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Mercoledì 4 marzo il governo ucraino ha subito un sostanziale rimpasto. Dopo soli sette mesi, Oleksiy Honcharuk ha lasciato la carica di Primo Ministro ed è stato rimpiazzato da Denys Shmygal, ex top manager della compagnia elettrica ed energetica DTEK dell’oligarca Rinat Akhmetov.
 
La sostituzione di ben 11 ministri è stata voluta dal Presidente Zelenskyi che si è dichiarato insoddisfatto dello stato dell'economia e dei risultati dell’esecutivo.
Il giorno seguente il Parlamento Ucraino ha licenziato il procuratore generale Ruslan Riaboshapka.
Riaboshapka, che nelle settimane precedenti si era rifiutato di emettere un avviso di garanzia nei confronti dell’ex Presidente Poroshenko, ritenendolo un provvedimento di giustizia selettiva, ha ricevuto la solidarietà sia della missione consultiva dell'UE sull'applicazione della legge e sulla riforma dello stato di diritto sia di molti parlamentari europei. 
 
Per capire cosa stia succedendo a Kyiv da quando, nell’aprile 2019, è stato eletto Presidente il comico Volodymyr Zelenskyi, è utile tornare alle elezioni parlamentari di luglio 2019.          
Zelenskyi, che aveva sciolto il Parlamento in anticipo con un procedimento di dubbia costituzionalità, comunque avvallato dalla Corte seppure tra mille polemiche, ha conseguito un ottimo risultato sfruttando l’onda lunga delle presidenziali. 
In virtù di una legge elettorale ibrida, con il 43% dei consensi Sluha Naroda, la formazione di Zelenskyi, ha ottenuto 254 seggi, numero sufficiente per governare senza stringere alleanze con altri partiti.  
Il 29 agosto 2019 viene varato il primo esecutivo dell’era Zelenskyi.
 
Il governo, guidato dal premier Oleksiy Honcharuk, avvocato e vice capo dell’ufficio presidenziale, ottiene la fiducia della Verkhovna Rada con 290 voti favorevoli, ossia quelli dei deputati di Sluha Naroda presenti in aula, cui si aggiungono 21 indipendenti e 22 del neonato gruppo parlamentare Per il Futuro. 
La squadra di governo comprende 18 ministri per lo più dell’entourage di Zelenskyi con l’unica eccezione di Arsen Avakov, il cinquantacinquenne ministro degli Interni, titolare dello stesso dicastero anche nei due governi precedenti (Yatsenyuk e Groysman). 
La scelta di affidare il Paese a un governo molto giovane, età media 39 anni, guidato da un premier, Honcharuk, di soli 35 anni e con due ministri Mykhailo Fedorov (ministro per la trasformazione digitale) e Hanna Novosad (ministro dell’educazione e della scienza) rispettivamente di 28 e 29 anni, è coerente con l’immagine scelta da Zelenskyi in campagna elettorale, quella di outsider che vuole costruire un’Ucraina giovane facendo piazza pulita della vecchia classe politica.
 
Che Zelenskyi voglia rompere con il passato era emerso anche nell’ambizioso discorso di insediamento tenuto il 20 maggio 2019 nel quale, oltre ad avere chiesto al Parlamento di licenziare il capo dell’SBU, il procuratore generale e il ministro della Difesa, il Presidente aveva fatto più di un’allusione al conflitto in Donbas.  
Ad Hanna Shelest, direttrice della rivista Ukraine Analytica, non è sfuggita la vaghezza delle parole di Zelenskyi proprio su questo tema.  
Quando Zelenskyi afferma di essere pronto a tutto per far sì che “i nostri eroi non moriranno più” cosa intende esattamente si chiede la Shelest. Intende resa, nessuna prospettiva UE o NATO e accordi sul gas?
Al di là del giudizio lusinghiero di alcuni analisti occidentali sulla scelta del Presidente ucraino di puntare su volti nuovi, l’ex comico di Kryvyi Rih sa che la bontà dell’esecutivo e della sua presidenza dipende dalla capacità di rispondere alla questione più pressante del suo mandato: cessare il conflitto con la Russia.  
Zelenskyi ha infatti raccolto consensi trasversali promettendo in campagna elettorale di porre fine alla guerra con Mosca (sebbene senza spiegare in quale modo). 
 
Un chiaro segnale di come con l’elezione di Zelenskyi il clima politico in Ucraina sia cambiato sin da subito e che inquieta non poco la società civile è il ritorno in patria, dopo anni di fuga all’estero, di personaggi legati all’ex Presidente Viktor Yanukovych come Andriy Portnov, ex vice capo dell'amministrazione presidenziale.
Consulente legale di Yanukovych, Portnov, originario di Luhansk, città oggi in mano ai separatisti, è rientrato a Kyiv il 19 maggio 2019, il giorno prima dell’insediamento di Zelenskyi.
 
Ricercato dall'Ufficio del Procuratore Generale immediatamente dopo il Maidan per il suo presunto coinvolgimento nelle uccisioni di massa degli attivisti nel 2014, Portnov è riuscito a liberarsi in parte di tali accuse. Il tribunale distrettuale di Kyiv Pecherskyi ha accolto infatti parzialmente la richiesta di proteggere il suo onore, la sua dignità e la sua reputazione, stabilendo che le accuse riguardanti il suo coinvolgimento nei crimini di Maidan non avevano basi reali. 
Nel 2014, Portnov figurava anche nella lista degli ufficiali colpiti dalle sanzioni dell’Unione Europea e del Canada, ma nel 2015 il tribunale della UE in Lussemburgo revocò tale provvedimento. Non il Canada che ha confermato le sanzioni nei suoi confronti. 
 
La società civile ucraina inoltre lo accusa di essere l’artefice degli undici provvedimenti, passati alla storia come le leggi dittatoriali, approvate il 16 gennaio 2014 dal Parlamento ucraino, in soli cinque secondi per alzata di mano emendando alla normale procedura di voto elettronico. 
Halya Coynash, membro del Gruppo per la Difesa dei Diritti Umani di Kharkiv e Olena Makarenko, giornalista di Euromaidan Press, che si sono occupate della vicenda Portnov, pur partendo da angolazioni diverse giungono a conclusioni simili e sottolineano come la mancanza di accuse sufficientemente articolate nei suoi confronti, frutto di una certa approssimazione da parte della presidenza Poroshenko nel riformare completamente le istituzioni giudiziarie ucraine, e le sue indiscusse capacità legali facciano sì che oggi, anche grazie alla simpatia di cui gode presso l’entourage di Zelenskyi, Portnov, uomo simbolo della vecchia guardia di Yanukovych, possa non solo circolare liberamente in Ucraina ma addirittura rivendicare un ruolo politico minacciando pubblicamente l’ex Presidente Poroshenko e i ministri e i funzionari del suo governo. 
 
Il 19 giugno 2019 il direttore dell’Università Nazionale Taras Shevchenko aveva rinominato Portnov professore presso il Dipartimento di Diritto costituzionale, all'interno della Facoltà di Giurisprudenza. La sua nomina doveva entrare in vigore dal 1 ° settembre. Tuttavia, il giorno dopo la notizia della nomina, centinaia di studenti hanno manifestato davanti all’Università in segno di protesta. Il rettore è subito apparso davanti ai manifestanti e, scusandosi per la riconferma, ha promesso di licenziare Portnov. 
Roman Sohn e Ariana Gic, in un paper uscito poco prima delle presidenziali, scrivono che, per un breve periodo nel 2018, Portnov ha ottenuto il controllo di gestione di uno dei principali media pro-russi in Ucraina, il canale TV NewsOne allo scopo di dare visibilità ai candidati presidenziali del 2019 che, a suo avviso, erano censurati dai media ucraini. 
 
Anche altri tre membri del team di Zelenskyi come Oleksandr Danylyuk, Dmytro Razumkov e Andryi Bohdan, hanno in passato collaborato, a vario titolo, con Viktor Yanukovych.
È interessante notare come, ad eccezione del leader di Sluha Naroda, Dmytro Razumkov, oggi speaker della Verkhovna Rada, sia Danylyuk sia Bohdan, nominati da Zelenskyi rispettivamente Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale e di Difesa dell'Ucraina e Capo dell’Amministrazione Presidenziale, siano stati dopo pochi mesi – Danylyuk il 30 settembre 2019, Bohdan l’11 febbraio 2020 – rimossi dai loro incarichi.
Mentre nel caso di Danylyuk, Zelenskyi ha semplicemente accettato la lettera di dimissioni inviatagli dallo stesso Danylyuk, la vicenda di Bohdan è più complessa e ha maggiori implicazioni politiche.
In un articolo pubblicato su Euromaidan Press il 16 ottobre 2019 Bohdan Ben spiegava perché a suo avviso Zelenskyi avrebbe dovuto licenziare il Capo dell’Amministrazione Presidenziale Andryi Bohdan. 
 
La settimana prima Bohdan si era infatti reso protagonista di un episodio particolarmente odioso, suscitando l’indignazione di molti ucraini.
Il 6 ottobre, mentre a Kyiv e in altre 33 città dell’Ucraina si teneva la più grande dimostrazione di piazza dai tempi della Rivoluzione della dignità del 2014, con i manifestanti che chiedevano di fermare la capitolazione nei confronti della Russia e il ritiro delle truppe ucraine dai villaggi situati in prima linea, Andriy Bohdan attaccava i dimostranti sulla sua pagina Facebook sostenendo che fossero pagati 100 hryvny all’ora (circa 4 dollari).
La marcia, organizzata da gruppi di veterani di guerra, includeva ucraini di diverse opinioni politiche, persone di destra, liberali, cittadini comuni e soprattutto molti sostenitori di una più stretta integrazione tra Ucraina e Europa. 
 
Le proteste erano la reazione ferma ma pacifica alle politiche di Zelenskyi nei confronti dei separatisti sostenuti dalla Russia in Donbas. Il Presidente qualche giorno prima aveva infatti approvato un piano per consentire elezioni nelle zone occupate e la concessione dello status speciale alla regione a patto che il voto avvenisse in condizioni libere e trasparenti.
Piano giudicato dalla società civile ucraina una vera e propria resa nei confronti di Mosca.   
“Il post sui social media del capo dell'ufficio presidenziale non è stato solo una calunnia, ma ha anche suscitato l'ostilità politica interna in Ucraina. Bohdan scrive: “Qualcuno è così spaventato che darà tutto il suo denaro rubato al popolo [che protesta]”. Tutti in Ucraina hanno capito che Bohdan si stava riferendo all'ex Presidente ucraino, Petro Poroshenko. Questo messaggio sfrutta una delle narrazioni della campagna presidenziale di Zelenskyi, secondo la quale la maggior parte degli ucraini vuole solo la pace, mentre Poroshenko e il suo “partito di guerra” sono accusati del conflitto in corso. Poroshenko pianificherà una rivoluzione, disse una volta il segretario stampa di Zelenskyi senza alcuna prova”.
 
In realtà, sottolinea Ben, il post di Andriy Bohdan su Facebook è solo la punta dell'iceberg. 
I manifestanti chiedevano le sue dimissioni per l’intero operato in qualità di Capo dell’Amministrazione Presidenziale, dalla gestione del dossier guerra con la Russia ai favori riservati all’oligarca Kolomoyskyi, passando per gli scontri con il Fondo Monetario Internazionale.
Prima di occuparci del licenziamento di Bohdan, è utile tornare sulla vicenda Kolomoyskyi e in particolare sul suo rapporto con Zelenskyi che, a detta di diversi analisti, testimonierebbe non solo la vicinanza tra il Presidente ucraino e l’oligarca di Dnipro, ma il ritorno in auge della vecchia oligarchia e delle pratiche di giustizia selettiva caratteristiche dell’era Yanukovych.
 
In un articolo del 21 febbraio su New Eastern Europe Taras Kuzio cerca di far luce proprio sui legami tra Zelenskyi e Kolomoyskyi e sottolinea come in questo momento il desiderio di vendetta di Kolomoyskyi nei confronti di Poroshenko è perfettamente in sintonia con quello di Putin e dei proxy del Presidente russo nella lobby russa del gas in Ucraina. 
La campagna di de-oligarchizzazione di Poroshenko ha preso di mira due gruppi influenti, quello di Kolomoyskyi e quello della lobby del gas guidata da Dmytro Firtash. 
La nazionalizzazione di PrivatBank, il più grande gruppo bancario ucraino, e la perdita della compagnia statale di raffinazione del petrolio UkrNafta sono stati due duri colpi per Kolomoyskyi.
 
Inoltre nel 2015, con la cessazione dell’importazione diretta del gas dalla Russia che ha assicurato l’indipendenza energetica e politica di Kyiv da Mosca, la lobby del gas ha perso la sua capacità di realizzare profitti redditizi da opache società d’intermediazione come RosUkrEnergo. Per questo motivo, sia Kolomoyskyi che Firtash-Lyovochkin-Boyko hanno cercato di vendicarsi contro Poroshenko.
“I due maggiori canali televisivi ucraini, 1 + 1 e Inter, che sono rispettivamente di proprietà di Kolomoyskyi e della lobby del gas, hanno lanciato insinuazioni, disprezzo e totale disinformazione contro Poroshenko per tutta la durata della sua presidenza, aiutando Zelenskyi a vincere le elezioni. Kolomoyskyi sta attualmente facendo pressioni su Zelenskyi per presentare accuse penali contro Poroshenko. […] Da quando è tornato in Ucraina, le priorità di Kolomoyskyi sono state la vendetta e il recupero di PrivatBank e UkrNafta quali sue “cash cows”. In questo, Kolomoyskyi è simile agli altri oligarchi nel reputarsi al di sopra della legge negando il proprio coinvolgimento nella corruzione, il che è falso poiché Kolomoyskyi è stato a lungo il più grande predatore delle imprese dell'Ucraina. Un'indagine di Kroll Associates commissionata dalla Banca nazionale ucraina (NBU) ha rilevato che Kolomoyskyi e i suoi partner oligarchi avevano sottratto quasi sei miliardi di dollari nel decennio precedente la nazionalizzazione di PrivatBank nel 2016. Per prevenire il suo fallimento e un possibile crollo del sistema finanziario dell'Ucraina, il governo ucraino iniettò altri sei miliardi di dollari. Oggi PrivatBank è un istituto finanziario redditizio. L'FMI ​​è fermamente convinto che Kolomoyskyi e gli oligarchi di altre banche chiuse sotto Poroshenko avrebbero dovuto essere puniti.” (Taras Kuzio, Selective use of justice against Poroshenko shows Zelenskyy is working for oligarchs)
 
Dal suo ritorno in Ucraina, Kolomoyskyi ha avviato numerosi procedimenti giudiziari per cercare di annullare la nazionalizzazione di PrivatBank e ha esercitato pressioni incessanti sul Presidente Zelenskyi e sul primo ministro Oleksiy Honcharuk per riacquistarne la proprietà. 
Inizialmente il governo ucraino aveva preso in considerazione l'idea di restituire PrivatBank a Kolomoyskyi, ma il Fondo Monetario Internazionale ha minacciato di ridurre gli aiuti se si fosse varcata questa linea rossa.  
“È comunque incredibile che Zelenskyi avesse inizialmente considerato questa possibilità. Durante un pranzo tenutosi a Kyiv nel settembre 2019 nel corso del meeting della Yalta European Strategy, l'ambasciatore degli Stati Uniti William Taylor è uscito in segno di protesta dopo l'arrivo di Kolomoyskyi che si è unito al tavolo da pranzo dell'oligarca Viktor Pinchuk. L'intera conferenza YES è stata una manifestazione di sostegno a Zelenskyi da parte di Pinchuk come se quella che in epoca sovietica era stata definita la ‘mafia di Dnipropetrovsk’ fosse tornata al potere”
Kuzio e altri commentatori politici sospettano che dietro le minacce di morte e gli attacchi nei confronti dell’ex governatrice della Banca Nazionale Ucraina, Valeriya Hontareva e della sua famiglia ci sia la mano proprio di Kolomoyskyi.
 
In un’intervista rilasciata al Guardian il 12 novembre 2019, Hontareva, che alla fine di agosto era stata investita, non si sa quanto accidentalmente, da una macchina a Londra e al cui figlio, qualche giorno dopo, era stata incendiata la casa a Kyiv, sostiene di aver ricevuto minacce da parte di Kolomoyskyi sin dal primo giorno in cui si è insediata alla Banca Centrale Ucraina.
Torniamo ora al licenziamento di Andriy Bohdan.
L’allontanamento di Bohdan, il quale secondo un’indagine investigativa di Radio Svoboda faceva parte della delegazione dell'ex primo ministro Mykola Azarov che volò a San Pietroburgo per i negoziati con la Russia del ​​19-20 novembre 2013 che decretarono la sospensione dell'accordo di associazione economica con l'Unione Europea, è indubbiamente il più importante cambiamento avvenuto all'interno dell'amministrazione presidenziale da quando Zelenskyi è entrato in carica ma come va interpretato?
 
A detta di un panel di esperti interpellati dall’Atlantic Council, l’uscita di scena di Bohdan non è affatto dovuta al crescente malumore della società civile rispetto alla condotta del Presidente nei confronti della Russia e al discutibile scambio di prigionieri con Mosca che ha fatto tornare a piede libero addirittura criminali coinvolti nell’abbattimento del volo MH17 nel luglio 2014 e uomini della Berkut accusati di omicidio negli scontri di piazza del 29 dicembre 2013, ma può essere addirittura interpretata come un’ulteriore apertura di credito al Cremlino.
La nomina, quale sostituto di Bohdan, di Andriy Yermak, amico di lunga data di Zelenskyi e suo inviato speciale nei colloqui con Stati Uniti e Russia, ha indotto molti a ritenere che si possa aprire una nuova fase diplomatica che porterà alla stipula di un accordo con la Russia sul conflitto in Donbas e, come teme gran parte degli attivisti del Maidan, alla definitiva resa di Kyiv.
Alcuni sostengono che le illazioni secondo le quali Yermak sia un agente di Mosca siano false e siano state messe in giro dall’entourage di Kolomoyskyi dopo il licenziamento di Bohdan.        
 
Quel che è certo è che la luna di miele tra Zelenskyi e una parte del suo elettorato è già finita.
Sondaggi condotti tra fine gennaio e inizi febbraio da diversi enti rivelano che la popolarità del governo e del Presidente è in costante diminuzione. Secondo uno studio del Centro Razumkov la percentuale di elettori che ritiene che l'Ucraina stia andando nella giusta direzione è scesa dal 57% di settembre 2019 al 25% odierno; in questo momento solamente il 21% ritiene che l'Ucraina sarà in grado di superare le sfide dei prossimi anni. 
Uno studio realizzato a fine gennaio dall’Istituto ucraino per il centro di ricerca sociale Oleksandr Yaremenko evidenzia come la principale causa di disaffezione nei confronti di Zelenskyi sia legata allo scambio di prigionieri con la Russia. Molti in Ucraina si sono indignati del fatto che per portare a casa 76 soldati e civili legati alla guerra in Donbas, Kyiv abbia consegnato ai delegati russi in Donbas 124 prigionieri che sono sospettati o accusati di crimini non legati alla guerra ma all’uccisione di civili durante le repressioni di piazza di Euromaidan.   
 
Nelle ultime settimane di febbraio il governo, già lacerato dallo scontro tra premier e Presidente, è stato messo a dura prova dal coronavirus. 
La burocrazia sanitaria non ha fornito alcuna informazione pubblica sull'epidemia globale del coronavirus e questo ha creato scene di isteria e violenza collettiva come quelle verificatesi nel villaggio di Novi Sanzhary (Poltava) il 20 febbraio quando manifestanti hanno preso d’assalto con pietre gli autobus che trasportavano cittadini ucraini evacuati dalla Cina. 
All’origine del caos l'invio di una e-mail, apparentemente del ministero della salute ucraino, secondo la quale cinque ucraini, arrivati da Wuhan, città cinese epicentro dell'epidemia di coronavirus, avrebbero contratto il virus. 
Il servizio di sicurezza ucraino ha in seguito dichiarato pubblicamente che l'e-mail, distribuita all'intero elenco di contatti del ministero della salute, proveniva dall'esterno dell'Ucraina e che il suo contenuto era falso. 
La vicenda, racconta il sito EU vs Disinformation nell’editoriale del 27 febbraio 2020, è stata ovviamente sfruttata dal Cremlino per attaccare di nuovo Kyiv con l’ennesima campagna di disinformazione.  
 
“In Ucraina, le proteste sul coronavirus sono diventate un'opportunità per i media filo-Cremlino per scatenare una nuova ondata di vetriolo nel tentativo ripetuto di screditare le proteste di Euromaidan, che sono state violentemente represse esattamente sei anni fa. Maidan e coronavirus sono diventati una cosa sola nel cervello delle persone; le proteste del coronavirus sono il simbolo di Maidan, così affermano i media filo-Cremlino, aggiungendo che gli ucraini si odiano e sono pronti a uccidere, e che in questo modo l'Ucraina rappresenta un pericolo per l'Europa. Queste narrative di disinformazione non puntano solo a minare la democrazia ucraina e le sue aspirazioni europee. Contribuiscono anche ad amplificare i ripetuti tentativi del Cremlino di ritrarre l'aggressione delle forze armate russe nell'Ucraina orientale come una guerra civile. Mentre le formazioni armate sostenute dalla Russia continuano a violare gli Accordi di Minsk, i media pro-Cremlino offrono un fallace paragone: se gli ucraini si scagliano le pietre a vicenda in un piccolo villaggio per paura del coronavirus, chi dice che non si sparino tra di loro in Donbas?”.
 
Gli eventi più recenti – ossia il rimpasto di governo del 4 marzo con il ritorno in auge di personaggi vicini all’ex Presidente Yanukovych come Maryna Lazebna, titolare del dicastero per le politiche sociali, Vadym Hutsait, ministro dello sport e Illya Yemets, ministro della sanità e il licenziamento il 5 marzo del procuratore generale Ruslan Riaboshapka – fotografano un Paese in cui sembra essere in atto una vera e propria controrivoluzione. 
A Bruxelles qualcuno sembra aver capito che Zelenskyi non è affatto il riformista liberale dipinto da molti analisti occidentali solo qualche mese fa ma in questo momento per la UE, impegnata a gestire l’emergenza profughi dalla Siria, in un braccio di ferro con il sultano di Ankara, Kyiv è davvero l’ultimo dei problemi. In fin dei conti Zelenskyi è stato votato democraticamente dal 73% degli elettori e occorre rispettare la volontà di un popolo probabilmente non maturo per una democrazia di tipo liberale dove esistono il rispetto della legge, la divisione dei poteri e un’economia di mercato. Esattamente quegli ideali per cui 6 anni fa tanti ucraini coraggiosi sacrificarono la propria vita sul Maidan.