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Attorno alla ri-nomina dei vertici della Cassazione di giovedì scorso sono successe tre cose sconvolgenti, ciascuna rappresentativa dello sconvolgimento che la putrefazione istituzionale del CSM ha comportato nell’equilibrio e nello scontro tra i poteri costituzionali e purtroppo significativa del loro perdurante asservimento ai vertici putrefatti della magistratura e del suo organo di autogoverno.

In una democrazia, quando un potere, qualunque potere, diventa esso stesso un problema per la tenuta del sistema democratico e per il rispetto dello stato di diritto, si entra in una fase di conclamata emergenza. Anche a quelli che in questi decenni sono stati ottenebrati dall’illusione di una soluzione giudiziaria ai problemi politici del Paese, quanto è successo negli ultimi anni – non tanto il caso Palamara, ma il modo in cui si pretende di risolverlo, con la liquidazione del mariuolo e il ritorno alla routine palamariana, ma senza Palamara – avrebbe dovuto insegnare che il modo di fare politica delle toghe non era diverso né migliore di quello dei politici ed era così indissolubilmente intrecciato ad esso, pure al riparo della tanto proclamata autonomia e indipendenza, da compromettere non solo la credibilità e la rispettabilità, ma la stessa legalità del sistema.

Quanto è successo dovrebbe cioè avere insegnato che Palamara non era la malattia che minacciava il corpo sano della magistratura, ma una delle sue tante e pure più ingenue manifestazioni. Il sintomo, non la sindrome. E quanto è successo in seguito, il tutti contro tutti delle correnti e nelle correnti, la guerra civile dentro la Procura di Milano e la prosecuzione di nomine e promozioni fatte tra faide e bilancini è la misura della sostanziale intangibilità dei metodi (e dei relativi esiti) che rappresentano un fattore non di legittimazione, ma di discredito della magistratura.

Quanto è successo l’altro ieri è come il suggello di questa tossica normalità.

I fatti sono noti. Il Consiglio di Stato ha annullato pochi giorni fa la nomina del Presidente e del Presidente aggiunto della Cassazione fatta dal CSM, ritenendo che pur nell’ambito dell’ampia discrezionalità riconosciuta dalla legge al Consiglio, la decisione non abbia rispettato i principi fissati dalla stessa legge per la valutazione comparativa dei candidati.

La prima cosa sconvolgente è che il CSM si sia riunito giovedì per riconfermare le nomine annullate, da quel che si capisce provando a motivare il modo diverso la preferenza per i candidati prescelti. Non si tratta - si badi - di giudicare se il giudizio del Consiglio di Stato sia giusto, ma se sia una pronuncia giurisdizionale che debba essere osservata. E la rispostra del CSM è stata: tamquam non esset.

La seconda cosa sconvolgente è che il Capo dello Stato abbia voluto presiedere questa seduta, non sappiamo con quale intenzione soggettiva, ma sicuramente con il risultato oggettivo di avallare e coprire una decisione che proclama il CSM legibus solutus e che più profondamente afferma che l’unità della magistratura – cioè gli accordi temporanei tra i fratelli-coltelli delle diverse correnti su nomine e promozioni – costituisce di per sé un principio di stabilità istituzionale. Infatti la ri-nomina è passata a larghissima maggioranza, con soli tre voti contrari e tre astenuti.

La terza cosa sconvolgente è che questo fatto di inaudita gravità sia stato considerato normale, anzi quasi dovuto dalla generalità del sistema politico e dell’informazione, con l’eccellente e sempre meritoria eccezione del Riformista sia nel nel racconto dei fatti che nell’estrazione della morale .

Non si tratta ora di valutare, come suggerisce qualcuno, se per evitare conflitti tra la magistratura amministrativa e il CSM non sia meglio prevedere un organo diverso – costituito ad hoc – per esaminare i ricorsi sulle decisioni disciplinari e amministrative del CSM, del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa e di quella contabile.

Si tratta di prendere atto che il CSM – questo CSM, dopo tutto quello che è successo – può fare quello che vuole, nell’ossequio generale. Anzi, che ai vertici, anzi sopra i vertici dello Stato c'è questo, proprio questo, CSM. Tutto il resto è fuffa e retorica.