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Ci sono tre episodi di cronaca che hanno ricevuto una diversa attenzione da parte dei media e che hanno ovviamente una diversa gravità, ma che rimandano a un problema comune.

Uno è l’aggressione di cui è stato vittima il consigliere regionale campano dei Verdi Francesco Emilio Borrelli, il quale è stato picchiato ferocemente, nonostante la presenza di guardie giurate, mentre insieme ad alcuni attivisti documentava come un parcheggio dell'ospedale San Giovanni Bosco di Napoli fosse stato liberato dai parcheggiatori abusivi grazie all'azione degli esponenti del suo partito.

Un episodio analogo, per fortuna meno violento (fisicamente), si è svolto a Bari e ha visto come protagonista una giovane donna, Marianna Panzarino che ha documentato in un video, diventato presto virale su Facebook, il danneggiamento subito della sua autovettura per non aver pagato un “obolo” al parcheggiatore abusivo di turno.

Infine c’è quello più recente di Colleferro vicino Roma decisamente più orribile e cruento, dove una banda di poco più che ventenni è stata arrestata con l’accusa di aver ucciso di botte e per futili motivi un coetaneo all’uscita di un locale.
I primi due casi hanno ricevuto una immediata attenzione da parte dei media che si è poi altrettanto repentinamente affievolita, poche e poco enfatiche sono state le reazioni della classe politica, per lo più limitate a qualche generico messaggio di solidarietà. L’ultimo al contrario ha avuto un’attenzione da parte dei media forse quasi eccessiva.

Al netto delle differenze, c’è però un filo sottile che unisce tutti questi tristi accadimenti: essi sono sintomatici non solo di una realtà, ma di una cultura, cioè di una radicata accettazione di un certo livello di potere criminale nella società italiana.
Un potere criminale che si manifesta violentemente nell’episodio campano dove guardie giurate stentano a intervenire intimidite dagli abusivi, che anche quando lasciano momentaneamente la gestione (illegale) dei parcheggi risultano essere comunque efficienti nel presidio del territorio, pronti a tornarci non appena si abbassa la guardia.

Più articolato narrativamente è l’episodio barese, grazie a un ben riuscito video con il primo piano del volto espressivo della vittima: umanamente si percepisce la rabbia per il sopruso subito, il senso di frustrazione misto a rassegnazione, nonostante la determinazione a non darla vinta agli estorsori, e di rovinare loro la piazza almeno per una sera. Il “pizzetto” gli viene imposto anche a tariffa fissa con l’unico scambio verbale che avrà con il suo aguzzino: “un euro”.

Aggiungo per esperienza diretta, che gli abusivi agiscono anche in presenza di parcheggi con strisce blu, quindi al povero cittadino tocca pagare due volte, un euro al Comune e uno al delinquente. Ma è una storia nota, tutto questo va avanti da decenni nel capoluogo pugliese, i cittadini ormai lo hanno accettato come una cosa normale, nessuno denuncia, nessuno si scandalizza, tanto che il parcheggiatore abusivo è diventato parte integrante dell’arredo urbano. Quindi non sorprende che a fare notizia sia la ragazza che afferma sgomenta: “Non è normale che sia normale”.

Ma c’è anche un lato positivo, un barlume di speranza: entrambi questi due spiacevoli eventi hanno come protagonisti dei cittadini coraggiosi che difendono i loro (e i nostri) diritti opponendosi al ricatto e alle intimidazioni criminali delle gang di parcheggiatori abusivi. E per farlo l’unica arma risultata veramente efficace è la denuncia pubblica fatta postando un video su Facebook. In entrambi i casi è il progresso tecnologico che viene in aiuto del privato cittadino; in tempi pre-social media, questo non sarebbe stato possibile.

Certo che l’uso coraggioso dei social fatto da questi comuni cittadini contro i veri criminali stride non poco con l’uso che ne hanno fatto invece alcuni politici con cariche importanti contro i falsi criminali. Mi riferisco a quei sindaci e governatori sceriffi che in pieno lockdown pandemico si sono resi così attivi con i cellulari a far la predica alla gente in strada in diretta Facebook. Dov’è adesso quel sindaco così pronto a inseguire e redarguire privati e anziani (e innocui) cittadini rei solo di passeggiare da soli su un lungomare semideserto?

Ma la parte più mortificante della spiacevole avventura della Panzarino spetta alle forze dell’ordine. Dopo averle sollecitate per tre volte, alla malcapitata tocca anche di ricevere il rimprovero dei Carabinieri per non avere denunciato il fatto nel momento in cui le erano stati chiesti i soldi: facendolo dopo non poteva dimostrare che fossero stati proprio i "parcheggiatori" a danneggiare la sua auto.
Evidentemente questa richiesta di aiuto non rappresenta una priorità per le forze dell’ordine locali, l’attività ha ormai acquisito uno status di “normalità”: chi si è trovato in queste situazioni sovente ha avuto la percezione di dare quasi un po’ fastidio. Provate a chiedere il parere, ad esempio, a chi ha subito un furto in casa e ha avuto l’ardire di denunciare il furto. L’agente di turno allarga le braccia, se non hai l’antifurto ti dice che dovresti averlo, se ce l’hai allarga nuovamente le braccia senza dirti nulla, con aria bonaria tra l’impotenza e la rassegnazione. Non a caso quella dei furti in casa è un’attività che gode de facto di una sicura impunità, rientra in una normalità accettata e ineludibile come i fulmini e la sfiga. Quindi come nel caso dei taglieggiamenti dei parcheggiatori abusivi, molti furti non vengono neanche più denunciati.

Ma fin qui abbiamo parlato di reati, per così dire minori, cosa che certo non si può dire del caso dell’omicidio del povero ventunenne massacrato di botte a Colleferro. Qui la copertura mediatica è stata massiccia, stampa e TV hanno profilato i carnefici fino ai minimi dettagli: i tatuaggi, i corpi palestrati grazie alla pratica delle arti marziali, i precedenti penali, l’analisi delle tante foto e commenti presenti sulle pagine facebook personali, il solito refrain trito e ritrito se trattasi di fascisti o di aspiranti tali e sullo sfondo la solita colpevolizzazione della società moderna nella provincia più o meno degradata.
Si è posta poca attenzione sul fatto che gli accusati dell’omicidio facevano parte di una banda organizzata di delinquenti di strada, con un buon controllo del territorio, che si sapeva dedita da tempo ad una intensa attività criminale, basata soprattutto sulla riscossione dei crediti, previo pestaggio, per conto degli strozzini. Essa era conosciuta, temuta (e subita) – raccontano le cronache – da tutti i cittadini della zona. Non si trattava di una banda di semplici teppistelli, ma di persone che facevano dell’attività criminale un vero e proprio lavoro, che probabilmente permetteva loro una vita agiata. Oltre che fama di picchiatori erano anche conosciuti come fomentatori di risse, con all’attivo almeno due episodi importanti a danno di una guardia di sicurezza e di un vigile urbano, stando a quello riportato nelle cronache.

Una semplice domanda sorge spontanea: si poteva evitare tutto questo?
Sia ben chiaro che qui non si sta chiedendo di perseguire dei concittadini non esemplari prima che commettano dei reati, quello che si sta chiedendo è se si poteva contenere sul nascere l’escalation criminale di questi giovani delinquenti prima che arrivasse alle estreme conseguenze. Qui urge interrogarsi se esiste un modus operandi delle forze dell’ordine efficace, ma anche una politica che vada in questa direzione.

I politici italiani sono troppo occupati a salvarci dalla minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dai gusci di noce colmi di disperati che, solcando il Mediterraneo cercano di “invaderci”. Sono troppo presi a inveire con ex terroristi già imprigionati o a inventare nuovi reati, come l’omicidio stradale o lo stalking, piuttosto che a prevenirne di vecchi. Mentre le forze dell’ordine talvolta sembrano troppo impegnate in affollate conferenze stampa sull’ennesima maxi operazione anti-droga, ovviamente con toni auto-celebrativi, auspicabilmente in salsa antimafia e rigorosamente ad alto impatto mediatico, utile più a favorire la carriera dei pochi che a risolvere i problemi di sicurezza dei tanti.

Non riusciamo ad andare oltre le solite risposte come la costante tendenza a inasprire le pene, l’invocazione del carcere come unica soluzione, una stagionale promozione all’uso delle armi di difesa personale, oppure provvedimenti meteora come i passati tentativi leghisti di formare gruppi di vicesceriffi, le famigerate e fallimentari ronde parapolitiche padane. A questo si uniscono in tempi più recenti, comportamenti lunari, come lo sputtanamento in diretta di privati cittadini accusati al citofono di spacciare droga, con tanto di codazzo di giornalisti e telecamere, ad opera di quello che attualmente è il leader del principale partito di opposizione.

Diciamo che storicamente sul tema in quanto a risultati siamo messi maluccio, tanto fumo e poco arrosto.
Eppure si potrebbe fare un vero salto di qualità, se con una rivoluzione culturale liberale si rendessero i singoli cittadini protagonisti della loro sicurezza. In primis, favorendo una solida formazione giuridica degli uomini appartenenti alle forze dell’ordine, impostata sull’importanza della difesa dei diritti e in particolare alla difesa del diritto all’incolumità di ogni singolo individuo. Poi bisogna migliorarne le capacità comunicative, favorendo e incentivando chi denuncia, diffondendo fiducia, anche semplicemente ringraziando come mi è capitato di assistere all’estero, rendendo facilmente fruibili i canali di comunicazione diretta e incentivando l’emersione sul nascere di eventuali abusi e disagi anche in apparenza piccoli. Per fare un esempio, in un campus universitario inglese mi è capitato di imbattermi in una bacheca contenente un manifesto pubblicitario della polizia volto a promuovere le segnalazioni e le denunce a danno degli studenti, con tanto di foto, email e numero di cellulare dell’agente incaricato alla sicurezza del campus e anche di ricevere diverse email di allerta dallo stesso.

Un altro importante intervento sarebbe quello di favorire la collaborazione di vicinato tra gruppi di cittadini (nei paesi anglosassoni si chiama “neighborhood watch” e non ha niente a che vedere con le trapassate ronde nostrane), che mira alla prevenzione di particolari crimini, come i furti, stabilendo anche un canale di comunicazione “istituzionale” dedicato con questi gruppi, favorendo in tal modo un controllo più accurato del territorio. Nel caso di Colleferro, tutti conoscevano la banda e tutti sapevano cosa era dedita a fare da molto tempo.

Abbiamo bisogno come il pane di politiche di sicurezza che spostino maggiori energie e risorse dalla repressione alla prevenzione dei fenomeni criminali, stabilendo quali sono le reali priorità e emergenze, senza inseguire quelle che servono solo per la propaganda spicciola salvinian-meloniana (e aggiungerei anche di una certa parte della magistratura).
In attesa di tutto questo ci affidiamo al prossimo video-denuncia su Facebook, sperando che diventi presto virale.