pillon lapresse

Il Decreto Sicurezza cd bis, da ieri sera Legge dello Stato, può essere considerato in molti modi. Se ne può fare esegesi di stretto diritto, e rilevare quante maggiori pene, e quali nuove, ha introdotto fra le nostre libertà, e, soprattutto, contro di esse.

Lo si può considerare come intermezzo balneare: breve sosta romana, in uno stordimento sabbatico-tribunizio che, gonfio della sua irresponsabilità e del suo numero, sciama fra l’Alto e il Basso Adriatico.

Può essere colto nella sua attitudine antiparlamentare: mentre, da Decreto, s’inventa una necessità e un’urgenza contraddette dalle stesse comunicazioni ministeriali sui reati in deciso calo, e sulle migrazioni finalmente perseguite/perseguitate con asserito successo (v. Conferenza-stampa, a margine del Consiglio dei Ministri n. 61 del giorno 11 Giugno); e, da Legge di Conversione, s’insinua fra la calura e il proverbiale disimpegno agostano, per ancor più facilmente asservire le già asservite compagini di maggioranza: paghe, sul versante giallo, di abbaiare la loro stucchevole e del tutto sterile litigiosità condominiale, e su quello verde, di bearsi del loro confermato status di legislatori-zerbini, onorati di avere potuto ripulire, col loro voto e col loto volto, le suole capitanie.

O può, infine, scandire una sorta di itinerario storico-politico, una sorta di viaggio purgatoriale simildantesco, in cui ciascuno di quegli aspetti trovi un suo posto, sia addendo di una somma, o elemento di una sintesi: ad ogni una norma, comma, articolo, una balza; ad ogni balza, l’immagine a bassorilievo di un Italia che pareva sinistramente viva solo nel ricordo. Con una particolarità aggiuntiva: si procede dalla cima al fondo: dal Paradiso Terrestre delle nostre libertà, alla soglie dell’Inferno, in cui, chiamati a raccolta, alitano tutti gli spettri più famelici e ostili della nostra vicenda civile e politica.

Così, apriamo a caso, e leggiamo che è aumentata la pena (prima “da uno a due anni di arresto”, ora “da due a tre”) per “chi utilizza caschi protettivi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in occasione di manifestazioni”. E, accanto a questo nuovo comma, eccone un altro, che punisce con la reclusione da uno a quattro anni  “chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l'incolumità delle persone o l'integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere”.

Dove avevamo già letto questi reati senza offesa, queste punizioni reclusive per il pericolo di un pericolo? Nella Legge 152/1975, nota come Legge Reale. Ecco dove. E se ne ha quasi un tramortimento: perché la Legge Reale è lo spartiacque, normativo e simbolico, dell’involuzione civile italiana: quello in cui l’Eccezione prese a farsi Regola.
Pericolo di un pericolo: perché i gas, i bastoni, e gli altri oggetti elencati, se solo portati e non usati, si possono sequestrare su due piedi in via amministrativa, con l’aggiunta di una sanzione pecuniaria: la galera ha, continua ad avere, solo valore autocelebrativo per un Apparato che intende unicamente intimidire.

Molti, allora giovani, giovanissimi o meno giovani, “di destra” o “di sinistra”, e ora confluiti nel presente nulla governativo, come Veneziani, Nordio, Buttafuoco, Lehner, Maglie, Meluzzi, Feltri Sr (e altri di cui sarebbe fatica estenuante stendere un elenco appena aggiornato), poco importa se per memoria diretta o indiretta, dovrebbero ricordare l’incrinatura poliziesca che allora prese l’aire.

E magari dire a se stessi, se non hanno la forza di dirlo a chi li legge o li ascolta, che il Capitano (e sequela) è nudo, di una nudità assai più cruda di quella largamente sciorinata in giro per il web; e possibilmente, se la dicano, questa verità, in omaggio a qualche “compagno” o “camerata” che “realmente” le prese, anche in malo modo.
Non ci si può stupire più che tanto, a ben vedere. Già nel primo Decreto Sicurezza, non era stato forse ripristinato il testo dell’art. 1 D. Lgs 66/1948, tornando a punire con la reclusione da uno a sei anni la condotta di “Blocco Stradale e ostruzione o ingombro di strade ferrate”? (dal 1999, erano solo illeciti amministrativi).

Reato da dopoguerra, quando ancora le macerie, la polvere e il sangue del conflitto mondiale e di quello civile, non avevano esaurito la loro scia di violenza e di rozzezza politica: per cui, i conflitti sociali, le inquietudini, trovavano più facilmente il manganello e la cella, che un confronto di idee e di proposte. E tuttavia, allora le cose erano complicate, davvero difficili; ferrei schieramenti internazionali, precari equilibri interni; così che una giovane Repubblica (neonata, si può dire), storicamente può essere, se non giustificata, almeno compresa per quei suoi primi passi illiberali. Ma ora? Ora che l’Italia, ampia, sazia e maggioritaria, festeggia spensieratamente al Papeete (e magari, tanto può, grazie anche a quel sangue e a quella polvere, uniti nell’unico trattamento celerino)? Ora, perché il 1948?

Sembra quasi che si voglia celebrare un punto di congiunzione: non astrale, ma più immediatamente storico-politico. Dove il passato più tetro delle nostre libertà politiche e civili, sia eretto a Nuovo Inizio: e il boia che si sperava di poter dimenticare, sorga a Padre Nobile, da esibire fra baccanali e folle di nuovo acclamanti. Né, in questo avvitamento psico-temporal-normativo, si può sottacere dei “reati in incognito”: vale a dire, fattispecie che, formalmente amministrative, però, per l’incidenza delle loro sanzioni, e per i poteri conferiti all’Apparato, sono “sostanzialmente penali”: sottratti al regime più garantistico di queste, proprio in ragione del “giochino” legislativo. E assegnati alla obliqua competenza della linea Ministro-Prefetti. Così è, ad es., per la sanzione pecuniaria, da 10.000 a 50.000 euro, e la confisca del natante (questa, se ci sia “reiterazione commessa con l’utilizzo della medesima nave”), previsti nel caso di inosservanza del “divieto ministeriale” (art. 2 del Decreto bis)

Ora, come già nel caso dei (mancanti) requisiti di necessità e urgenza, a cui potrebbe rimediare la Corte Costituzionale (intervenendo anche sulla Legge di Conversione, viziata per “derivazione”, v. Sent. 171/2007), anche per i “reati in incognito”, ci potrà essere un potenziale rimedio giudiziario (la CEDU, di recente, il 30/04/2019, nel Caso Elvira Dmitriyeva -ma già dal noto Caso Engel, 1976- ha precisato che non ci possono essere tali reati: se incidono beni primari, con una “gravità penale”, alla sostanza deve affiancarsi “la forma”: cioè, congruenti tutele legislative).

Anche ammesso che ve ne siano, i rimedi “del giudizio” sono di là da venire.
 Soprattutto, da quest’ultimo punto di vista, (interventi sovranazionali), semmai, anche la nuova Legge conferma una tendenza che aggiunge nocività a nocività. Ed è una tendenza di schietto valore politico. Dunque, fondamentale, e condizionante anche il piano giurisdizionale.
Il ritorno al passato serve ad organizzare il futuro.


Un futuro avventuristico, geopoliticamente insensato, votato ad un isolazionismo straccione e ricco solo di chiacchiere costituzionalmente moleste e velleitarie.
I poteri che il Ministero dell’Interno si è attribuito, con la facoltà/prevaricazione di “limitare o vietare l'ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale” (art. 1 Decreto Sicurezza bis), infatti, ci sono già valsi, a noi che contiamo almeno 60 milioni di emigrati nel Mondo, una contestazione formale dell’ONU (v. Lettera dei cinque Special Rapporteur del 15 Maggio 2019): che ne ha rilevato l’incompatibilità con gli obblighi derivanti dalle Convenzioni UNCLOS, SOLAS e SAR sul diritto internazionale del mare, nonché con ilprincipio del non-refoulement.

E non basta. Il Ministro dei “porti chiusi”, non ha fatto in tempo a pompeggiare su questa norma che, vietando l’ingresso a Lampedusa della motonave “Gregoretti”, Guardia Costiera Italiana, in un crescendo di isteria dell’impotente, ha finito con lo sconfessare il suo stesso Decreto: giacchè, dopo l’annuncio di quel Potere bolsamente Autocratico, nello stesso comma, era nondimeno previsto che esso non valesse per “naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale” (e non poteva non prevederlo: non solo per fedeltà ai suoi mascheramenti ”in divisa”, ma per la più ineludibile ragione che, senza, non avrebbe superato nemmeno il pur felpatissimo Quirinale).

Non c’è però da farne sarcasmo: e nemmeno ironia, nonostante gli approdi finali “a singhiozzo”. Se lo faccio con le “mie” leggi, le altre nemmeno le guardo, pare suggerire il Governo Salvini/Casaleggio. Apparentemente, gioca a fare il “baluba”, che è più da Beach Tour. Solo che, nella presente realtà politica italiana, quasi catilinaria (pure nel suo studiato equivoco libertà/licenza, moderno/primitivo), pare più sensato ritenere che punti a rendersi legibus solutus.
 Che è più da ulteriore “ripescaggio” storico-politico: da valico dell’Inferno.