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La Risoluzione del Parlamento europeo su nazifascismo e comunismo – non equiparati, bensì giudicati due forme diverse ma ugualmente “proprie”, due facce della medaglia del totalitarismo novecentesco – in Italia è passata per lo più sotto silenzio. Una vecchia questione rimossa e quindi negletta.

Le divisioni a sinistra (contro il PD, che ha votato a favore e dentro il PD, con deputati dissenzienti come Smeriglio e Majorino) erano ampiamente prevedibili ed era prevedibile che finissero silenziate ed esplodessero, con ben scarsa capacità di fuoco e di danno, solo nelle propaggini più periferiche della sinistra: quelle soppiantate dall’antagonismo antipolitico del M5S, cioè da quella enorme centrale di riciclaggio di conformismi e di ribellismi di destra e di sinistra che non a caso, in questo voto al Parlamento europeo, si è prudentemente astenuta. Nondimeno le polemiche sono il frutto di un antico travaglio e rimandano all’oggi, ben oltre le incerte genealogie nazi-comuniste della nuova stagione politica europea.

Le critiche alla Risoluzione del PE – a che serve l’Ue? Anche a questo – sono per lo più storiografiche (in particolare si contesta la centralità del Patto Molotov – Ribbentrop nello sviluppo della vicenda bellica) e moralistiche (in specifico, si denuncia la sottovalutazione o l’oltraggio delle vittime comuniste e il loro contributo alla guerra di liberazione del nazifascismo). Ma a suscitare l’intollerabilità dell’accostamento e della dichiarazione di consanguineità ideologica tra comunismo e nazifascismo è innanzitutto l’idea che il comunismo vada giudicato non per quello che è stato e doveva essere, ma per l’ansia di libertà, di giustizia e di solidarietà umana che milioni di persone hanno prestato a quest’ideale di violenza politica, come se la complessità di tutte le tragedie storiche fosse da riconoscere solo nel suo versante “rosso” e non anche in quello “nero” e come se milioni e milioni di fascisti e nazisti lo fossero stati contro o a prescindere da qualunque ideale di lealtà, di dedizione e di sacrifico ovvero – ancora più radicalmente – a prescindere dalla propria stessa umanità.

Dietro il rifiuto di questo accostamento e dietro lo scandalo che continua a suscitare c’è l’idea ultra-totalitaria che il nazifascismo fosse bestiale perché i suoi protagonisti e sostenitori erano, semplicemente, delle bestie, mentre il comunismo sia diventata una disumana macchina di macelleria politica per una sorta di impazzimento del sistema o per un imprevedibile scarto della storia, che ne avrebbe dirottato la vocazione “umanistica” verso direzioni inaspettate, imponendo il giogo stalinista alle speranze di milioni di persone buone e generose. Insomma, nazifascismo e comunismo non dovrebbero essere giudicati ugualmente cattivi, perché i fascisti erano cattivi, ma i comunisti erano buoni e il comunismo reale è stato il tradimento o almeno il fatale dirazzamento dell’ideale comunista, mentre il nazifascismo l’adempimento coerente di un progetto intrinsecamente diabolico.

Il manicheismo storico che ha opposto nazifascismo e comunismo al di là di ogni evidente parentela è un manicheismo antropologico, non ideologico. Non affonda nelle categorie del politico, in una diversa idea dello Stato, del potere, del diritto e della libertà umana, ma in una forma di razzismo etico-morale, in una sorta di processo di massa alle intenzioni di tutti, che per stare a esempi domestici obbliga, ad esempio, a qualificare l’umanità ribollente dei protagonisti di “Canale Mussolini” come delle pure e impersonali maschere del regime o a eludere il problema politico-culturale del trasbordo di massa nel secondo dopoguerra dell’Italia consenzientemente fascista nelle fila dei partiti antifascisti e anche, ovviamente, nelle fila del Partito comunista.

Alla fine, questa interdizione del concetto e della memoria politici, questa acquiescenza al “non possumus” su qualunque accostamento tra i totalitarismi del Novecento, rende incomprensibile e inaffrontabile anche il problema della conversione nazionalista di milioni di elettori di sinistra, che stanno nella CGIL, ma oggi votano per Salvini, o della dipartita di altrettanti milioni che, nel nome della “vera” sinistra, si sono rifugiati nella fattoria degli animali di Rousseau, al servizio di un impresario del totalitarismo digitale.

@carmelopalma