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Il conflitto tra Russia e Ucraina, entrato nel suo ottavo anno (al febbraio 2014 risale l’occupazione della Crimea, seguita in aprile dall’inizio della guerra in Donbas), è tornato recentemente alla ribalta delle cronache internazionali. 

L’ingente ammasso di forze armate russe ai confini orientali e meridionali del Paese delle ultime settimane e il considerevole aumento della disinformazione degli organi di informazione pro-Cremlino - con la diffusione di fake news quali l’Ucraina è in procinto di compiere il genocidio dei russi presenti nel Donbas, l’Ucraina non è nemmeno uno Stato, le forze armate ucraine cercano di provocare un conflitto armato su vasta scala nel Donbas, un drone ucraino ha ucciso un bambino nel Donbas etc, - dicono di una situazione ad elevata criticità che potrebbe portare, nel worst case scenario, a un’invasione su vasta scala.

Come confermato dal Ministro degli Esteri Ucraino Dmytro Kuleba nel briefing alla stampa estera tenutosi sulla piattaforma Zoom nel primo pomeriggio di martedì 20 aprile, la Russia ha già schierato 150.000 truppe ai confini dell’Ucraina e diverso materiale bellico e logistico in siti strategici.

In Crimea per esempio – spiega Kuleba – Mosca ha collocato brigate balistiche Iskander, sistema missilistico ad alta precisione con capacità nucleare e nel Mare di Azov sono arrivate 10 navi della marina russa, compresi mezzi da sbarco e navi da guerra, provenienti dal Mar Caspio. Inoltre il Cremlino ha annunciato un piano che prevede il blocco delle navi militari straniere e delle navi civili in alcune parti del Mar Nero, inclusa la Crimea occupata e lo stretto di Kerch.

L’ingente dispiegamento di forze militari russe, già stigmatizzato dal Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg che la scorsa settimana l’ha definito “ingiustificato, inspiegabile e profondamente preoccupante”, fa sì che non si possa escludere alcun scenario.
Le azioni della Russia – come ha sottolineato Kuleba, ricordando il precedente dell’occupazione della Crimea del 2014, avvenuta in violazione del Memorandum di Budapest del 1994, di cui la Russia era una dei firmatari assieme a Gran Bretagna e Stati Uniti, occupazione che ha minacciato per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale le fondamenta dell’ordine internazionale – sono assolutamente imprevedibili.

In questi giorni la diplomazia di Kyiv si sta attivando per cercare il più ampio supporto a livello internazionale per scoraggiare Mosca dall’intraprendere una nuova aggressione nei confronti dell’Ucraina che avrebbe conseguenze molto gravi anche per la stessa Federazione Russa. 

A detta del Ministro degli Esteri Ucraino sono tre le ragioni che hanno indotto Putin a mobilitare contingenti militari addirittura superiori a quelli della primavera 2014 ai confini dell’Ucraina. Due sono motivazioni di politica internazionale, una è di carattere interno. 

La prima è che la Russia vuole aumentare la pressione sull’Ucraina per risolvere il conflitto in Donbas attraverso ultimatum e senza alcun compromesso.

La seconda è che Mosca cerca di dimostrare al mondo democratico Occidentale che farà ciò che vuole ignorando le sanzioni imposte da UE e Stati Uniti per il tentato avvelenamento dell’oppositore interno Alexei Navalny con l’agente nervino novichok e per le attività di interferenza nei processi elettorali negli Stati Uniti.

La terza ragione, di natura interna, è dovuta al calo di popolarità di Putin e del suo partito di governo. Il Cremlino vuole mobilitare la popolazione russa e aumentare il supporto intorno al proprio leader prima delle elezioni parlamentari di settembre e distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi interni come l’elevata corruzione e il basso tenore di vita.

A parere di chi scrive una delle ragioni, che ha provocato l’ira di Putin e una nuova escalation del conflitto, è il repentino cambio di rotta del Presidente ucraino Zelenskyi. Se fino allo scorso dicembre l’inquilino del Cremlino era certo che il suo omologo alla Bankova, eletto nel 2019 attraverso una campagna elettorale digitale di stampo populista che prendeva a prestito molti degli slogan usati dai media russi contro la presidenza Poroshenko (“regime corrotto di Poroshenko”, “Kyiv sta conducendo una guerra in Donbas”, “l’Ucraina ha abbandonato le popolazioni del Donbas”, “tutti tranne Poroshenko” , “Poroshenko è alcolizzato”) conducesse una politica filorussa, negli ultimi tempi Putin ha dovuto constatare che Zelenskyi ha compiuto una serie di passi coraggiosi per emarginare le forze pro-Cremlino in Ucraina.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la decisione dell’amministrazione presidenziale nel febbraio di quest’anno di chiudere una serie di canali televisivi ucraini legati all’alleato di Putin Viktor Medvedchuk, rei di manipolare l’informazione e di condurre una vera e propria guerra informativa volta a minare la statualità ucraina.

Considerati gli stretti legami di Medvedchuk con il Cremlino e il suo apparente status di “intoccabile”, l’azione di Zelenskyi, intrapresa per ragioni di sicurezza nazionale, è stata interpretata da molti come un vero e proprio atto di sfida verso Putin.
Alcuni giorni dopo la decisione di chiudere i canali televisivi del Cardinale Grigio della politica ucraina – Medvedchuk è da sempre considerato il leader indiscusso della quinta colonna russa a Kyiv – le forze del Cremlino nell’Ucraina orientale hanno aumentato i loro attacchi lungo i 400 km del fronte del conflitto uccidendo 27 soldati ucraini. Congiuntamente all’escalation in Donbas, Mosca ha iniziato ad accumulare truppe convenzionali in Crimea e in prossimità dei lunghi confini, 2000 km, della Russia con l’Ucraina e i media filo-Cremlino hanno intensificato le loro attività di disinformazione con fake news e messaggi ucrainofobici.

Sulla TV russa di stato, il popolare conduttore di prima serata Dmitry Kiselyov nel corso del suo popolare programma ha definito l’Ucraina uno “stato nazista”, sostenendo che la Russia potrebbe essere costretta a intervenire militarmente per “de-nazificare” il Paese.

Il 10 aprile, anche Sputnik Italia, outlet filo-Cremlino che negli ultimi tempi sembrava perseguire una strategia comunicativa più mainstream evitando toni virulenti, puntando su una disinformazione più sottile e sofisticata, ha pubblicato un editoriale di Timofey Sergeytsev dall’eloquente titolo L'Ucraina di cui nessuno ha bisogno, Russia in primis infarcito di retorica ucrainofobica e di fake news.
I messaggi veicolati in questo articolo ricordano da vicino i pezzi usciti nella primavera del 2014 quando l’operazione militare russa in Donbas guidata da Igor Strelkov era costantemente accompagnata da una fervida attività editoriale degli outlet e dei social media controllati e/o collegati al Cremlino. Il lungo editoriale di Sergeytsev, che vi invito a leggere, è una vera e propria summa delle narrative disinformative che dai giorni di Euromaidan (febbraio 2014) i media pro-Cremlino diffondono sull’Ucraina.

Ne citerò solo alcune a titolo d’esempio:
• L’Ucraina ha prestato un massiccio giuramento neonazista attraverso un vettore politico apparentemente dotato di bell’aspetto e legato alla “lotta per l'Europa”
• L’Ucraina non rispetta gli accordi di Minsk
• L’Ucraina è una minaccia non solo per i cittadini russi nel Donbas ucraino, ma anche per i territori russi adiacenti all'Ucraina
• Le autorità ucraine hanno perso da tempo i contatti con la legge e la costituzione
• Il potere è esercitato attraverso il terrore e l’intimidazione da parte di bande nazionaliste armate sostenute dal ministro dell’Interno Avakov, che è appunto un dittatore interno
• Il presidente ucraino Zelenskyi non ha nulla a che fare con l’esercizio effettivo del potere nel paese
• In Ucraina si glorifica sistematicamente il nazismo e si praticata l’antisemitismo
• Le formazioni ucraine uccidono non solo chi combatte imbracciando le armi in divisa militare, ma anche anziani, bambini e donne (l’ennesimo bambino è morto pochi giorni fa), indicando chiaramente con le proprie azioni l'obiettivo della completa pulizia fisica del territorio
• La dottrina razziale ucraina è l'unica base per il governo centrale di Kyiv, così come l'uso delle forze armate e gruppi terroristici contro la popolazione russa delle regioni di Donetsk e Luhansk
• Durante i sette anni di guerra, il neonazismo ucraino ha commesso quasi l’intera serie di crimini qualificati e condannati dal Tribunale internazionale di Norimberga e dai processi di Norimberga del 1946-1949, nonché il processo ai criminali di guerra a Tokyo

Chi non conoscesse affatto la reale situazione del Paese e credesse in buona fede a queste affermazioni sarebbe indotto, con molta probabilità, a sposare le ragioni di Mosca. È evidente che in un contesto di guerra ibrida come quello del conflitto russo-ucraino, l’information warfare, ossia la guerra informativa, gioca un ruolo fondamentale.

Kyiv è ben consapevole di ciò e l’attività diplomatica di questi giorni – i vari incontri con capi di stato di tutto il mondo e con un’amplia platea di giornalisti – ha anche lo scopo di fornire informazioni reali su ciò che sta succedendo. La situazione – come ha sottolineato Kuleba – è complessa e imprevedibile, tante sono le variabili che possono influenzare questo scenario.

Lo strumento delle sanzioni, di cui il Ministro degli Esteri ucraino ha discusso qualche giorno fa a Bruxelles, è sicuramente una leva importante, seppure non esaustiva, per cercare di ridurre Putin a più miti consigli, ma nessuna decisione è stata finora presa dalla UE.

Un nodo cruciale è quello relativo al Nord Stream 2. Kuleba ha ribadito come il gasdotto sia un progetto di natura politica e non economica che mira a bypassare l’Ucraina e che va contro gli interessi di sicurezza dell’Europa. Tesi questa che trova concorde i Paesi Baltici e l’ex Presidente del Consiglio Europeo, il polacco Donald Tusk, che nei giorni scorsi ha invitato l’Europa a fermarlo.

Alcuni analisti si chiedono quale sarà il ruolo della Bielorussia, considerando che 7 anni fa, allo scoppio del conflitto, il presidente Lukashenko godeva di un’autonomia decisionale superiore a quella odierna. Lukashenko, dopo le contestate elezioni presidenziali del 9 agosto 2020 in cui è stato accusato di frodi elettorali e le successive proteste di piazza a Minsk organizzate dalla leader dell’opposizione Sviatlana Tsikhanouskaya, è un leader indebolito il cui futuro politico dipende in buona misura dal suo unico alleato rimasto, il Cremlino. All’inizio di aprile è emerso che la Bielorussia sta dispiegando forze e hardware militare alla sua frontiera ucraina in un modo che sembra essere coordinato con le azioni di Mosca.

Il giornalista tedesco Julian Ropcke della Bild, che ha monitorato meticolosamente il modo in cui la Russia ha spostato grandi quantità di truppe al confine ucraino, il 1° aprile ha twittato foto di veicoli blindati BTR-80, camion militari e altro hardware militare bielorusso diretto a circa 60 chilometri dal confine tra Minsk e Kyiv.

Che le relazioni tra Ucraina e Bielorussia non siano più amichevoli come un tempo – Lukashenko partecipò alla cerimonia di insediamento del Presidente Poroshenko nel 2014 – è confermato anche dalle dichiarazioni del vice primo ministro ucraino Oleksiy Reznikov che ha annunciato che il suo Paese non parteciperà più ai colloqui di pace con la Russia a Minsk, capitale che dal 2014 ospita i negoziati per trovare una soluzione diplomatica alla guerra nel Donbas.

Reznikov ha affermato che la Bielorussia è sotto l'influenza della Federazione Russa e che che attualmente a Minsk domina la “retorica anti-ucraina”.
L’incognita Bielorussia introduce un ulteriore elemento di erraticità in uno scenario di guerra ibrida complicato e imprevedibile. In questa fase sottovalutare l’ostentazione di muscoli del Cremlino interpretandola solamente come profusione di retorica di un regime dittatoriale e cleptocratico in evidente difficoltà, sarebbe profondamente sbagliato. La minaccia rappresentata dalla Russia, gigante dai piedi di argilla ma le cui forze armate sono tuttora le seconde al mondo, è una minaccia reale per tutto il mondo democratico.

È ora – come scrive Daniele Raineri sul Foglio – di smettere di fare finta che esistano due presidenti russi Vladimir Putin, ossia un “Putin statista presentabile con il quale è necessario parlare di economia e di mercato e un Putin che ordina in sequenza operazioni molto aggressive contro l’occidente e contro i vicini”. È ora, aggiungo, che i leader democratici occidentali abbandonino l’ipocrisia del “deeply concerned” e agiscano in modo fermo e risoluto di fronte all’aggressività russa.