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Non solo “una sentenza politica”, ma un vero e proprio “attacco alla democrazia senza precedenti”. A meno di 24 ore dal deposito delle motivazioni, Matteo Salvini ha bollato così la sentenza della Corte di Cassazione che il 12 aprile scorso aveva richiesto il sequestro delle somme “anche future” nelle casse del Carroccio, fino al raggiungimento dei circa 49 milioni di euro di cui la Lega Nord, tra il 2008 e il 2010, si sarebbe avvantaggiata nell’ambito della maxi truffa dei rimborsi elettorali.

Secondo il vicepremier, si tratta di un’azione studiata a tavolino dalla magistratura “per mettere fuori gioco il primo partito italiano”. Per questo motivo serve con urgenza un incontro con il Presidente Mattarella. Parole pesantissime, insomma. Scenari apocalittici. Scontro aperto tra poteri dello Stato.

Ma fermiamoci un attimo, e proviamo a capire come sono andate le cose, almeno sul piano giudiziario.

Il 24 settembre scorso il Tribunale di Genova ordina la confisca di 48 milioni di euro nei confronti dell’ente politico “Lega Nord”. Secondo i giudici, la somma corrisponde al profitto percepito da tale ente grazie alla commissione di reati per i quali erano stati condannati taluni esponenti del partito. In sostanza, si dice, dai reati commessi da persone fisiche, il partito, inteso come ente giuridico, ha tratto un consistente (ed illecito, in quanto proveniente da reato) vantaggio.

Viene, quindi, ordinato il sequestro delle somme di denaro nella disponibilità della Lega, “sino alla concorrenza di tale importo”: 48 milioni e 969 mila euro per l’esattezza.

Questa decisione - siamo a settembre 2017 - non viene impugnata dalla Lega; la Lega non si costituisce parte civile. Ma ci torneremo.
In sede di concreta esecuzione della misura, la Polizia Tributaria si chiede, e chiede al Tribunale di Genova, se l’esecuzione debba riguardare solo le somme giacenti sino a quel momento sui conti della Lega (circa 1 milione di euro), o anche le somme che dovessero venire depositate successivamente.

Il Tribunale di Genova ritiene che il sequestro debba riguardare solo le somme di denaro sino a quel momento disponibili. Il Pubblico Ministero fa ricorso. In appello (tecnicamente “riesame”) i giudici dicono: nonostante l’esito infruttuoso dell’esecuzione totale, il recupero di 1 milione su 48, non è possibile sequestrare anche le somme in denaro che entreranno in futuro nelle casse del partito. E ciò perché: sarebbe un sequestro privo di limiti temporali e la legge comunque consente (ma come misura del tutto subordinata) il sequestro “di valore” sui beni dei condannati, una volta tentata, senza riuscirci del tutto, la strada del sequestro diretto di denaro dell’ente.

In tutto questo, come si diceva, la Lega non impugna il provvedimento originario del Tribunale di Genova. Provvedimento dove era stata accertata l’esistenza di un profitto conseguito tramite la commissione di reati da parte degli allora rappresentanti dell’ente e andato a beneficio, non solo di quelle singole persone, ma della Lega stessa per. A settembre del 2017, cioè, il fatto storico che la Lega abbia tratto un vantaggio economico diviene, quindi, una circostanza definitiva; un fatto non contestato nemmeno dal suo leader. Nessun richiamo alla democrazia, nessun attentato da sventare, insomma.

Arriviamo quindi alla Cassazione, le cui motivazioni sono state depositate tre giorni fa. La Corte segue un ragionamento chiaro: “Ciò che rileva è che le disponibilità monetarie in questo caso dell’ente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca diretta del relativo importo. È la prova della percezione illegittima della somma che conta, e non la sua materiale destinazione: con la conseguenza che, agli effetti della confisca, è l’esistenza di disponibilità economiche comunque accresciute di consistenza a rappresentare l’oggetto da confiscare, senza che assumano rilevanza alcuna gli eventuali movimenti che possa aver subito quel determinato conto bancario”.

E aggiunge: "L’oggetto della misura è sempre quella del decreto originario, che tra l’altro non è stato oggetto di contestazione e cioè l’esistenza di disponibilità monetarie della percepiente Lega Nord che si sono accresciute del profitto del reato, legittimando così il sequestro dell’importo ovunque e presso chiunque custodito, e quindi anche quello pervenuto sui conti in data successiva all’esecuzione del provvedimento genetico”.

E allora a Matteo Salvini andrebbe questo: puoi urlare al complotto antidemocratico. Invocare le toghe nemiche. Richiedere l’intervento del Capo dello Stato. Puoi arrivare a paragonare l’Italia alla Turchia (magari Salvini avesse a cuore davvero quel che accade in Turchia!).
Ma il punto è un altro, semplice e logicamente comprensibile: tu sei a capo di un ente, di un partito, che – secondo quanto è stato provato con giudizio da te non contestato – si è arricchito grazie a reati commessi dai suoi rappresentanti (di allora). E tu (oggi), oltre ad aver contribuito a far eleggere quegli stessi rappresentanti, stai ancora godendo di quell’arricchimento. Pur a distanza di anni, le tue casse ne hanno tratto e continuano a trarne beneficio, in “concorrenza sleale” rispetto a tanti altri partiti o movimenti. Cambiano i leader, ma l’arricchimento resta.

Quindi, se è vero che come persona, come "Matteo Salvini", non c’entri nulla con quei reati, è altrettanto vero che il partito che rappresenti e che guidi gode ancora oggi di un enorme privilegio. Che è un privilegio, un profitto, illecito. E tu oggi quel profitto sei tenuto a restituirlo, tutto.

Non solo per un assunto giuridico irrevocabile, ma soprattutto per senso istituzionale e rispetto del ruolo che ricopri.