Pedro Sanchez

 

Pochi giorni dopo le elezioni spagnole del 28 aprile, Marco Travaglio scrisse un lungo articolo, sostenendo la tesi che la sinistra aveva vinto in Spagna perché, a differenza del Pd, il PSOE sviluppava veri programmi di sinistra. Lo fece, portando ad esempio diverse misure sociali portate avanti da Pedro Sánchez e dal suo partito, senza però entrare nel merito della situazione spagnola, senza apportare numeri in vari casi e sbagliando sul tema del Jobs Act spagnolo (approvato dal governo del PP) che, secondo lui, Sánchez si sarebbe apprestato a demolire. Lo fece, omettendo alcuni pilastri di segno inverso contenuti nelle 297 pagine del programma elettorale del PSOE, e predicendo un governo PSOE/Podemos per i prossimi anni.

Orbene, salvo incredibili sorprese, il 10 novembre prossimo la Spagna tornerà alle urne.

Ovviamente, da Podemos e dalle destre spagnole (di cui fa parte oggi purtroppo anche Ciudadanos), è tutto un coro di critiche sull’arroganza di Sánchez, sulle sue pretese di governare da solo senza avere la maggioranza assoluta, sul fatto che nuove elezioni sarebbero state il suo obiettivo principale sin dall’inizio dei negoziati con Podemos, sulla sua mancata disponibilità a trovare compromessi su alcuni punti.

È una visione limitata, che non tiene conto del fatto che Sánchez è ben consapevole che non otterrà la maggioranza assoluta neanche nella nuova tornata elettorale e che si espone a un grande azzardo (o addirittura alla sconfitta, qualora - anche se non è probabile - Ciudadanos accettasse incredibilmente la proposta del PP di fare liste comuni).

La verità, che pochi scrivono, è che il PSOE, pur andando incontro a Podemos su molte misure, non ha potuto né voluto cedere su alcuni punti fondamentali, per non assecondare in toto le tendenze estremiste e populiste di Pablo Iglesias. Ecco le principali:

- Jobs Act: Podemos vuole sì la demolizione della legge, Sánchez si propone invece di “analizzare la convenienza di modificare gli aspetti più lesivi della legge”;

- Salario Minimo: Podemos vuole aumentarlo del 33% rispetto a un valore già incrementato da poco, per portarlo sopra gli 8 euro l’ora, rispetto ai 6 attuali (misura populista, che pregiudicherebbe la competitività delle imprese spagnole). Il PSOE ne propone invece l’aggancio a una % sul salario medio spagnolo;

- Affitti: Podemos vuole una rigida imposizione per legge dell’affitto massimo da praticare agli inquilini (di fatto, la soppressione del mercato libero), il PSOE non cede su questo punto;

- Tassazione: Podemos vuole imposte straordinarie e aggiuntive su banche e fondi immobiliari, il PSOE non è d’accordo; Podemos vuole l’eliminazione dei windfall profits delle società elettriche, il PSOE è contrario;

- Immigrazione: il PSOE è favorevole a una politica ordinata di stampo europeo, con controllo stretto dei flussi irregolari e concentrazione delle operazioni di salvataggio marittimo sullo Stato. Podemos vuole invece che si permetta la piena operatività e libertà di movimento delle ONG;

- Catalunya: last but not least, il PSOE è favorevole al dialogo con i partiti indipendentisti, ma senza concessioni al di fuori della Costituzione. Podemos è sostanzialmente favorevole a concedere il referendum ai catalani;

Quali sono dunque le vere differenze tra Sánchez e il Pd:

- il primo ha rifiutato il populismo di estrema sinistra, a costo di perdere le prossime elezioni (invano, ha cercato un’astensione benevola di Ciudadanos), rispettando l’iniziativa imprenditoriale, per spingerla ad accompagnare le sue politiche sociali pubbliche; non ha voluto con sé al governo un partito, che si definisce di lotta più che di governo;

- il Pd governa con il Movimento Cinque Stelle e con Leu, che fanno del populismo, del pauperismo, dell’assistenzialismo improduttivo la loro bandiera.

A pag. 29 del programma del PSOE, vi sono i tre pilastri fondamentali della politica di Sánchez:

- coesione sociale

- sviluppo degli investimenti produttivi 

- riduzione del deficit e del debito pubblico

I nostri governanti attuali puntano invece solo a ottenere sconti e deroghe dall’Europa.

PS Qualcuno potrebbe farmi notare che nel programma di Sánchez, vi è comunque un intervento pubblico significativo e un aumento dell’imposizione fiscale sulle fasce più benestanti. Certamente vi è uno spirito sociale avanzato, con interventi contro la povertà e a favore delle fasce più deboli; ma costui dovrebbe, da una parte, analizzare bene l’entità di tali misure, dall’altra rilevare che l’imposizione fiscale in Spagna è 8 punti inferiore alla media europea (non comparabile dunque con la situazione italiana).