curdi in fuga grande

La “fine della storia” fu la facile profezia di Francis Fukuyama, che all’indomani del crollo del Muro e dell’implosione dell’impero sovietico decretò l’irreversibile egemonia politico-strategica dell’ordine globale americano. Una “fine”, dunque, tutt’altro che apocalittica. Libero mercato e libere istituzioni avrebbero dispiegato i propri positivi effetti anche in aree del mondo che l’equilibrio del terrore aveva consegnato a ideologie nemiche e che il regime della libertà avrebbe riscattato.

Un quarto di secolo dopo, la storia – “quella” storia – sta finendo nel suo rovescio, cioè nel duplice deterioramento della potenza globale Usa e della sua leadership politica per effetto non solo del rafforzamento militare e economico di antiche potenze (la Russia, la Cina), ma per una vera e propria catastrofe interna al “mondo americano” e alle sue propaggini strategiche (la Nato) e territoriali (l’Europa).

Il via libera di Trump all’invasione dei territori curdi in Siria da parte della Turchia e l’incapacità della Nato e degli Stati europei di contrastarne i disegni espansionisti, a danno dell’unico alleato stabile dell’area, dimostra in modo eloquente che il default occidentale è in primo luogo “interiore”. Usa e Europa si muovono come se l’attuale (anzi, ormai, precedente) ordine globale fosse una costosa esternalità economica, e non una esigenza strategica, cui l’hard power e il soft power americano hanno prestato per decenni non solo i mezzi, ma anche i fini: egemonia militare e egemonia culturale.

La fine di questa egemonia è una rinuncia, una crisi di rigetto più che una resa. È una incomprensione del suo senso e del suo valore “salva-vita”. Gli americani che applaudono Trump che giustifica il sacrificio dei curdi dicendo che gli Usa non possono usare i propri soldi e le proprie vite per un popolo che non li ha aiutati nella seconda guerra mondiale. Gli europei che della inevitabile mattanza di un popolo europeo quanti altri mai in quell’area disgraziata vedono solo il potenziale rischio migratorio. Non sono (solo) crudeli, sono politicamente accecati, incapaci di capire che, oggi più di ieri, la storia è interclusa nella geografia senza confini del mondo globale e ne replica le forme e le divisioni e che le catene dei valori e quelle del valore non hanno più alcuna dimensione nazionale e che non c’è più alcun vero confine dietro a cui trovare riparo.

Anche l’incapacità di pensare che il potere implichi una responsabilità e un’alleanza un obbligo – e che quindi non si possano consegnare i curdi al loro destino – rappresenta un tradimento dell’ideale occidentale, che non è mai stato irenista e a volte anche bellicosamente militarista, ma mai, dal 1945 ad oggi, politicamente indifferente e neutrale.

Altrettanto male occorre pensare degli stati europei, che oggi si fanno scudo della propria minorità strategica e militare e a parte chiacchierare di mini-sanzioni sulle armi ad Ankara si guardano bene dall’ipotizzare un isolamento economico del vicino turco – costerebbe troppo, nella lettura di tutti, in primo luogo perché non varrebbe nulla, i curdi non siamo “noi”. Non si può morire per Danzica, ma neppure pagare per Kobane.

@carmelopalma