chernobyl

Svetlana Aleksievich, scrittrice ucraino-bielorussa, premio Nobel per la letteratura 2015, in un capitolo del suo toccante libro, Preghiera per Černobyl', si interroga sul significato di una tragedia, quella di Chornobyl, che rappresenta tuttora un enorme buco nero dai profondi risvolti sociali ed etici.

“Černobyl' è ormai diventato una metafora, un simbolo. È perfino diventato storia. Sono state scritte decine di libri, girati migliaia di metri di pellicola. Ci sembra di sapere tutto quel che c’è da sapere: fatti, nomi, cifre. Cosa possiamo aggiungere ancora? Inoltre, è perfettamente naturale che la gente voglia dimenticare Černobyl' e preferisca pensare che appartiene al passato… Di che cosa parla questo libro? Perché l’ho scritto? […] A interessarmi non era l’avvenimento in sé […], bensì le impressioni, i sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto. Il mistero. Černobyl' è un enigma che dobbiamo ancora decifrare.”

Molte e complesse sono le questioni legate al disastro nucleare di Chornobyl, così come molteplici sono le ottiche visuali attraverso cui analizzare e interpretare ciò che accadde la notte tra il 25 e il 26 aprile 1986.

Per cercare di comprendere cause e conseguenze di questa tragedia occorre tornare indietro nel tempo agli anni in cui la centrale venne progettata.

Lo storico Serhii Plokhy ricostruisce la nascita del progetto nucleare ucraino e i malcelati conflitti tra le elites sovietiche di Mosca e di Kyiv per la sua gestione.

“L'idea di portare l'energia nucleare in Ucraina apparteneva a scienziati ed economisti ucraini;

Petro Shelest, che voleva creare nuove fonti di energia elettrica per il rapido sviluppo dell'economia ucraina, aveva fatto pressioni negli Anni Sessanta, durante il suo mandato come capo del partito della repubblica. Quando la centrale nucleare di Chernobyl entrò in funzione nel 1977, gli intellettuali ucraini, tra cui uno dei protagonisti della generazione degli anni Sessanta, Ivan Drach, accolsero con favore l'arrivo dell'era nucleare nel loro paese. Per Drach e altri patrioti ucraini, Chernobyl rappresentava un passo in avanti verso la modernizzazione dell'Ucraina. Lui e altri sostenitori del nucleare non si accorsero, tuttavia, che il progetto era stato realizzato da Mosca, e che la maggior parte dei dirigenti e del personale specializzato della centrale proveniva da fuori l'Ucraina. La repubblica otteneva energia elettrica, ma aveva poco controllo su quello che succedeva presso la centrale, che, come tutti gli impianti nucleari sovietici, e la maggior parte delle imprese industriali dell'Ucraina, era sotto la giurisdizione dei ministeri di tutta l’Unione Sovietica. Lo stesso impianto e l'incidente che si verificò divenne noto al mondo con la traslitterazione russa del nome della città più vicina - Chernobyl non Chornobyl”.

Yuri Shapoval, accademico ucraino che ha studiato gli archivi del KGB ucraino, nel suo saggio L’opportunità politica contro l’informazione. La dirigenza del partito-Stato e il KGB all’epoca della catastrofe conferma l’imprinting moscovita del progetto evidenziato da Plokhy e fornisce preziose informazioni sulla costruzione e sul funzionamento della centrale.

“La centrale nucleare di Chernobyl 'V. I. Lenin' (detta anche ChAES, ovvero Chernobylskaja Atomnaja Elektrostantsija) fu posta sotto lo stretto controllo degli organi del KGB ucraino sin dal primo giorno della sua costruzione in quanto rivestiva un’importanza strategica. Dal 1970 la centrale fu soggetta alle misure di controspionaggio, poiché, pur essendo situata in un territorio ad elevata densità di popolazione, doveva diventare una delle maggiori centrali atomiche dell’ex URSS. La Direzione del KGB ucraino per Kiev e regione creò a Pripyat una sua succursale, che nel 1985 assunse la fisionomia di dipartimento distaccato. Questa unità doveva provvedere alle misure di controspionaggio nel corso della costruzione e dell’esercizio della ChAES. Nel corso dell’esecuzione delle 'misure operative e di ricerca', i collaboratori degli organi di sicurezza statale scoprirono parecchie violazioni, relative alla insufficiente qualità dei lavori di costruzione e di montaggio, alla fornitura di attrezzi difettati, alla violazione delle norme tecnologiche riguardanti il funzionamento della centrale, le norme antincendio e di sicurezza radiologica. Vi sono almeno 49 documenti (note, segnalazioni, ecc.) inviati alle strutture dello Stato e del partito che riportano informazioni su tali violazioni. Vennero scoperti, inoltre, anche alcuni fatti che costituiscono una sconvolgente testimonianza della ignoranza (o forse meglio, della volontà di non comprendere) dei rischi possibili. Così, ad esempio, in un documento del 12 marzo 1981 la Direzione del KGB ucraino per Kiev e regione comunicò che nello stagno utilizzato per il raffreddamento dell’acqua del reattore si era dato inizio all’allevamento industriale del pesce. Non solo: dal 1979 il pesce che viveva spontaneamente in quello stagno finiva sul mercato senza alcuno dei controlli necessari. Secondo i dati del servizio di sicurezza statale, negli anni 1982-1985 il Ministero della Geologia della Repubblica ucraina eseguì un controllo sulla possibile influenza della ChAES su suoli, piante, acque superficiali e sotterranee dal confine con la Bielorussia fino a Kiev, su un territorio complessivo di oltre 5200 km quadri. A seguito dei risultati di questo controllo furono approvate delle delibere governative relative ad una più attenta elaborazione delle questioni concernenti la preparazione dei siti di costruzione per le centrali nucleari. In particolare, si introdusse l’esecuzione obbligatoria di rilevamenti topografici, ingegneristici e geologici, di valutazioni ecologiche mirate ad evitare la contaminazione delle risorse idriche dei fiumi Pripyat, Dnepr, Desna, Pivdennyj Buh, ecc. Una discreta attenzione fu rivolta agli aspetti tecnici del funzionamento della centrale di Chernobyl, dove, secondo i documenti del KGB dal 1971 al 1981, si erano verificati 29 arresti di emergenza, 8 dei quali per colpa del personale. Il 17 marzo 1984 in un messaggio speciale si parlava di difetti di progettazione dei blocchi energetici n. 3 e n. 4 (quello che esploderà) del ChAES. Nel luglio 1985 di nuovo si puntava l’attenzione sui due blocchi citati, cui si aggiungeva anche il quinto (che non è mai stato completato). Infine, nel febbraio 1986 una missiva speciale parlava delle possibili conseguenze negative di un calo di potenza dei blocchi energetici della centrale. Molte delle segnalazioni di cui sopra furono fatte a seguito di inchieste operative appositamente condotte e la loro credibilità venne accertata attraverso più canali. I risultati furono resi noti all’amministrazione della centrale di Chernobyl, nonché alle più alte strutture della Repubblica ucraina e dell’ex Unione Sovietica”.

Il lungo passo di Shapoval dimostra come quella di Chornobyl, a causa di errori di progettazione, qualità scadente di lavori e materiali, malfunzionamenti, inettitudine del personale e negligenze fosse, per certi versi, una tragedia annunciata.

A questo quadro già piuttosto sconcertante va aggiunto il fatto che la notte del 25 aprile 1986 nella centrale nucleare Lenin un gruppo di dirigenti comandati da un imprecisato specialista di Donetsk decisero di dar vita a un esperimento non autorizzato che consisteva nell’aumentare il rendimento energetico dell’impianto cercando di utilizzare il calore residuo in condizioni di bassa potenza.

La giornalista Silvia Pochettino, autrice di "Chernobyl. Una storia nascosta", ricostruisce i momenti salienti di questa inquietante vicenda che causerà l’avaria del quarto reattore e la successiva esplosione nucleare.

“I ricercatori avrebbero dovuto scrivere un progetto e sottometterlo all’approvazione dei costruttori di questo tipo di reattore: l’RBMK, reattore di grande potenza, a neutroni lenti. Poi avrebbero dovuto farselo controfirmare dalla gerarchia scientifica del Gosatomnadzor, l’organismo speciale sovietico incaricato di supervisionare tutti gli aspetti della sicurezza nucleare. Ispettori del Gosatomnadzor avrebbero dovuto essere presenti all’esperimento. Ma niente di tutto questo è stato fatto. Al diavolo le lungaggini burocratiche dell’Unione Sovietica! I ricercatori di Donetsk hanno contattato direttamente i direttori delle centrali dotati di reattore RBMK; Leningrado, Smolensk, Kursk, Ignalina in Lituania e Chernobyl. Tutti hanno rifiutato l’esperimento tranne il signor Bryukhanov, il direttore della centrale termonucleare di Chernobyl”.

Perché Bryukhanov decise di accettare?

Viktor Bryukhanov, che verrà poi condannato a dieci anni di lavori forzati assieme all’ingegnere capo Nikolai Fomin e al suo vice Anatoly Dyatlov per grave violazione di norme di sicurezza e per avere creato le condizioni che portarono all’esplosione, era un ambizioso manager di cinquant’anni in precedenza a capo di una grande centrale idroelettrica del sud del paese.

Bryukhanov non aveva una formazione in fisica nucleare, né conosceva nel dettaglio i fenomeni che si producevano ma questo non sembrava preoccuparlo.

“Il progetto dei ricercatori di Donetsk gli piace, si presenta ambizioso, rivoluzionario; moltiplicare il rendimento della centrale senza aumentarne i costi significa salire all’onore di tutte le cronache, significa fama, una medaglia forse e un posto a Mosca, per togliersi finalmente da questi incarichi di provincia” (Silvia Pochettino).

Bryukhanov diede così il suo assenso all’esperimento la cui data venne fissata per il 25 aprile, in concomitanza con i periodici lavori di manutenzione della centrale che prevedevano l’arresto temporaneo del reattore. È importante sottolineare che i ricercatori di Donetsk e gli operatori della centrale non erano a conoscenza dei difetti di fabbricazione dei reattori RBMK che utilizzavano grafite come moderatore dei neutroni e acqua come refrigerante. Già in precedenza, nel quarto reattore di Chernobyl, si erano verificati degli incidenti legati al surriscaldamento dello stesso in condizioni di bassa potenza (700 megawatt).

Che non si trattasse di problemi di poco conto lo testimoniava una lettera ufficiale del 2 febbraio 1984 in cui il direttore dell’Istituto per la Ricerca e il Design degli impianti nucleari sovietico segnalava al Cremlino, in un documento riservato catalogato come segreto di stato, la necessità di una revisione dei sistemi di sicurezza di tali impianti.

All’una e ventuno minuti del 26 aprile l’esperimento iniziato a mezzanotte, facendo scendere la potenza del reattore dai 1600 Mw di routine fino ai 500 Mw e isolando il sistema di raffreddamento di emergenza, grazie al susseguirsi di una serie di errori fatali da parte dei tecnici, aveva già prodotto un aumento esponenziale della produzione di vapore tale che tutta l’acqua iniziò a bollire rendendo in pochi secondi la reazione incontrollabile.

Le pagine della Pochettino descrivono con efficacia gli istanti finali che precedono l’esplosione.

“È l’una e ventiquattro del 26 aprile 1986. Il reattore prende a vibrare come squassato da un terremoto interno. Ma è questione di pochi istanti; non c’è più tempo per pensare, né per fuggire. L’esplosione avviene con una potenza tale da far saltare il coperchio del reattore, pesante 1200 tonnellate. La grafite reagisce subito con l’aria formando monossido di carbonio che comincia a bruciare a una temperatura di 3000 gradi centigradi. Una colonna infuocata di gas e materie radioattive si alza verso il cielo superando l’altezza di un chilometro. Iodio, cesio, stronzio e numerosi altri radionuclidi vengono lanciati nell’atmosfera insieme ai fumi della grafite in fiamme. La temperatura mostruosamente elevata, poi, fa fondere l’uranio e il magma letale, come nei vulcani, comincia a colare verso il basso”     

L’esplosione, dovuta all’avaria del quarto reattore nucleare di Chornobyl, causò dunque la maggiore catastrofe nucleare nella storia dell’umanità. Una catastrofe, secondo l’Associazione Greenpeace, dieci volte più grave di quella che si sarebbe verificata l’11 marzo 2011 a Fukushima in Giappone.

Il rilascio di nove tonnellate di materiale radioattivo determinò la morte, nel giro di pochi giorni, di trentadue persone e l’inizio di una lunga catena di decessi causati da malattie provocate dalle radiazioni. I primi a perire furono i soccorritori, ossia forze dell’ordine, pompieri e personale della centrale e del centro medico locale che nelle ore immediatamente successive all’esplosione furono inviati, senza alcun idoneo equipaggiamento, a spegnere l’incendio. Costoro operarono in condizioni letali, sottoposti a dosi di radiazioni altissime pari a milleseicento röntgen, ben quattro volte la soglia mortale fissata a quattrocento.

Quasi impossibile stilare un bilancio complessivo delle vittime. Solo in Ucraina, in conseguenza dell’esplosione di Chornobyl sono stati contaminati 294 centri abitati, siti in 77 province di 12 regioni. Al 1° gennaio 2005 nel paese erano 2 milioni e 246 mila i cittadini con lo status di vittime, compresi 643 mila bambini. Sul piano politico-sociale le conseguenze furono altrettanto gravi. Chornobyl finì infatti per accelerare il processo di dissoluzione del regime sovietico a causa dell’acuirsi della già evidente e insanabile frattura tra società civile e Partito.      

La catastrofe alla centrale nucleare ebbe luogo infatti nel 1986, l’anno successivo all’insediamento al Cremlino di Mikhail Gorbachev, l’ex delfino di Yuri Andropov, che dopo la stagione della “gara dei catafalchi” (muoiono uno dopo l’altro Brezhnev, Andropov e Chernenko), avrebbe voluto riformare il sistema sovietico con una politica di ristrutturazione e trasparenza. Le parole d’ordine perestrojka e glasnost, ripetute come un mantra da Mikhail Sergeevich, politico stimato anche in Occidente, suonarono vuote, retoriche, finanche beffarde nei giorni di quel tragico evento.

Il disastro di Chornobyl, come ha sottolineato lo storico Andrea Graziosi, non fece che rivelare al mondo intero “lo stato comatoso del sistema e i danni provocati dalla sua chiusura e opacità”. L’intera vicenda – che in seguito Gorbachev definirà “un colpo che per un po’ spazzò via tutti i nostri progetti” – acuì la coscienza dello stato disastroso in cui versava l’URSS e il radicalismo dei riformisti. Agli occhi di questi ultimi Chornobyl –  scrive Graziosi – “divenne il simbolo di ciò contro cui occorreva combattere”: occultamento della verità, irresponsabilità, mancanza di cura nel lavoro e ubriachezza generalizzata.

Sia la dinamica dell’incidente sia la gestione dell’emergenza dicono di un regime moralmente, politicamente ed economicamente al capolinea. La notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 il quarto reattore della centrale nucleare di Chornobyl andò in avaria per una serie incredibile di errori e disattenzioni che interagì fatalmente con una tecnologia obsoleta che risaliva agli anni Cinquanta. Mentre la sera successiva tutto il mondo parlava dell’incidente e della fuga radioattiva provocata, gli organi ufficiali del Cremlino tacevano. L’Ufficio politico di Gorbachev si sarebbe riunito in seduta straordinaria, per decidere sul da farsi, solo due giorni più tardi, il 28 aprile. Le prime notizie ufficiali diffuse ai cittadini sovietici dalle veline del regime minimizzarono l’accaduto, occultando la gravità di una sciagura ancora fuori controllo, come si ammetteva nei rapporti riservati. Fu Radio Svoboda, la stazione americana per l’URSS, a dare per prima la notizia e anche le principali raccomandazioni su come comportarsi in presenza di elevate quantità di radiazioni.

Yakovlev, uno dei dirigenti della perestrojka, ricordò poi il clima di smarrimento generale che regnava nella riunione, dove nessuno, neppure il ministro dell’Industria atomica, l’anziano Efim Slavsky, e il presidente dell’Accademia delle Scienze, sapeva cosa fare.

Anche Shapoval conferma l’inettitudine di Mosca nel gestire l’emergenza.

“Nei primi giorni dopo l’incidente si cercò di coprire il reattore danneggiato, gettando su di esso, con degli elicotteri, sabbia, piombo, dolomite e altri materiali, ma queste misure non diedero il risultato sperato. Anzi, resero più complicata la successiva liquidazione delle conseguenze dell’incidente per l’appesantimento eccessivo della costruzione. Pochi sanno che, per rendere più chiara l’analisi dell’accaduto, inviata a Mosca, fu girato un film con la visione complessiva del reattore. La consegna della pellicola venne affidata al collaboratore del reparto municipale di Pripyat del KGB in Kiev e regione, capitano Rybak, che adempì al compito affidatogli dalla commissione governativa. Le fonti documentarie permettono di dare una valutazione assai negativa delle azioni del potere. Innanzi tutto, il governo centrale si considerò l’unico in grado di prendere delle decisioni che coinvolgevano centinaia di migliaia di persone. Le autorità locali furono private dagli organi centrali della possibilità di intervenire attivamente nel corso degli avvenimenti senza la preventiva approvazione di Mosca, dato lo status extraterritoriale della centrale e la sua dipendenza diretta dal Ministero dell’Energia Nucleare dell’URSS” (Yuri Shapoval).

Una delle più gravi responsabilità del regime in questa vicenda fu quella relativa all’enorme ritardo, ben 36 ore, con cui venne fatta evacuare la popolazione di Pripyat, la cittadina di 45mila abitanti in prossimità della centrale.

“Su indicazione del vice-presidente del Consiglio dei Ministri d’Ucraina, Kostyantyn Masyk, fu mobilitata molto velocemente una grande quantità di mezzi di trasporto per evacuare la popolazione (alle ore 4 del 27 aprile nella zona di Chernobyl furono concentrati 1125 autobus, 250 camion e auto speciali), ma l’evacuazione della città di Pripyat, sita nelle vicinanze della centrale, iniziò solo alle ore 13.30, dopo che tale questione era stata concordata nelle sfere più alte del potere” (Yuri Shapoval).

Nel frattempo in Ucraina e in particolare nella capitale, distante solo un centinaio di chilometri da  Chornobyl, la tensione andava aumentando.

Quando il 30 aprile si diffuse la notizia che il vento stava soffiando nella direzione sbagliata e che dalle farmacie era scomparso lo ioduro, i vertici locali del partito chiesero a Mosca il permesso di annullare la tradizionale parata del 1° maggio. Gorbachev minacciò di espellere Shcherbytsky, il leader del partito ucraino, nel caso in cui avesse annullato la manifestazione prevista per la Festa dei Lavoratori. Shcherbytsky obbedì e qualche settimana più tardi in una lettera del 22 maggio indirizzata al Comitato centrale del partito comunista dell’URSS sulla situazione in Ucraina dopo l’incidente di Chornobyl scrisse: “La situazione a Kyiv e nella repubblica è normale e operosa. L’intervento del Segretario generale del Comitato centrale del partito comunista dell’URSS Mikhail Gorbachev alla TV centrale ha avuto un grande impatto sulla mobilizzazione dei comunisti e di tutti i lavoratori. I lavoratori danno un alto apprezzamento alle misure intraprese dal partito comunista dell’URSS riguardo alla liquidazione delle conseguenze dell’incidente, alla premura espressa nei confronti della popolazione”.

Parole – conclude Shapoval – che “suonano come una parodia, ma non sono una parodia”. Piuttosto l’espressione del conformismo politico, contrapposto alla realtà.    

Le dure parole di Shapoval hanno trovato eco nella società civile ma come sottolineato anche dagli storici Katrin Boeckh, Ekkehard Völkl “nessuno si è assunto la responsabilità politica della catastrofe”.

“Come esecutori e colpevoli sono stati puniti solamente gli addetti di livello più basso: il direttore della centrale atomica di Čornobyl, l’ingegnere capo e il suo vice sono stati condannati a dieci anni di lavori forzati ciascuno, il capoturno del reattore a cinque, il sorvegliante del reattore a tre e un ingegnere a due anni di pena. Le autorità e le più alte sfere politiche, in base alle cui indicazioni la popolazione fu tenuta intenzionalmente all’oscuro di tutto, non sono state chiamate in giudizio”.

(Katrin Boeckh, Ekkehard Völkl, Ucraina. Dalla rivoluzione rossa alla rivoluzione arancione )    

Oxana Pachlovska, docente di Ucrainistica alla Sapienza di Roma e testimone oculare dell’evento, sottolinea come l’atteggiamento reticente delle autorità, specie quelle moscovite – Gorbachev rese pubblico l’accaduto solo al quattordicesimo giorno dalla catastrofe – contribuì in maniera determinante al crollo definitivo dell’URSS. Parte della popolazione capì che il socialismo, fallito anche sul terreno scientifico-ideologico, era ormai un peso di cui liberarsi.

“La società ucraina, anche quella più ‘allineata’, non ha mai perdonato a una ideologia agonizzante questo suo ultimo inganno, con il quale il sistema uccideva non soltanto quella società stessa, ma anche il suo futuro, i suoi figli, quelli nati e quelli che dovevano venire al mondo. Molti storici – prosegue la Pachlovska – sono convinti che Chornobyl sia stata la ragione scatenante il crollo dell’URSS”.

Che la tragedia di Chornobyl rappresenti uno spartiacque fondamentale nella storia ucraina lo si comprenderà tre anni più tardi, nel 1989, nei giorni in cui folle festanti di cittadini di Ungheria, Romania, Polonia, Bulgaria, Cecoslovacchia e Germania Orientale salutano la caduta della cortina di ferro.

“La caduta del Muro sembrò quasi un fatto scontato. Da Chornobyl in poi questa onda di protesta in Ucraina era ormai inarrestabile. Ricordo che i nostri colleghi cechi che si trovavano a quell’epoca a Kyiv ci guardavano quasi increduli: paradossalmente l’atmosfera sembrava più libera anche rispetto a Praga.”