Cosa c’è di veramente “tradizionale” o “naturale” nell’istituzione-famiglia? In realtà molto poco, come dimostra l’evoluzione storica, sia in Oriente che in Occidente, delle norme che disciplinano (o si illudono di disciplinare) la convivenza civile.

Brusadelli Aragosta sito

In un futuro non meglio precisato, in cui l’umanità non sembra aver raggiunto grandi vette di progresso materiale o spirituale ma appare anzi infiacchita e indebolita (forse da una grande crisi), un mesto e grosso albergo isolato in mezzo alla brughiera ospita decine di single - chi rimasto vedovo, chi lasciato dal partner, chi inquieto – che hanno quaranta giorni di tempo per trovare una nuova anima gemella prima di essere trasformati in un animale di loro scelta. L’alternativa è la fuga, e una vita clandestina ai margini della civiltà, a cacciare conigli e dormire nei boschi.

È questa, in sintesi estrema, la premessa da cui si dipana la trama di “The Lobster”, L’aragosta, film diretto da Yorgos Lanthimos e interpretato da Colin Farrell e Rachel Weisz, da ottobre nelle sale dopo aver vinto il premio della Giuria a Cannes e già in procinto di diventare un cult.

Potrà sembrare strano a leggere solo il riassunto della trama, eppure, su una intuizione così insolita, il regista costruisce un film scritto, diretto e recitato benissimo, in cui la follia onirica di una distopia surreale non impedisce che ogni singolo fotogramma sia ‘credibile’.

Forse perché l’apparentemente astrusa storia dei ‘solitari’ che vengono considerati un pericolo per la società, e il soffice ma insidioso totalitarismo che ne deriva, con conseguenze che scivolano facilmente dalla comicità alla tragedia esistenziale, tocca tasti profondi, e risuona con tematiche che sono, da sempre, proprie dell’esperienza umana e che costituiscono una costante del dibattito pubblico e del confronto politico a ogni latitudine. L’Aragosta ha insomma il merito di far riflettere su una tematica che è così profondamente radicata nella nostra esperienza di vita quotidiana da non permetterci di considerarla in termini ‘problematici’ nella sua interezza, ma solo attraverso singole questioni che da essa dipartono.

Partendo da lontano: l’idea che gli esseri umani necessitino di strutturare i propri legami interpersonali in una struttura fissa non ha granché di naturale. Con brutale spirito scientifico, di ‘naturale’ c’è l’istinto sessuale, che porta alla ricerca di un partner, e l’istinto alla sopravvivenza, che può portare a costituire gruppi per varie finalità, dalla difesa all’organizzazione delle risorse. Non c’è certamente la coppia monogamica, né la ‘famiglia borghese’ costituita dal ristretto nucleo padre-madre-figli.

Ciò non toglie che esse siano costruzioni pienamente ‘umane’, che hanno rafforzato la propria legittimità e la propria ragion d’essere mano a mano che le strutture sociali si facevano più complesse, dalle prime comunità alle moderne nazioni. Un magma incontrollabile di individui che non fissano la propria esperienza di vita in un quadro stabile e riconoscibile (la famiglia, appunto) costituisce una base troppo mobile e troppo poco gestibile per poggiarvi sopra una architettura complessa come uno Stato, che prevede il controllo - non necessariamente autoritario - e l’ottimizzazione - non necessariamente socialista - dello ‘stare insieme’.

Che si tratti di un Impero - come quello cinese, che incaricava ufficialmente i ‘gruppi di famiglie’, rigidamente strutturati e gerarchizzati, di gestire, con spietata efficienza, le tensioni locali - o di uno Stato moderno - l’Inghilterra vittoriana e il suo culto borghese per la rispettabilità familiare - la tendenza a stabilizzare l’esperienza individuale, che la distopia immaginata da The Lobster porta alle estreme conseguenze, è una realtà storica. Non solo del passato, peraltro.

Si è molto parlato del recente ammorbidimento della politica del figlio unico deciso dai vertici della Repubblica Popolare Cinese. La pianificazione di Stato del numero di figli permesso a ciascuna coppia è stata considerata a lungo uno dei simboli più sinistri della tendenza del regime a controllare la vita privata dei propri cittadini. E indubbiamente lo è, sebbene, come si accennava prima, tale intrusione sia stata resa possibile da un contesto che era già abituato a considerare la famiglia una cellula dell’amministrazione dello Stato imperiale e non una questione personale: i debiti di Mao nei confronti dell’ideologia imperiale non sono ancora stati messi del tutto in luce, peraltro.

E che dire dell’Occidente? Il percorso di emancipazione delle donne, per svincolarsi dal ruolo di ‘angelo del focolare’ e ‘generale della casa’, non è forse stato una ribellione all’ideologia ottocentesca della famiglia borghese, in cui vengono indottrinati i malcapitati single nel film di Lanthimos attraverso gustosissime conferenze dimostrative organizzate dalla direzione dell’hotel?

E il riconoscimento del divorzio, ovvero la battaglia affinché la legge riconoscesse la possibilità di sciogliere un vincolo coniugale, non appare forse come un riflesso reale del mondo immaginario di The Lobster, in cui le autorità fermano i ‘sospetti’ chiedendo di verificare il loro certificato di matrimonio?

E ancora: il dibattito acceso (più in Italia che altrove, a dire il vero) per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, oggi trasceso in un metafisico (e spesso comico) confronto sulla presunta ‘ideologia gender’, non nasce forse dall’esigenza dello Stato di stabilire cosa è ‘famiglia’ - cioè cosa può essere considerato ‘reale’ e ‘legittimo’ - e cosa non lo è?

Su quest’ultimo punto, varrà la pena di ricordare l’intelligente intuizione di un solido conservatore come David Cameron, il quale dichiarava il suo sostegno all’estensione dell’istituto matrimoniale alle persone dello stesso sesso proprio in un’ottica di maggiore ‘stabilizzazione’ della società, reinserendo esperienze di vita sempre più numerose dai margini in cui il non-riconoscimento pubblico le confina.

La mossa di Cameron dimostra che l’affermazione dei diritti individuali non significa necessariamente lo scardinamento di un reticolato complesso e millenario come quello costruito attorno alla funzione pubblica della famiglia, ma può contribuire a renderlo più malleabile e meno soffocante. Se dunque è possibile intravedere una dinamica storica che dimostra come il grado di autoritarismo di un sistema politico sia direttamente proporzionale al controllo sulla sfera sessuale degli individui (molto più che al controllo economico sulle loro attività, a parere di chi scrive), e che dunque la messa in discussione della ‘famiglia’ corrisponda spesso a processi di aumento della libertà personale, dall’altra sarebbe troppo semplicistico affermare che dalla demolizione della famiglia sorgerebbe un mondo migliore.

Un monito, fra i tanti, in questo senso arriva da un testo poco noto in Occidente. Nel suo Libro della Grande Concordia, il filosofo cinese Kang Youwei (1858-1927), confuciano tutto d’un pezzo che si batté strenuamente prima per la riforma dell’Impero e poi per la sua difesa dal fervore rivoluzionario e repubblicano, profetizza la ‘fine della storia’. Il mondo, scrive Kang con toni millenaristi, sarà infine guidato da un governo mondiale, le divisioni tra gli uomini (razziali, sessuali, economiche e sociali) scompariranno e il pianeta assaporerà la ‘Suprema Eguaglianza’.

Quanto alla famiglia, essa scomparirà. E con essa i cognomi e poi i nomi di battesimo, sostituiti da numeri. I bambini, prodotti in laboratorio, saranno educati nelle comuni e poi potranno scegliere se sottoscrivere partnership annuali (eterosessuali o omosessuali non fa differenza, scriveva l’austero confuciano alla fine dell’Ottocento!) eventualmente rinnovabili: non esistendo alcuna forma di proprietà privata, non vi saranno problemi di eredità. L’utopia di Kang Youwei, mossa da nobili e profetiche premesse, trascolora in un’inquietante anticipazione degli orrori totalitari del Novecento, tanto da far apparire la distopia dell’Aragosta un invidiabile eden di libertà.

Queste profezie contrapposte dimostrano, insomma, come alcuni grandi temi politici siano la manifestazione di dinamiche storiche assai complesse, certamente non affrontabili nel loro insieme. Ma è utile talvolta ragionare sulle loro implicazioni. La letteratura, l’arte, il cinema, con il loro sguardo possono regalare spunti preziosi. Insomma, complimenti al regista.