Payton grande

Quando, al giorno d’oggi, si parla delle proteste per i diritti dei neri negli Stati Uniti, si pensa soprattutto a movimenti di estrema sinistra come Black Lives Matter o, per i più vecchi, le Pantere Nere; movimenti che spesso si dichiarano socialisti e anticapitalisti, in quanto formulano un equazione per cui il capitalismo è uguale all’oppressione. Sebbene il libero mercato possa portare con sé disuguaglianze e ingiustizie, c’è stato un uomo che, a inizio ‘900, si servì proprio del libero mercato per aiutare i neri in difficoltà economiche. Il suo nome completo era Philip A. Payton Jr. (1876 – 1917), ma per molti era conosciuto come “il padre di Harlem”.

Immobiliarista di successo, era quel che si dice “un uomo che si è fatto da solo”: come racconta il saggio del 1907 The Negro in Business dello scrittore afroamericano Booker T. Washington, Payton era figlio di un barbiere e di una parrucchiera, e lavorò sin da bambino nella bottega del padre. A 23 anni lasciò la sua cittadina natale nel Massachusetts per andare a New York in cerca di fortuna; qui, prima di fondare una sua società immobiliare nel 1900, dovette fare piccoli lavori con cui guadagnava dai 5 agli 8 dollari a settimana.

Come raccontava nel maggio 2018 la rivista americana Reason, Payton decise di affittare case a quei cittadini di colore che molti imprenditori bianchi non volevano vicino a sé. Ciò avveniva in un contesto preciso: all’epoca molti neri si erano trasferiti a New York dagli stati del sud, dove le Leggi Jim Crow avevano peggiorato le loro condizioni di vita, ma spesso finivano a vivere in pochi quartieri sovraffollati, in case diroccate dove spesso non c’erano bagni o acqua calda. Senza contare che spesso subivano aggressioni per motivi razziali. Siccome i bianchi non volevano avere vicini neri, Payton si ritagliò una fetta di mercato che pochissimi volevamo sfruttare: “Quel pregiudizio che tanto male ci ha fatto può essere sfruttato a nostro vantaggio,” ebbe modo di dire.

Le sue idee a favore del libero mercato si consolidarono dopo che, nel 1902, prese parte ad una conferenza organizzata proprio da T. Washington sull’imprenditoria di colore, la National Negro Business League, dove ebbe modo di confrontarsi con i più importanti uomini d’affari nella comunità afroamericana dell’epoca, ottenendo da parte loro un certo sostegno per la propria impresa.
“La lotta che sto portando avanti prima o poi andrà fatta, e non vedo un momento migliore di questo” ebbe modo di scrivere in seguito. Il suo sogno era quello di creare un mondo dove “un negro rispettabile e rispettoso della legge possa trovare una situazione talmente cambiata (rispetto ai suoi tempi) che potrà vivere in affitto ovunque i suoi mezzi glielo consentano.”

All’inizio faticò a trovare clienti, ma le cose migliorarono quando, nel 1905, un proprietario edile decise di affittare appartamenti a famiglie di colore, ma così facendo fece fuggire in massa tutti gli inquilini bianchi che non volevano vivere vicino ai neri. Vedendo tanti appartamenti rimasti vuoti, Payton li acquistò a prezzi stracciati e li affittò alla gente di colore, arrivando in breve tempo a diventare padrone, tramite la sua Afro-American Realty Company, di 7 dei 48 condomini del quartiere. In breve tempo divenne famoso come benefattore della gente di colore, e Harlem divenne grazie a lui il loro quartiere. In merito agli impresari bianchi che non affittavano ai neri, disse nel 1904: “Perché i proprietari dovrebbero lasciare i loro appartamenti vuoti, e in tal modo rinunciare ai tanti soldi per gli affitti, quando c’è un candidato per cui l’unica obiezione che può essere fatta è che ha la faccia nera?”

Ma il suo maggiore successo avvenne nel 1904, quando sfidò un'altra compagnia di immobiliaristi, la Hudson Realty, che intendeva riportare la “purezza razziale” nel quartiere. Questo perché quell’anno sarebbe stata inaugurata la metropolitana di New York, di cui una delle prime fermate sarebbe stata proprio vicino ai condomini di proprietà della Hudson, facendoli aumentare di valore. Essi acquistarono diversi appartamenti da cui sfrattarono tutti gli abitanti di colore. Per contrattaccare, Payton acquistò due palazzi lì vicino e fece sfrattare i residenti bianchi, facendo venire al loro posto i neri sfrattati dalla Hudson. Questa offrì molti soldi per acquistare la compagnia di Payton, che però rifiutò.

La Afro-American Realty Company si sciolse nel 1908 a causa di faide interne e battaglie legali tra i suoi stessi soci, che portarono ad un processo per frode contro Payton. Nonostante ciò, il “padre di Harlem” continuò a fare investimenti nel quartiere e a dare case alla sua gente fino al 1917, quando morì di cancro al fegato all’età di soli 41 anni.

Egli sosteneva che il razzismo e il profitto economico fossero in contrasto, poiché il primo impediva agli affittuari di New York di avere nella comunità afroamericana dei potenziali clienti, a cui vendere o affittare appartamenti a basso prezzo. Scrisse che “il pregiudizio razziale è un lusso, e come tutti i lussi può diventare molto costoso a New York.” Un’idea che decenni dopo sarebbe stata ripresa da due economisti Premi Nobel: Milton Friedman, che nel suo libro del 1962 Capitalismo e libertà scrisse che “l’uomo che pratica una discriminazione paga un prezzo nel farlo”; e Gary Becker, che nel saggio del 1957 The Economics of Discrimination scrisse che coloro che discriminano i neri “devono pagare o rinunciare a dei guadagni per questo privilegio.”