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Se un continente di quasi mezzo miliardo di persone, che non soffrono la fame né il freddo, è arrivato al punto di aver paura di accogliere poche migliaia di persone che hanno perso tutto e che chiedono rifugio e protezione e schiera la propria forza per respingerle, l’Europa, così come la stiamo vedendo in queste settimane, non serve più a niente.

Non serve ai Commissari, che salvo rari casi memorabili sono incapaci di agire concretamente nei temi di competenza, perché le loro decisioni devono passare il fuoco di sbarramento del Consiglio Europeo, con i governi sempre pronti a difendere gelosamente la propria sovranità e i propri interessi elettorali.

Non serve ai governi, che l’hanno paralizzata, svuotata, delegittimata, spogliata di risorse per ma sono sempre pronti a invocarne un impossibile aiuto economico, logistico o politico appena si rendono conto che la loro capacità di azione davanti alle crisi è ridotta a zero.

Non serve ai Parlamenti nazionali, che passano gran parte del tempo non occupato dai decreti governativi a recepire (più o meno supinamente) direttive già decise a Bruxelles, a volte anche su temi che dovrebbero tornare di competenza nazionale, e quasi mai su temi decisivi per il futuro.

Non serve alle Regioni (o a quello che in altri Stati membri sostituisce le nostre regioni come livello amministrativo), che nei quasi trent’anni dalla firma del Trattato di Maastricht hanno visto peggiorare costantemente la propria capacità di convergere, anche per limiti propri nello sfruttare le possibilità offerte dal processo di integrazione.

Non serve ai cittadini, che per cinquant’anni l’hanno voluta e che oggi, dopo venti anni di difficoltà, sono sempre più lontani dal sentirsi uniti, in un’Europa divisa e impotente su tutte le crisi geopolitiche, nei loro aspetti sociali, tecnologici, sanitari e militari.

Non serve fuori dall’Europa, che nella sua conformazione attuale è figlia di un’epoca in cui le istituzioni multilaterali avevano il ruolo di evitare il confronto muscolare che aveva portato alle due guerre mondiali, perché fuori dall’Europa tutte le istituzioni multilaterali sono viste come un ostacolo alle mire egemoniche di potenze in declino o in ascesa.

E, tornando a loro, non serve ai profughi e ai migranti: che si vedono respinti alle frontiere come capitava agli ebrei in fuga negli anni ’30, in una tragica ripetizione di errori che l’Europa era nata per non commettere di nuovo. Non sarà rifiutando il proprio ruolo storico di accoglienza e rilancio delle proprie radici che l’Europa troverà una ragione di esistere. Non sarà accettando un ricatto, da parte di chi rifiuta lo stato di diritto ma pretende di entrare in Europa alla pari degli altri, che eviteremo una nuova Conferenza di Monaco, con tutto quello che ne seguì. Non sarà alzando barriere di filo spinato e pattugliando mari e confini che ricorderemo degnamente Auschwitz, le foibe e Srebrenica, ripetendoci ipocritamente “mai più”. Non sarà continuando a girare gli occhi davanti alle stragi di civili e agli scontri tra eserciti mascherati da ribelli che potremo guardare al nostro passato con soddisfazione e al nostro futuro con fiducia.

È l’ora di un enorme risveglio collettivo della coscienza europea. O dal sonno della coscienza scivoleremo velocemente nella morte della civiltà che avevamo costruito e di cui potevamo andare, giustamente, fieri.