fraccarodimaio grande

Approvata in prima lettura alla Camera a febbraio, ora in esame nella Commissione Affari costituzionali al Senato, la riforma sul referendum propositivo (riguardante l’articolo 71 della Costituzione) è considerata una delle misure principali, tra quelle previste dal contratto di Governo, in quota M5s. “Chiave di svolta” per la democrazia nel nostro Paese secondo Fraccaro, modo di rafforzare la democrazia rappresentativa per Conte. È difficile, tuttavia, dimenticare, quando si pensa a questa riforma, le eloquenti dichiarazioni di Grillo e Casaleggio sul superamento del Parlamento.

Può forse sorprendere che alcune critiche a questa riforma arrivino da eminenti figure di ambienti che non solo erano stati benevoli nei confronti dell’istituto del referendum abrogativo, ma spesso anche fautori e “abusatori”. Tale apparente contraddizione è, al contrario, pienamente comprensibile se si guarda alla sostanziale differenza tra i due istituti (referendum propositivo e abrogativo).

In un’ottica liberale il referendum abrogativo potrebbe essere visto come un’opportuna forma di “Check and Balance”, un giusto controllo, una necessaria limitazione al potere del legislatore istituzionale. Inoltre, anche alla luce della storia politica del referendum abrogativo in Italia, sarebbe possibile considerare questo istituto come uno dei principali metodi di lotta e di iniziativa nonviolenta e di disobbedienza civile: se Thoreau sosteneva che “Sulla mia persona e proprietà il governo ha i diritti che gli concedo e nulla di più”, l’attuazione concreta di una protesta contro una norma imposta ritenuta ingiusta o oppressiva (che vada oltre alla disobbedienza civile come mera non-collaborazione) è proprio la formulazione (in questo caso legale e legalmente vincolante) della richiesta della sua abolizione.

Il referendum abrogativo, quindi, come misura difensiva dalle eccedenze del legislatore, come lotta “nonviolenta” a una soperchieria subita, a un eccesso di prevaricazione dei poteri statali (anche nelle nostre vite private). Questo tipo di istituto referendario è, quindi, per sua stessa natura abrogativa, un possibile strumento di limitazione degli abusi della maggioranza (che sia parlamentare o di governo) a danni dell’individuo (attraverso leggi che lo coinvolgerebbero).

Anche se il referendum abrogativo è stato a volte in Italia usato con il fine di, al contrario, proporre obiettivi di riforma, esso mantiene una natura di “iniziativa legislativa indiretta” limitante, limitata, “difensiva” e “nonviolenta”. Rimane una istituzione di democrazia diretta in perfetta armonia con il sistema liberale della democrazia rappresentativa. Il referendum propositivo ha natura concettuale e materiale totalmente diversa.

Inizialmente, nel testo base non emendato della riforma presentato in prima lettura alla Camera non era previsto un quorum né erano indicati dettagliatamente i limiti per le materie su cui è possibile tenere questo tipo di referendum. Il testo approvato alla Camera ha, tuttavia, un quorum (grazie soprattutto agli emendamenti dell’onorevole Ceccanti) e vengono un po’ meglio precisati i limiti degli ambiti che possono essere oggetto di iniziativa referendaria.

Bisogna evidenziare, nondimeno - benché esponenti del Movimento 5 stelle sostengano che il problema non sussista - che nella formulazione di questi limiti anche nella nuova stesura dell’articolo 71 non vengono usate le stesse parole adoperate nell’articolo 75 (per i limiti del referendum abrogativo). Ciò potrebbe dare adito a molte difficoltà interpretative, vista soprattutto l’ambiguità delle parole con cui verrebbe previsto il divieto di indire referenda sulla ratifica di trattati internazionali. Potrebbe sorgere il dubbio che tale ambiguità non sia unicamente dovuta a sciatteria formale, ma a volontà deliberata, all’intento di avere maggiore libertà interpretativa sulle materie referendarie ammissibili.

Questo tipo di referendum in questa forma non può essere considerato, a parere di chi scrive, una iniziativa “liberale” o “nonviolenta”. Il fatto stesso che l’approvazione di un testo di legge venga rimessa a un lapidario “sì” o “no” è uno svuotamento del senso stesso della democrazia. Democrazia che viene privata delle sue componenti principali e fondamentali: il dialogo, lo scambio, il confronto e anche la responsabilizzazione dei “policy-makers”. La totale accettazione o il totale rifiuto di un provvedimento, senza permettere modifiche, senza la possibilità di una dialettica non è certamente un atto difensivo o “nonviolento”.

Considerata anche la vaghezza dei limiti previsti dalla riforma alle materie che possono essere oggetto di referendum propositivo, potrebbero anche essere approvate leggi che inaspriscano inutilmente le pene per innumerevoli reati o che ledano i diritti individuali, fatto che risulterebbe di violenta imposizione, di annichilimento, per tirannia plebiscitaria, della persona. Tutti questi dati suggeriscono anche l’intenzione di mettere, a livello concettuale, apparentemente in contrasto due elementi essenziali del nostro ordinamento politico: quello liberale e quello democratico.

Contrasto che si realizza non solo nell’ideazione di una forma referendaria che si rivela impositiva e illiberale, ma anche nel contestuale svilimento del Parlamento attraverso la riforma degli articoli 56 e 57 della costituzione (drastica riduzione del numero di deputati e senatori), approvata a grande maggioranza in prima lettura sia alla Camera che al Senato.

Il raccontare la componente liberale e quella democratica (o forse anche più ampiamente il liberalismo e la democrazia) in un fantomatico conflitto è, in diverse forme, una costante di molti governi populisti. Colui che proclama questo contrasto, questa distanza in modo più chiaro ed esplicito è Orbàn con la sua “democrazia illiberale”. Più in generale e in modo più subdolo, gli altri governi populisti o nazionalisti si “limitano” a giustificare e imporre (ridicolizzando tutte le critiche) leggi palesemente illiberali o che violano i diritti e le libertà dei singoli, legittimando tali provvedimenti attraverso il grande consenso di cui questi governi godono o con l’invocazione della “volontà generale” o “popolare”.

Appare dunque evidente che essere convinti del fatto che questa riforma costituzionale (dell’articolo 71) sia non solo illiberale, ma anche eversiva non è per niente in contraddizione con il sostenere l’utilità dell’istituto referendario abrogativo. Ciò che auspicano i 5 stelle non è uno strumento che si inserisca armoniosamente all’interno di uno Stato liberale e che possa, tra le altre cose, fungere anche da “Check and Balance”, avere quindi un ufficio limitativo del potere, ma l’irrompere di un istituto che faccia detonare un irrazionale conflitto tra democrazia e liberalismo.

Il referendum propositivo, previsto dalla riforma, si concretizzerebbe in una deresponsabilizzazione della classe politica, in un’assolutizzazione (e conseguente intoccabilità) di provvedimenti (potenzialmente oppressivi o liberticidi) approvati plebiscitariamente. Questo mirabolante istituto di democrazia diretta (tanto esaltato dal M5s) si potrebbe tradurre in una tirannia (“violenta” perché impositiva) della maggioranza senza garanzie per l’individuo.