Carl Schmitt e l’eversione ‘democratica’ delle costituzioni liberali. Ieri e oggi
Diritto e libertà
In uno dei suoi ultimi saggi La rivoluzione legale mondiale - nel 1978 - Carl Schmitt, il grande giurista tedesco della Teologia Politica e del Nomos della Terra, si occupò dell’ossimoro “rivoluzione legale”. Questa accoppiata apparentemente paradossale – rivoluzione e legalità - assume importanza anche per l’oggi, perché delinea la possibilità sempre incombente di una presa di potere formale, secondo procedura, che nasconde la volontà di sovvertire, in fondo, l'assetto normativo costituzionale utilizzato come mero strumento.
Schmitt riprende, sul punto, uno scritto del 1977 di Santiago Carrillo, segretario del Partito Comunista spagnolo, intitolato L'Eurocomunismo e lo Stato. Il giurista sottolinea a proposito di questo scritto un cambio di passo tra i rivoluzionari di professione: i metodi illegali di deposizione dello Stato (come quelli teorizzati da Lenin e da Trotsky) vengono rigettati come logori e figli di un’epoca immatura.
Negli anni ’70 dello scorso secolo – come oggi, evidentemente – ciò che è davvero in gioco non è la soppressione del potere e l’instaurazione della dittatura in un nuovo "ordine" immediato, ma la conquista dello stesso per la realizzazione “interna” dei propri obiettivi eversivi, per un progressivo sgretolamento, potremmo dire, che mira a conservare solo il guscio vuoto (ma visibile e funzionale) del precedente assetto. E proprio per questo, Schmitt lo sottolinea, i rivoluzionari cominciano a “scrivere Stato” con la maiuscola e ciò, evidentemente, è un processo di rottura con la tradizione classica dei miti rivoluzionari, sovversivi, anarchici.
Il giurista è chiaro nell’evidenziare come i precedenti di questo approccio legalitario al ribaltamento politico si possano ritrovare in Mussolini o Hitler, bravi a piegare le formule “costituzionali” di fronte al deflagrare plebiscitario del proprio consenso. In tale contesto, lo Stato, il potere legale, è il dispositivo operativo e necessario di una rivoluzione apparentemente pacifica che conduce, di ritorno, una volta giunti al vertice, tanto alla legittimazione del percorso fin lì intrapreso, quanto alla possibilità di una rivoluzione permanente fondata sul simulacro di una legalità fantasmatica.
La legalità è sempre più utile ai rivoluzionari (oggi diremmo meglio: ai demagoghi, ai populisti) perché il sovvertimento legittimato esclusivamente dalla propria ideologia salvifica e “violenta” rischia di generare solo caos e distruzione mentre - più surrettiziamente – l’occupazione autorizzata dei palazzi del potere consente il raggiungimento dell’obbedienza in maniera razionale, secondo la neutralizzazione insita nella pseudo-depoliticizzazione contenuta nell’esercizio “amministrativo” dell’autorità - spacciato come semplice alternanza naturale - che conduce ad innegabili benefici politici.
Chi è “in carica”, infatti, può generare situazioni sempre nuove di esercizio del potere e gode, quindi, di un plus valore politico di natura legale, senza necessità di arbitrio o di violenza. Questo plus valore, dunque, va riconosciuto e il più possibile arginato.
Nello Stato moderno, come è noto, la legittimità è determinata dall’auto rappresentazione dei valori costituzionali. Possiamo ben dire, quindi, che la legittimità statale corrisponde, oggi, in Occidente, all’ identità liberale e democratica di una Nazione e, proprio per questo, nel contesto di questa specifica legittimità identitaria, i valori e le norme procedurali e di controllo – dette di Super legalità - hanno il compito di proteggere il sistema dal mutamento eversivo/rivoluzionario, di contenere il plus valore politico di natura legale.
Questi valori e queste norme, se davvero operative nella coscienza collettiva e nelle istituzioni, strutturano l'Ordine solo nella continuità impedendo – con il concorso dell’opinione pubblica, attraverso il divieto di revisione costituzionale o con la richiesta di maggioranze qualificate, o tramite il controllo della Corte costituzionale - il mutamento “reale” di assetto democratico. Schmitt, già nel 1932, con il celebre testo Legalità e Legittimità, nel tentativo di salvare la democrazia di Weimar dall’assalto delle forze anti sistema, cercò di rappresentare questo approdo della scienza giuridica europea, affermando – contro lo scatenarsi delle fazioni contrapposte impegnate nella moltiplicazione del consenso di casta/classe/corporazione/razza - la necessità di far emergere, proprio dallo “spirito” della Costituzione, i limiti cogenti opponibili a chi contende in maniera sovversiva le cariche istituzionali, a chi si candida ad assumere i benefici del plus valore politico.
Per ciò Schmitt, in quel contesto, si prontò a dichiarare “incostituzionale” la nomina a Cancelliere del Reich di un Nazionalsocialista o di un Comunista. Per il giurista cattolico, custode della super legalità democratica, quindi, ogni Costituzione viva e concreta contiene, anche oltre la mera lettera, principi politici che tutelano un nucleo preciso di immodificabilità del Sistema. La previsione di procedure di revisione della Carta non può condurre, quindi, all'estremo della deposizione della legalità costituzionale; non può giungere al superamento dell’identità politica.
Il plus valore della carica legale occupata pro-tempore, per quanto giustificato dal consenso popolare espresso attraverso le regole democratiche, non può legittimare i pieni poteri e deve sottomettersi al livello meta-giuridico che “eccede” la norma-normalità per tutelare la stabilità del sistema, contro le forze anti sistema. La super-legalità, quindi, inerisce completamente e, allo stesso tempo, trascende le formule costituzionali: è ciò che Aldo Moro, nei suoi interventi in Assemblea Costituente, definì "ideologia necessaria" e che sconfessa il neutralismo di chi si oppone ad ogni conventio ad excludendum.
L'ideologia necessaria, nel caso italiano, è l’antifascismo morale e politico che ha sostanzialmente impedito ogni deriva autoritaria anti repubblicana. In un contesto cripto rivoluzionario, una volta disarticolata l’operatività dei freni politici/ideologici che vivificano il potere costituito, l'uso strumentale del surplus politico legato al consenso popolare e all’esito elettorale è funzionale alla strutturazione del potere da parte di soggettività politiche “estreme” che, al prossimo giro, alle prossime elezioni, non restituiranno il favore, non lasceranno semplicemente la “carica” (il recente caso “americano” è emblematico in tal senso).
Ovviamente, il segreto dell’operazione è la simulazione e l'inganno tattico strategico e a questa frode è evidentemente connesso l’oblio della fonte costituente, del magma originario e politico, dell’impegno e del “sangue” che ha dato vita – nella associazione/contrapposizione amico/nemico – allo Stato.
Il fenomeno giuridico - e il diritto costituzionale innanzitutto - non può essere ridotto solo a “documento” ed è fondamentale operare, di continuo, un chiaro “riconoscimento” dell’alterità incombente, ben oltre l’apparente formale rispetto delle procedure.
Non basta rispettare strumentalmente le regole, non basta questa “finzione” retorica ad escludere l’illegittimità degli obiettivi “finali”, occulti. Si può infatti agire in apparenza “legalmente” ma muoversi al di fuori dalla “legittimità” democratica. A tal proposito così si esprime Schmitt ne La rivoluzione legale mondiale: “Chi lavora legalmente non è un disturbatore, un aggressore o sabotatore. La legalità si dimostra [così] inevitabile modalità della trasformazione rivoluzionaria”.
Occorre, quindi, anche in un ambito liberal-democratico, distinguere il nemico politico cui deve essere reso più difficile o, meglio, impedito l'accesso al governo della “legalità”. Ciò ovviamente, per il cedimento innanzitutto spirituale del Sistema, non fu possibile per la Repubblica di Weimar che, così, fu travolta dalla rivoluzione legale hitleriana. La giovane democrazia tedesca - vittima delle spinte centrifughe degli ideologismi contrapposti di Partiti eversivi gonfiati da una straordinaria dialettica in competizione per l’esclusione reciproca - mantenne sostanzialmente aperta la porta della “legalità” tanto alla Destra che alla Sinistra estrema.
Hitler, così, dal primo giorno della sua nomina a Cancelliere del Reich seppe ben sfruttare i benefici politici del possesso del potere: il surplus politico legato alla carica fu un susseguirsi senza freni, appunto, di rivoluzioni legali. Hitler, in breve, seppe chiudere dietro di sé la porta della legalità attraverso la quale era passato, gettando i suoi nemici politici, per vie legali, nell’illegalità: mutò la legittimità di Weimar attraverso le sue stesse procedure formali.
Lo stesso errore, per fortuna, non fu fatto con la nuova Costituzione tedesca di Bonn (1949) che nello sbarrare le porte della legalità, attraverso le sentenze della Suprema Corte federale, a precise formazioni partitiche eversive (incompatibili con l’assetto valoriale democratico) espresse un’efficace modalità di difesa del liberalismo. Ancora oggi – in l’Occidente - il richiamo al voto “tradito” (e alla perenne instabilità elettorale) - in opposizione alle istituzioni in essere, contro le dinamiche parlamentari della rappresentanza, attraverso il “piffero” della democrazia plebiscitaria, refrattaria alle forme, demagogica e Anti Casta - mira ad una “sostituzione” legale nel Potere che promette sicuri effetti catartici.
Nell’attivazione del plus valore statale/istituzionale, ad opera dei “rivoluzionari” finalmente dentro la stanza dei bottoni, ciò che viene immediatamente meno è la sicurezza dell’alternanza politica, il passaggio pacifico dei poteri, il ruolo di mediazione degli interessi e di espressione – nel dialogo, nel compromesso, nell’arbitrato – proprio del Parlamento. Il risultato, come sempre, non è mai il governo del Popolo ma dell’Uno che in qualche modo, traducendola in esclusiva, riduce la pluralità popolare (People) in un singolare asfittico.
Il nemico eversivo, dunque, è il sovranismo populista, tutto il vasto mondo che rinnega centralità all'Europa per l’affermazione nazionalistica e demagogica e che disconosce lo sviluppo propriamente “costituzionale” e di "destino" nella nostra appartenenza alla UE. Proposte politiche alternative a questa appartenenza sono ovviamente nocive e pericolose ed è giusto che i nostri partner europei, le Istituzioni Comunitarie, i Partiti, esercitino una influenza reciproca nella discriminazione tra soggetti credibili o meno nell’ accesso al plus valore democratico.
Il PPE dovrà, presto, risolvere l'ambiguità della presenza nei suoi ranghi di Orban e, da noi, Salvini, se davvero vorrà concretamente candidarsi, prima o poi, a governare l'Italia, dovrà superare la collocazione attuale della Lega all'interno del Parlamento europeo, allontanandosi dall'abbraccio "escludente" con il Fronte Nazionale, operando una revisione dei propri assunti ideologici.
Di questo si tratta: di anticorpi istituzionali e politici a tutela di una "Super Legalità" liberal democratica che costituisce il nucleo immodificabile della costituzione "spirituale" d'Europa. Se scriverla davvero questa costituzione, se inserirvi il riferimento culturale alla civiltà giudaico-cristiana, alla secolarizzazione illuminista, all’obiettivo “mai più guerra e fame”, è un problema fecondo, un dibattito vitale e necessario che non nasce dal “nulla” o da un mero atteggiamento retorico e che poggia, per fortuna - credo sia ormai dimostrato - sulla nostra storia comune.