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Sabato 15 dicembre 2018 è una data che entrerà nei libri di storia, non solo ucraini. Il Concilio di Unificazione, tenutosi a Kyiv presso la Cattedrale di Santa Sofia, ha infatti sancito ufficialmente la nascita della Chiesa Ortodossa Ucraina indipendente. Prima del concilio, che ha eletto come primate della nuova chiesa il trentanovenne Epifanyi e al quale hanno partecipato circa duecento tra vescovi, preti e altri ufficiali ecclesiastici, in Ucraina esistevano tre Chiese Ortodosse: la Chiesa Ortodossa Ucraina, patriarcato di Kyiv, la Chiesa Ortodossa Ucraina, patriarcato di Mosca e la Chiesa Ortodossa Ucraina Autocefala.

Per analizzare la portata di questo evento, salutato dal Presidente ucraino Petro Poroshenko come un momento fondamentale nel processo di definitivo affrancamento dell’Ucraina dal giogo moscovita, è necessario ripercorrere alcune tappe misconosciute della storia religiosa, politica e culturale del Paese.

Conoscere le complesse vicende storiche dell’Ucraina è infatti conditio sine qua non per comprendere ciò che è avvenuto a Kyiv, evitando letture parziali. Il concilio del 15 dicembre è l’atto finale di un processo, iniziato nel 1991 con la proclamazione di indipendenza dell’Ucraina, che ha subito una significativa accelerazione lo scorso ottobre quando il Patriarca ecumenico ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo ha autorizzato la creazione di una Chiesa ucraina autocefala, provocando l’irritazione del Patriarcato di Mosca il quale da sempre sostiene che le fondamenta religiose dello Stato Russo siano a Kyiv.

La vulgata che le radici cristiane della Russia risalgano al battesimo del 988 voluto dal principe Volodymyr (Vladimir secondo la grafia russa) di Kyiv è stata ripetuta più volte in questi giorni non solo dagli organi di stampa russi ma anche da diverse testate italiane nel commentare quello che è stato definito “un nuovo scisma, dopo la grande spaccatura tra le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente, nel 1054”.

In realtà studiando le secolari vicende del cristianesimo orientale la data cui occorre fare riferimento per inquadrare in prospettiva storica questo scisma tra Mosca e Kyiv, ammesso che sia corretto usare questa parola, non è quella del 1054 ma quella del 1686.

Ma occupiamoci prima della Rus di Kyiv, stato medioevale con al centro la capitale ucraina, sorto tra l’Ottavo e il Nono secolo, che ebbe il suo apogeo intorno all’anno Mille. Il battesimo della Rus, cui fa riferimento la storiografia russa, avvenne nel 988 con Volodymyr il Grande quando la città di Mosca non esisteva ancora.

Nonostante lo stato medioevale della Rus non coincida affatto con l’attuale Russia la storiografia prima zarista, poi sovietica hanno sovente usato l’equivoco storico-semantico Rus/Russia per riscrivere la storia in ottica imperiale. Questo processo di riscrittura della storia, iniziato dopo il Trattato di Pereiaslav del 1654, è proseguito anche in epoca sovietica. L’usurpazione della storia ucraina, attraverso il mito delle radici cristiane e quello ad esso legato di Kiev (grafia russa) madre di tutte le città russe, sarà utilizzata anche dall’Unione Sovietica di Gorbachev, ufficialmente atea, in occasione della ricorrenza dei mille anni dal Battesimo di Volodymyr, provocando non poche polemiche in Ucraina per la strumentalizzazione di episodi fondamentali della storia ucraina.

“La cultura nel primo millennio d.C. significava soprattutto religione. La tradizione narra che l’intera Rus fu battezzata nella fede cristiana dal principe Volodymyr di Kyiv nel 988. La celebrazione del millennio nel 1988 è stata una delle pietre miliari della glasnost di Gorbachev, anche se agli ucraini non fu assegnato alcun ruolo speciale nelle commemorazioni, che si svolsero a Mosca. Per i nazionalisti ucraini questo fu doppiamente irritante, considerando che i sudditi di Volodymyr erano ucraini, non russi” (Andrew Wilson, Ukrainians. Unexpected Nation).

Pur nella consapevolezza che il tema dell’eredità storica della Rus di Kyiv e la disputa tra Russia e Ucraina richiederebbero una trattazione ben più ampia e approfondita, ritengo utile citare una vicenda che ha come protagonista Yaroslav il Saggio, figlio di Volodymyr il Grande. Yaroslav muore il 28 febbraio 1054 e viene sepolto nella Cattedrale di Santa Sofia. Il sarcofago è ancora conservato nella cattedrale, ma i resti del principe scompaiono da Kyiv nel 1944 durante l’occupazione tedesca della città. Secondo alcune voci sarebbero finiti nelle mani delle gerarchie della Chiesa Ortodossa Ucraina negli Stati Uniti e sarebbero stati in seguito localizzati a Manhattan dopo la guerra. Alcuni – scrive lo storico Serhii Plokhy – sospettano che i resti di Yaroslav si trovino ora presso la Chiesa della Santa Trinità a Brooklyn.

Il mistero legato a questa sparizione non ha niente a che vedere con l’imperialismo culturale americano, ma è strettamente legato alla questione della rivendicazione da parte ucraina dell’eredità storica della Rus di Kyiv. “Gli ecclesiastici ucraini lasciando la loro patria rimossero le reliquie in modo da impedire che cadessero nelle mani dell’esercito sovietico che avanzava. La preoccupazione che una volta tornate a Kyiv, sarebbe potute finire in Russia, spiega abbastanza il continuo rifiuto dei custodi della chiesa di Brooklyn di discutere la questione dei resti di Yaroslav con i rappresentanti del governo ucraino” (Serhii Plokhy, The Gates Of Europe. A History of Ukraine).

Veniamo ora al 1686, data fondamentale per la corretta comprensione delle vicende politico-religiose legate alla nascita di una Chiesa Ortodossa Ucraina indipendente da Mosca. Prima di quella data infatti il metropolitanato di Kyiv dipendeva da Costantinopoli e non da Mosca. È lo stravolgimento della storia ucraina che avviene a metà del Seicento, dopo la firma del Trattato di Pereiaslav a provocare il conflitto di civiltà tra Kyiv e Mosca tuttora esistente. Nel 1654, quando l’etmano Bohdan Khmelnytskyi è costretto a firmare un accordo con la Moscovia, si chiude la pagina polacca, potremmo dire europea, dell’Ucraina e si apre quella russa che dura ufficialmente fino al 1991 quando l’Ucraina, con la proclamazione di indipendenza, cercherà di tornare in Europa recuperando sia la tradizione storico culturale della Rus di Kyiv sia quella del Cosaccato, primi embrioni dello Stato Ucraino.

Nonostante l’accordo si configurasse come un patto a scopo difensivo contro tatari e polacchi, Mosca lo snaturerà fino al punto di utilizzarlo come pretesto per colonizzare e russificare l’Ucraina, riscrivendo anche la storia del Paese.

Più tardi Pietro il Grande attribuendo il nome Rus (Rossiya) a tutto l’impero, sempre più vasto grazie ai territori ucraini, compie una lungimirante operazione di imperialismo culturale. “Fregiando il suo paese di un nome carico di gloria e di passato, [Pietro il Grande, N.d.R.] conferisce al suo impero radici antiche e prestigiose. Dopo aver posto le basi per una sistematica depredazione di tutte le risorse naturali della nuova colonia, ne sradica l’élite intellettuale, che convoglia in blocco a Mosca, all’insegna del concetto di “unità” del mondo slavo ortodosso” (Oxana Pachlovska, Civiltà Letteraria Ucraina).

Torniamo per un attimo alla prima metà del Seicento per vedere come in realtà la Chiesa Ortodossa Ucraina si stesse avvicinando culturalmente a quella cattolica e come questo dialogo con l’Occidente verrà poi sconfessato una volta che l’Ucraina, dopo Pereiaslav, finisce sotto il dominio della Moscovia. Figura fondamentale per il dialogo religioso e culturale tra l’Ortodossia Ucraina e l’Europa è quella del metropolita di Kyiv Petro Mohyla. Negli anni tra il 1632 e il 1646 Mohyla istituisce il collegio di Kyiv (in seguito Accademia Mohyliana di Kyiv), riformando la sua chiesa secondo le linee della Riforma Cattolica e fornisce un impulso decisivo alla modernizzazione culturale dell’Ucraina.
“Nel Seicento s’inasprisce la lotta tra uniati e ortodossi, con i cattolici polacchi e il clero di Mosca a fare da terzo incomodo interessato. Di contro la cultura ortodossa ucraina manifesta in modo quanto mai esplicito caratteristiche insolite per l’area bizantina. Il mondo intellettuale ucraino si apre sempre di più alle diverse esperienze culturali, dialoga con l’intero corpo della cultura europea. Il Barocco ucraino, con tutte le sue peculiarità, fa conoscere al mondo ortodosso le risultanti della ricerca estetica e filosofica dell’Occidente. Ed è questo che consente all’Ucraina di entrare nelle coordinate della cultura europea e di svolgere un ruolo di mediazione tra l’Occidente europeo e l’universo slavo-ortodosso” (Oxana Pachlovska, op. cit.).

Nel 1674, ossia vent’anni dopo l’accordo di Pereiaslav, i monaci della Lavra di Kyiv pubblicano Synopsis, un testo storico che per la prima volta presenta Kyiv come centro della nazione e della monarchia russa, sostenendo l’unità religiosa, dinastica ed etnonazionale degli Slavi dell’Est contro le minacce provenienti dalla Polonia e dall’Impero Ottomano. A questo primo atto di riscrittura della storia culturale ed ecclesiastica dell’Ucraina seguirà poi, dodici anni più tardi nel 1686, la subordinazione della Chiesa Ortodossa Ucraina al Patriarcato di Mosca.

Ciò che è avvenuto sabato 15 dicembre, nella storica Cattedrale di Santa Sofia, non è dunque uno scisma, ma il ritorno, a tutti gli effetti della Chiesa Ortodossa Ucraina alle sue origini. Quando Epifaniy il 6 gennaio 2019 si recherà in Turchia per ricevere dalle mani del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo il “tomos” dell’autocefalia, ovvero l’atto supremo che sancisce l’indipendenza ecclesiale, la Chiesa madre di Kyiv non sarà più Mosca ma, come un tempo, Costantinopoli.

Vediamo ora i risvolti politici di questa storica decisione. Per farlo occorre ripercorrere brevemente gli ultimi 27 anni della storia ucraina, in particolare quelli dal 2004 ad oggi. Dopo la proclamazione di indipendenza dall’URSS nel 1991, la Chiesa Ortodossa Ucraina si scinde in tre giurisdizioni – Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Kyiv, Chiesa Ortodossa Autocefala. Il patriarcato di Kyiv, creato nel giugno 1992 dal metropolita Filaret e dai suoi sostenitori, dopo la rimozione di quest’ultimo dalla guida della Chiesa Ucraina Ortodossa-Patriarcato di Mosca, viene supportato da membri del parlamento e da vari partiti di ispirazione patriottica.

Mykola Porovskyi, deputato del Rukh, il partito che più aveva contribuito all’indipendenza del paese da Mosca, sostiene l’opportunità che la giurisdizione della Chiesa Ortodossa Ucraina rimanga all’interno dei confini del paese. Ciò è considerato funzionale anche al perseguimento di un’efficace politica di nation building, assolutamente necessaria in quegli anni. La Chiesa Autocefala, che nasce invece con il supporto delle Chiese Ortodosse della diaspora del Nord America, seppure in disputa con il Patriarcato di Mosca, si muove in un contesto di strenua competizione per la rinascita dei greco-cattolici, legati a Roma. Nel corso degli anni seguenti è però l’ala russofila, quella legata al Patriarcato di Mosca, a dimostrarsi la meno sensibile al dialogo interreligioso.

Con lo scoppio della Rivoluzione Arancione del 2004 si assiste alla prima grande crisi del mondo ortodosso in Ucraina proprio a causa delle posizioni sempre più ucrainofobiche del patriarcato di Mosca. Interessante quanto scrive Oxana Pachlovska nel paper Kiev nella rivoluzione arancione e la crisi dell’ortodossia, pubblicato nel 2007. “Fino al 2004 l’esistenza di un 'unico spazio ortodosso' degli slavi orientali, ‘disturbato’ da pochi ‘scismatici’, non era mai stato messo in discussione. Nel 2004, in Ucraina, la frattura tra tutte le chiese e tutte le fedi schierate senza se e senza ma con le forze democratiche mentre la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca appoggiava a spada tratta le forze politiche prorusse si è fatta abissale. Questa circostanza ha sottolineato ancor di più che non si trattava di un mero conflitto teologico, ma di un autentico conflitto di civiltà: da un lato il monolito russo-ortodosso, e dall’altro, una variegata cultura di tipo occidentale dal volto multiconfessionale dell’Ucraina”.

La Rivoluzione Arancione supera anche il paradigma di Samuel Huntington della cesura culturale tra l’Ucraina greco-cattolica e l’Ucraina ortodossa. La frattura più grave del 2004 che si riproporrà drammaticamente anche nel Maidan del 2013-2014, quando la Chiesa moscovita si schiererà con Yanukovych e Putin contro i manifestanti democratici, non è più quella tra civiltà cristiano-occidentale e cristiano-orientale, ma quella tra un’identità slavo-europea e una slavo-asiatica.

L’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa nel marzo 2014 e la guerra di Putin in Ucraina, con il clero del Patriarcato di Mosca che benedice i nazionalisti russi che vanno a combattere in Donbas e alcuni sacerdoti della Chiesa Ortodossa Ucraina del Patriarcato di Mosca che si rifiutano di celebrare i funerali di soldati ucraini morti in guerra, segnano un punto di non ritorno per il mondo ortodosso ucraino.

Accantonate le incomprensioni del passato, la Chiesa Ortodossa Ucraina, patriarcato di Kyiv e la Chiesa Ortodossa Ucraina Autocefala si uniscono dando vita a una Chiesa Ortodossa Ucraina indipendente riconosciuta ufficialmente da Costantinopoli.

Con buona pace dei tanti detrattori di Poroshenko questo storico evento va annoverato tra i successi della sua presidenza, una presidenza spesso criticata, talvolta anche a ragion veduta – occorre fare di più sul fronte della lotta alla corruzione –, ma che ha avuto l’indubbio merito di emancipare definitivamente il Paese dal giogo moscovita e di ricollocarlo saldamente in Europa.