Ventotto anni a processo. Il caso Mannino è il caso Giustizia
Diritto e libertà
«Basterebbe rileggere tutto il catalogo Law&Order delle svariate tirannie lungo i secoli. Sempre a base di pubblici ministeri: da Jean Calais nasce il Voltaire del Trattato sulla Tolleranza; da Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza, il Manzoni de La Colonna Infame; da Dreyfus, lo Zola del J'accuse; Da Sacco&Vanzetti, se non nacquero, certo si mossero Einstein, Dos Passos, Bertrand Russel; da Enzo Tortora, si mosse Sciascia; da Sofri, da Mannino, da Mori e da nemmeno s’immagina quanti altri, chi vorrà. Basterebbe ritornare a queste ignominie e rifletterci qualche minuto. E, poi, se proprio si vuole, sillabare di nuovo quella parola infelice: legalità».
Un’autocitazione suggerisce doverosamente sommesse scuse, che qui subito espongo; ma, talvolta, ugualmente si affaccia e si impone. Frugando fra carte e ricordi, mi sono imbattuto in queste parole, di poco più che cinque anni fa e, alla notizia di un’altra assoluzione per Calogero Mannino, non sono riuscito a distogliermene.
Legalità. Quanti misfatti, in Tuo nome. Da 28 anni, un uomo in Italia, secondo la sua giurisdizione, senza requie è sottoposto a Processo, o ad indagine preliminare. Rimanendo tuttavia “incensurato”. Sempre assolto, o archiviate le indagini.
La prima investigazione, per associazione di tipo mafioso, si mosse nel 1991, ad opera della Procura di Trapani. Archiviazione.
A seguire, la Procura Antimafia di Palermo, avvia il procedimento penale per associazione di tipo mafioso. Custodia cautelare. In carcere. Nel domicilio. L’imputato, nella fornace; il politico, annientato; l’uomo, eroso nelle sue carni, essiccato quasi. Comunque resiste; la fede, dirà, lo sostiene.
Quel Giobbe torna libero, e Il Tribunale di Palermo, il 5 Luglio 2001, lo assolve; X Anno. La Procura della Repubblica ha il potere di prolungare a discrezione una “pendenza”, fino e oltre la soglia della tortura. E lo fa. Propone impugnazione, e la Corte di Appello, con sentenza del 11 Maggio 2004, soddisfa la pretesa: condanna; Anno XIV.
Mannino si volge, allora, alla Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, il 12 Luglio 2005, annulla la condanna; la Corte di Appello di Palermo (Giudice di rinvio), il 22 Ottobre 2008, conferma l’assoluzione; la Procura Generale di Palermo, indefessa, potente, inarrestabile, ricorre in Cassazione, la quale, il 14 Gennaio 2010, rigetta il ricorso ostile a quell’uomo, e ne rende definitiva l’assoluzione: quella. XIX anno.
Già così, sarebbe troppo. E anche più di troppo. Ma non basta. Una genìa incollerita dalla sua stessa vanità, gonfiata dalla sua stessa arroganza, secerne fantasie, piega la forma giuridica al misfatto, insegue e anima una storiografia paranoide.
L’Italia è occulta. La Sicilia, più occulta di tutte. Le bombe, non sono bombe. Sono un negoziato. Lo Stato e la mafia sono stati compari. Mannino, l’impuro pronubo. Si ricomincia.
Chiacchiere. Una montagna di chiacchiere, di elucubrazioni, liminare al trastullo, di accuse che digrignano la loro inconcludenza; menzogne; falsità. L’uomo scorge, e sorge. Sfida la Procura sulle sue stesse carte. Si vada al giudizio, dice, su questa montagna di vapori sulfurei, di oscurità giudiziarie. Giudizio Abbreviato, recita la Legge, resa sadica e beffarda. Il Gup di Palermo, il 4 Novembre 2015, comunque, assolve. Di nuovo.
Giovanni Brusca. Cianciminio Jr, “L’Icona”. Il Papello. La “giustizia collaborativa”, le “dichiarazioni”.
Sentite lo sbigottimento di chi ha giudicato quelle “carte”.
“Nel corso del tempo”, le dichiarazioni di Brusca hanno “subìto diverse modulazioni e mutamenti sostanziali, fino ad approdare alla forma di analisi congetturali di ampio respiro”: tali da indurre a ritenere che chi le rendeva, intendesse ritagliarsi “una sorta di veste di opinionista” (ivi, pag, 167).
Simile carattere congetturale ed opinionistico della fonte aumentava, man mano che il tempo della “dichiarazione” si allontana da quello dei fatti: conosciuti o vissuti in ragione del ruolo che Brusca “rivestiva effettivamente all’interno di Cosa Nostra, nella stagione di cui si discute”; e correlativamente attingendo, viceversa, “dalle suggestioni e dagli altri fattori inquinanti che sarebbero sopravvenuti successivamente” (ibidem). Per “suggestioni”, e “fattori inquinanti”, si precisa intendersi la “...tendenza di Brusca ad arricchire le sue dichiarazioni di connessioni tra fatti da lui conosciuti e fatti appresi dai processi e dai mezzi di informazione e a fornire interpretazioni ad ampio raggio”; ivi pag. 219 che determina, in fine, “l’innegabile ed ingiustificata progressione delle accuse” (v. ivi, pag. 252).
Quanto all’altra principale fonte di prova, “l’Icona dell’Antimafia”, le sue “caotiche dichiarazioni” (fonte di prova tuttavia ritenuta unica, per più di un profilo, non solo giuridico-processuale), sono riassunte in termini di “avventura processuale” (Ivi, pag. 504).
Avventura processuale. Che pare quasi una passabile divagazione, un esperire il tempo in un modo ancora umano. Ma è un incubo, per chi ha dato il suo sangue a quel tempo. Un inferno. Una ragione di umiliazione per ogni acconcia idea istituzionale e di Giustizia.
Ci si ferma qui, almeno? Nonostante le “caotiche dichiarazioni” di Brusca, “l’avventura processuale” di Ciancimino Jr? Non si può; non si deve. Non sia mai. C’è la cd Trattativa Stato-Mafia, il Processo Principale. Un intero Apparato, istituzionale e dell’editoria calunniatrice, della gazzettistica parassitaria, che ne dipende, e che ha vissuto e vive per essa e in essa. Giobbe, pazienti. D’altra parte, a ciascuno il suo: ai giusti, la sofferenza; agli ingiusti, la persecuzione. Appello, su Mannino Il Negoziatore. Ieri, ancora, assoluzione. Anno XXVIII.
C’è la Cassazione, però, verso cui tendere le funi del tempo, che sempre più si stringe come un cappio. C’è l’Appello “pendente” sul Processo Principale cd Trattativa, che pure dovrà misurarsi con questo duplice, solenne, tardo ma pur vivo canto della Giustizia.
Ma, soprattutto, non c’è la vergogna. To be continued.