genova di maio grande

I funerali di Stato per le vittime di Genova, segnano un passaggio cruciale della storia del nostro Paese. Lo so, non è certo la prima volta che una cerimonia solenne viene trasformata in una gazzarra, non è la prima volta che applausi e soprattutto fischi rompono il compito e dignitoso silenzio, non è la prima volta che l’ostentazione della rabbia sostituisce l’intimità del dolore. Questi fischi vengono da lontano e, è venuto il momento di dirlo, vengono da sinistra.

L’idea che l’infelicità degli individui derivi sostanzialmente dalla malvagità dei governanti, è infatti storicamente profondamente radicata nella cultura politica della sinistra. Allo stesso modo appartiene alla cultura politica della sinistra, la convinzione che, una volta sconfitto il nemico (di classe), si schiuda la possibile felicità dell’uomo. È in quest’ottica che si spiega la figura del “ribelle” come rappresentante del popolo necessariamente buono, contro il potere necessariamente cattivo. 

Il populismo è in gran parte un derivato di questa cultura. È la stessa cultura che nel 2002 convoglia in piazza tre milioni di persone convinte che abolire il famigerato articolo 18 leda “i diritti fondamentali dell’uomo”; è la stessa cultura che contrabbanda come “gratuiti” i servizi pubblici invece profumatamente pagati con la tassazione ordinaria; è la stessa cultura secondo la quale la persona di successo, prima d’essere un meritevole e capace, sarebbe un intrallazzone e privilegiato; è la stessa cultura che, per dirla con Marchionne, ha trasformato i diritti in pretese.

Si tratta di un populismo antico spacciato per pensiero nobile. Quel populismo antico faceva sentire ribelli coloro che fischiavano ai funerali di Stato delle vittime dello stragismo e del terrorismo. Fischiavano il potere necessariamente malvagio e normalmente risparmiavano i rappresentanti dell’opposizione comunista. Il punto più basso si toccò coi fischi a Bettino Craxi in occasione dei funerali di Enrico Berlinguer, propugnatore della “questione morale”, antesignano degli “onesti” di oggi. 

I fischi di Genova rappresentano da questo punto di vista un’eco lontana. 

Nessuna novità dunque? No, una novità c’è ed è ciò che rende questo evento, emblematico di un passaggio storico: a Genova si è fischiata quella che oggi è opposizione, i Martina, e si è applaudito quello che oggi è potere, i Salvini e i Di Maio. Essi non sono percepiti come i nuovi potenti, ma come gli ultimi ribelli, rappresentanti del popolo, venuti finalmente a liberarci dai malvagi e corrotti. Così quei fischi, che un tempo rappresentavano rivendicazione contro il potere, oggi rappresentano rivalsa da parte del governante.

Si tratta di un vero e proprio salto di qualità: non più rabbia del ribelle, ma vendetta del nuovo potente e di un popolo che si sente finalmente rappresentato e quindi “abilitato”. La rabbia del ribelle trovava la sua energia nella “cultura del nemico”,  colui su cui scaricare ogni colpa, ogni responsabilità dei propri mancati successi: i “politici”, Renzi, la Merkel, l’Europa, gli Africani. L’oggetto della vendetta del nuovo potente va oltre, iniziano a essere genericamente “gli altri”, tutti coloro che non si uniscono alla canea. Così la piazza, nel senso peggiore del termine, si sente protagonista e finalmente “sovrana”, tragicamente inconsapevole di quanto essa stessa non sia libera, ma sia di proprietà del capopolo che la usa. 

In questo quadro, non è solo auspicabile, ma è divenuto drammaticamente urgente proporre una narrazione alternativa a quella pentaleghista. Essa, dopo quanto detto è fin troppo ovvio, non può essere generata e men che meno guidata, dal campo della sinistra. Essa deve svilupparsi oltre lo schema destra/sinistra, deve saper essere attrattiva tanto per chi ha sostenuto gli intenti innovatori nel PD, quanto per chi ha sostenuto lo spirito innovatore che ha animato le origini di Forza Italia. Essa deve rivolgersi ai giovani, nativi di un nuovo paradigma politico, naturalmente orientati all’interscambio, all’innovazione, alla ricerca della bellezza. Chi saprà raccogliere questa sfida, adempierà a un compito storico.