non sono sopprimibili: perciò, una misura maggiore o minore di interazione anche con la Russia è stata, fin qui, si potrebbe dire “naturalmente” necessaria. Sia da parte statunitense che da parte europea.
Interazione economica, innanzitutto, visto che il gas russo serve ad una molteplicità di popoli, che lo usano da decenni. Ed interazioni più politiche, anche: considerato che gli Stati Uniti, al cui campo d’azione buona parte d’Europa si riconduce, aveva ed ha ragione strategica di contemperare la propensione espansiva russa:
-da un lato, con la sua (degli USA) presenza politico-militare nel Vecchio Continente: sicché la Russia, cosí caratterizzata dalle pulsioni del suo Capo, ha svolto una funzione monitoria verso gli alleati europei (“attenti a tirare troppo la cinghia sulla vostra difesa, perché l’Orso è ai vostri confini, non ai miei”);
- dall’altro, con la Cina e le sue linee di espansione euroasiatiche (Road and Belt Initiatives, le c.d. Vie della Seta), verso cui era da ricercare una posizione che non “buttasse la Russia fra le braccia della Cina”. Specie sul delicatissimo quadrante centro-asiatico e caucasico (la recente rinuncia-malamente eseguita ma lungamente ponderata- alla presenza in Afghanistan, rientra in questo quadro, e tende ad impegnare, e possibilmente impelagare, entrambi i contendenti degli americani, Russia e Cina, nella gestione e nella ricerca di un equilibrio in quell’area tanto politicamente e socialmente impervia).
Ma tutto questo era un quadro regolato pacificamente, pur fra strutturali ed inevitabili frizioni e tensioni. E se uno stato, più o meno abitualmente, compra o vende da un altro, quando questo decidesse di mettersi a sparare, in nessun modo, per i suoi precedenti scambi pacifici, il primo potrebbe essere chiamato in causa rispetto ad una torsione bellicista, successivamente ideata ed eseguita in totale autonomia dal secondo.
Il piano bellico, dunque, è altra cosa. Incomparabile al piano politico ordinario. Chi decide di passare, “dalle armi della critica alla critica delle armi”, si pone in opposizione alla comunità internazionale: peggio, se a seguito di una tipica guerra di aggressione, con tutto il corredo catechistico di “provocazione”, “accerchiamento”, e simili.
Ora, stabilito che Putin in guerra è frutto di una colpa esclusiva di Putin, e che ogni “torto” che avesse ritenuto di subire, lo poteva legittimare a reazioni di specie omogenea agli asseriti “torti” (guerra economica, ricerca di nuove alleanze, spostamenti lungo preesistenti “catene di equilibrio”), ma non di tipo bellico, giudicare quale debba essere la nostra posizione è piuttosto semplice: è un nemico.
L’invio di armi ci qualifica come tali anche da parte russa: perciò, non c’è una schermatura che ci nasconde, o ipocrisia, come pure si sostiene: l’Italia è lí, ben riconoscibile. E lo è per una scelta limpida e degna, con cui stiamo concorrendo, secondo quanto ha precisato il Presidente Draghi, ad un tentativo di difesa da un aggressore. Certo, nessuno può pensare che, Putin o non Putin, l’Europa possa seguitare a disinteressarsi della questione della sua difesa: evidentemente, più centrale di quanto generalmente si voglia ammettere.
Bismarck, una volta chiese ai prussiani se volevano più burro o più cannoni. Vulgata vuole che lui volesse solo cannoni. In realtà, essendo piuttosto smagato sulle faccende della politica, con questa nota immagine, si era limitato a stabilire che ognuno dei termini in opposizione richiedeva scelte a lungo raggio. Ed oneri conseguenti: in termini di integrità territorial-politica vs “benessere come azzardo”. Perciò, sarà bene capire in fretta che dovremo avere meno burro e più cannoni, anche solo per approntare una deterrenza credibile. E che potrebbe anche essere necessario esporsi in prima persona, fisicamente.
Abbiamo una misura per le nostre scelte. Il confronto non va posto, fra Russia oggi e un altro stato domani che, considerato “il ritorno della guerra”, si facesse prendere da fregola bellicista. Non sarebbe una situazione comparabile alla presente, perché i soggetti internazionali con lo standing di Potenza Continentale non sono che tre. Sicché, nei teorici "altri casi", proprio la minor forza coinvolta renderebbe senz’altro esperibili immediate soluzioni negoziali.
Ma qui abbiamo una Potenza che sta sfidando, plausibilmente, l’Ordine nato dalla Seconda Guerra mondiale. Roba grossa. Dobbiamo, allora, scegliere fra Putin oggi, e un Putin vittorioso domani, rispetto ai suoi ulteriori obiettivi, da perseguire con i mezzi che lo avremmo autorizzato a ritenere legittimati.
Come prima accennavo, talvolta, a proposito della posizione assunta dal nostro Governo (invio di armi e concertazione NATO a sostegno dell’Ucraina), si afferma trattarsi di posizione ipocrita: giacché, al fronte starebbero gli ucraini, e le nostre armi sarebbero solo maschera per la nostra cattiva coscienza.
Non ci siamo. Se proprio di ipocrisia si vuole parlare (anche se in politica non è mai un criterio raccomandabile, dedurre conclusioni da paradigmi di tipo morale), ci si potrebbe più congruamente concentrare sulla pretesa, di certa Europa, alla contemplazione di sé, mentre altri, gli USA, dovrebbero impegnarsi al posto nostro a tenerci lindi e intatti in un mondo sporco e tumultuante.
Si chiama irresponsabilità. Il contrario di responsabilità.