soumaila

All’epoca della mia infanzia, erano gli anni sessanta, negli USA soffiava un tragico vento razzista. Le persone di colore venivano guardate con disprezzo, considerate inferiori e discriminate. Per loro meno diritti, scuole e mezzi pubblici dedicati, università vietate. La parola “negro” indicava in senso dispregiativo il diverso colore della pelle.

Malmenare un nero era tollerato. Alcuni gruppi, il più noto era il Ku Klux Clan, organizzavano impunemente raid e pestaggi. Le voci che si alzavano contrarie, venivano zittite utilizzando come espediente retorico il rinfacciamento dei reati (talora inventati) commessi dai neri: “quando un nero commette un crimine ai danni di un bianco vi va bene, vi indignate solo quando un bianco commette un crimine ai danni di un nero!” Insomma, la favola del buonismo non è una gran novità.

Ricordo perfettamente i commenti che allora si sprecavano in Italia. Tutti, ma proprio tutti, si mostravano allibiti e si dicevano indignati. Tutti, ma proprio tutti, coglievano bene come l’esecrabile crimine di un nero ai danni di un bianco (ad esempio un furto) non avesse alcun connotato razzista, mentre il raid di un gruppo di bianchi fanatici nei confronti di un nero in quanto nero, fosse un atto di puro e semplice razzismo. Era ovvio agli occhi di tutti. Cose che in Italia, il Belpaese, non sarebbero mai potute succedere. Già, italiani brava gente.

“Italiani brava gente” fu lo slogan che il governo fascista utilizzò in una campagna di comunicazione volta a rovesciare l’immagine che l’Italia si era guadagnata nel mondo grazie agli stermini, alle feroci repressioni, alle deportazioni, all’uso dei gas, insomma grazie ai vergognosi crimini di guerra commessi in Africa nel maldestro e tristissimo tentativo di costruire “l’impero”. Vabbè sì, in Africa abbiamo commesso degli eccessi, ma in fondo erano solo "negri" e gli italiani sono brava gente. Questo il senso. La campagna ebbe una sua efficacia, tanto che quello slogan, “italiani brava gente”, tuttora aleggia nella retorica italiota.

Ero un po’ più grandicello quando negli USA la discriminazione razziale fu debellata e le organizzazioni razziste furono messe al bando e ridicolizzate. Negli USA si iniziò anzi a utilizzare l’esperienza del razzismo nei confronti dei neri per denunciare altre forme di discriminazione. Così, nei primi anni settanta furono ad esempio riabilitati due italiani, Sacco e Vanzetti, condannati a morte molti anni prima, nel 1921, perché accusati ingiustamente di un crimine a causa dei pregiudizi nei confronti degli immigrati. Fu messa in scena una rappresentazione teatrale volta alla loro riabilitazione. I protagonisti, Sacco e Vanzetti, erano interpretati da due attori di colore, scelta evocativa nei confronti di tutte le discriminazioni. La comunità italiana insorse. Il grido di battaglia fu “Sacco e Vanzetti non erano scimmie”. Fu lì che iniziai a dubitare: Italiani brava gente? Ma davvero? Ma tutti? Ma siamo sicuri?

All’indomani di due legislature americane con un Presidente nero, noi italiani, unici nel gruppo dei paesi cosiddetti avanzati, abbiamo deciso di risdoganare la parola “negro”; unici nel gruppo dei paesi cosiddetti avanzati, abbiamo deciso di dare un senso dispregiativo alla parola “africano”; unici nel gruppo dei paesi cosiddetti avanzati, assistiamo a raid nei confronti di persone di colore, siano esse innocenti presunti ladri o campionesse sportive presunte prostitute, basta che siano “negri”; unici nel gruppo dei paesi cosiddetti avanzati, non battiamo ciglio se negli stadi vengono fischiati e sbeffeggiati atleti di colore: le consideriamo innocue ragazzate.

Se si alza qualche voce indignata, essa viene zittita con lo stesso espediente retorico utilizzato a suo tempo negli USA dal Ku Klux Clan: e allora i crimini degli “africani”? Oggi noi italiani non lo consideriamo più un argomento spregevole e risibile, abbiamo scelto di crederci, di farlo nostro e di utilizzarlo in modo sistematico.

Ci credono i sostenitori di quella destra cosiddetta sociale che da sempre cede di fronte alla tentazione del razzismo. Alludo a personaggi un po’ beceri come gli Storace e le Meloni, ma anche a intellettuali come Marcello Veneziani. Ci credono molti cosiddetti moderati, quelli che sghignazzavano sotto i baffi alle battute di Berlusconi su Obama, il "presidente abbronzato". Ci credono i ribelli di sinistra, quelli che hanno trasformato i diritti in pretese, quelli che pensano che non siano l’iniziativa e il talento degli individui a determinare la qualità dello Stato, ma sia lo Stato a doversi occupare del “popolo”; per costoro, gli stranieri non rappresentano una ricchezza per la collettività, ma soggetti in più da garantire, quindi un peso; costoro sono quelli che, mossi da una cultura “di sinistra” nel senso peggiore del termine, hanno sostenuto e sostengono il Movimento 5 Stelle, convinti che politici sedicenti onesti possano occuparsi meglio del “popolo”, ma di certo vanno garantiti “prima gli italiani”.

Le voci non allineate continuano impenitenti a demonizzare il nuovo nemico, Salvini, quando la Storia le chiama invece a ben altra missione. Le chiama all’elaborazione un pensiero alternativo fondato sui valori della fiducia, della responsabilità individuale e dell’inclusione, un’ideologia, non semplicemente “contrapposta” a quella vincente, che sappia trasmettere una visione di un futuro al contempo emozionante e ragionevole, che sappia risvegliare i buoni sentimenti e i sani principi, che ci faccia prima o poi finalmente affermare, questa volta con convinzione e verità: italiani brava gente.

@alechelo