calice magritte

È impossibile non comprendere, per chi protende uno sguardo sincero e disincantato sulle posizioni politiche che si attestano come risolutive ed epocali, che ogni pensiero semplificatorio che si affermi come soluzione lo fa solo celando le obiezioni che emergono dall’esperienza delle sue realizzazioni. In tale contesto critico, quindi, il pensiero negativo, l’atteggiamento scettico che prova a resistere alla deriva escatologica dell’idea forte non può essere considerato nichilismo o sterile conservatorismo e ciò perché il nichilismo vero, la menzogna del potere, alberga nell’ordine e nel successo delle posizioni arbitrarie e decisionistiche che s’impongono con la violenza o con l’inganno.

L’approccio ideale di Giuseppe Rensi - avvocato veneto, professore a Messina e a Genova, filosofo, socialista, politico del Canton Ticino naturalizzato svizzero, teorico della democrazia elvetica, democratico, pragmatico e scettico, anti idealista, cultore dell’autorità che persuade, antifascista e, per ciò, espulso dall’Università nel 1934 - riassume nell’elaborazione teorica non priva di feconde contraddizioni tale rarissimo – in Italia – approccio scettico e non violento che, come tale, si avvicina ad un tipo peculiare di riflessione religiosa, ad un caratteristico rapporto esistenziale con il divino: quel pessimismo tragico che condanna gli assoluti del mondo, inchiodandoli alla loro propria natura idolatrica, svelandone le antinomie, le misere moralità bigotte che nascondono, appunto, complessità ed assurdo.

Contro questo atteggiamento, il Sistema, il pensiero non contraddittorio ed illiberale si qualifica come la cernita discriminante di verità precise che eliminano le altre possibili luci e le diverse strade, in un procedere anti storico (perché squisitamente ideologico) che tenta di ipostatizzare una sola posizione, un metodo escludente. In realtà, invece, contraddizioni, pluralismo e Storia coincidono e non è vero che le incoerenze siano errori o momenti secondari, ombre sull’armonia del progresso dal bene al meglio. Gli eventi, infatti, sono prodotti inattesi, effetti inintenzionali ed imprevedibili di azioni poste in essere per ottenere ciò che, alla fine, non si realizza.

Ottimismo ed idealismo, nella prospettiva di Rensi, sono quindi furbi tentativi di successo, interpretazioni unificanti a posteriori che si proiettano sull’incertezza della vita attraverso l’esercizio intellettuale di una ricostruzione razionalistica. Espressioni di una scienza dimostrativa d’un ordine superiore, necessario e progressivo. E da questo approccio – ancora oggi - sorge l’auto  rappresentazione dell’attore storico, del politico investito di un compito ineluttabile. A ciò, lo scettico non può che opporre la propria filosofia come “poesia di concetti”, il proprio negativo ricco di contraddizioni, passi falsi, ripensamenti e salutari bagni d’umiltà.

Ma cosa c’è, quindi, di produttivo in questo? Cosa realizza storicamente l’atteggiamento negativo? In tale contesto la speranza – e non la certezza – rappresenta per Rensi un “sillogismo induttivo” generato dalla coscienza che  non potrà andare sempre così male, che la crisi – come ogni fatto storico – è destinata pur essa a terminare. Si tratta, quindi, di una “semi realtà” in procinto di divenire reale attraverso fede ed impegno, una forma speciale e debolissima di verità e ragione che con il suo tarlo dà scacco all’illusione della sempre più auspicata fine della Storia, dell’agognato quanto distopico Terzo stadio risolutivo.

E la soluzione definitiva non c’è davvero perché è l’uomo in sé ad essere errore, il salto evolutivo ‘incredibile’ che si sgancia dal mero dato empirico e calcolabile, che contraddice natura ed automatismo. Speranze ed idee così, alla prova dura dell’esistenza, si appalesano come tragiche rappresentazioni di un impalpabile, di un dover essere mai garantito che è, comunque, perno, espediente di unità e stabilità contro vortice ed oblio. Ed è per questo che, innanzi al crollo di ogni temporaneo quanto prolifico punto fermo politico o spirituale, il sentimento tragico della vita, il senso vivo e sincero della dialettica esistenziale non può che affermare l’inesistenza del Vero stabile e del Certo per sempreE Rensi, in ciò, reinterpreta in modo originale Hegel. È il sommo filosofo  tedesco ad avere definitivamente rimosso “la ragione dal reale” scoprendo – attraverso la rappresentazione del movimento dialettico – come ogni cosa,ogni stadio storico, ogni acquisizione politica origini in sé gli elementi che la rovesciano, che la negano.

Al di là della futura sintesi, infatti, al di là della temporanea armonia del superamento della crisi nel  ‘terzo’, è la negazione che rimane momento principale della dialettica: perché il positivo, l’acquisito, il pacifico è destinato sempre ad essere travoltoIl momento saliente, quindi, è sempre quello della contraddizione, della negazione, del rovesciamento. Non già una iniziale disarmonia di cui la pace della sintesi sia il punto terminale ma l’apparente ed iniziale unità che conflagra sempre nella scissione da se stessa generata. Lo Spirito nega, quindi, ed in questa negazione sussiste il falò delle certezze ideologiche, il destino di ogni dio mortale, per quanto potente ed oggetto di consenso. Nonostante tutto questo, però, il processo non si interrompe.

Autorità, persuasione e tradizione, infatti, come la consuetudine ed il diritto costituiscono la spazio possibile della libertà umana, il locus spirituale della nuova azione che si guadagna, generazione dopo generazione, il proprio posto nel mondo in mezzo al buio dell’automatismo banale della natura, nonostante il falò d’ogni precedente impero. Sono questi i passaggi storici riusciti, le acquisizioni utili a mitigare, a ritardare, a frenare, il privato e pubblico destino di angoscia e morte.

Potremmo parlare ancora, quindi, di verità ma solo come di un’alterità di senso che è allo stesso tempo assente e cogente, la spinta all’ordine e all’unità politica che è impalpabile ma viva, cocciuta nonostante le contraddizioni del reale. Una verità povera di luce ma senz’altro ricca d’ossigeno indispensabile al riso e al pianto. E dunque, anche secondo il giurista veneto, va accolta l’intuizione di Spengler (Il tramonto dell’Occidente, 1918):  non c’è una Storia, né una umanità sola che progressivamente si realizza, ma solo fasi e organismi distinti, Civiltà destinate all’oblio che percorrono - isolate nelle proprie ragioni, certezze, speranze – un ciclo vitale e terminale.

Non c’è un modello ragione, un orologio preciso di moralità e certezza che ci aiuti a giudicare definitivamente ragione da ragione, verità da verità opposte ed in conflitto nel dibattito pubblicoNon che non esistano, quindi,  battaglie giuste e posizioni meritevoli di strenua difesa ma queste, difficili e complesse, non brillano sotto la luce chiara di un faro che indirizza senza dubbi né incertezze ma, in pugno agli uomini e sotto vento, sono fiaccole che illuminano un cammino scoperto passo dopo passo ed aperto sul baratro del non senso.

E per ciò Rensi ripropone anche PascalPerché è vero che la mente umana può uscire da una situazione di pirronismo, può scoprire dove siano verità e ragione ma, nello scoprirlo,  non può che perderle  nuovamente  nel flusso delle contraddizioni stesse del pensiero. Solo la Rivelazione, l’autorità , la fede, la scommessa, cioè solo il fatto “extra mentale” dell’assurdo può “fissare l’ora che è” nella volontà e nell’abbandono, può tentare l’edificazione di un punto fermo. Tolta tale speranza, fatta tacere la saggezza gnostica che, di fronte allo scatafascio, propone il suo “non può essere tutto qui”, non rimane che una sola alternativa lucida all’ottimismo cieco dell’ideologismo rassicurante: lo scetticismo altero.

E per questo scetticismo, pessimismo e fede tragica riconoscono, in fondo, la stessa cosa : “la pazzia dell’Assoluto”E la stessa fede nella Rivelazione, il Cristo conosciuto e sconosciuto che trabocca ancora oggi, nuovo e fertile, come un ponte di senso, indica solo che la ragione è accidentata e complessa. La dialettica esistenziale della religione contemporanea, la paradossale contemporaneità kierkegaardiana con i primi testimoni, il ripetersi a folle della fede insensata nello scandalo della Croce, non unifica come al tempo del Teologico quale centro del dibattito pubblico ma certifica, notifica il distacco e la scoordinazione delle ragioni, l’irrazionalità di ogni comunicazione, la frattura irrecuperabile tra essere e dover essere.

E di nuovo, senza soluzione e fine, tutto questo irrazionale nel reale non è stato scoperto proprio dalla ragione, per quanto scettica? È la ragione, il costruire ponti, il credere nell’autorità e nella persuasione contro i passi falsi del percorso storico, ad aver rivelato la banale irrazionalità del reale. È la ragione ad aver congiunto morte e spirito. È la ragione ad aver costituito la pazzia della libertàEd allora si compie, secondo la profonda intuizione di Leopardi, senza alcun trionfo idealistico, quell’alzarsi dello spirito sopra l’istinto che è, in fondo, dannazione; ciò che la Bibbia adombra con la leggenda del peccato originale il quale “non consiste altro che nella ragione” (Zibaldone). La ragione è quindi corruttrice dell’uomo, lo ha portato fuori dalla natura, trascendendone senso, speranza, direzione.

E per questo la Storia non può essere percorso luminoso, estrinsecazione dell’Assoluto, ma è cambiamento, morte, rinascita e di nuovo morte all’interno di un processo che non ha nulla di appagante e poco di edificante. Percorso storico, vita, alla quale non si può davvero sinceramente e umanamente urlare il “Si” nietzschiano che, nell’accettazione ideologicamente trasvalutata della fedeltà alla terra, rappresenta solo l’ultima espressione dell’idealismo ottimista. Il Si autistico del fanciullo che ride sull’abisso dell’eterno ritorno, infatti, è l’ultimo tentativo  di nuova sicurezza, una paradossale consolazione rivoluzionaria il cui chiaro effetto politico è il sacrificio dell’umano, dell’individuo sull’altare del progetto e della Volontà di potenza, nuovo vero e nuovo bene. Nel momento, invece, nell’ istante storico che davvero ritorna ma non uguale a se stesso -  prima tragico e, poi, farsa, secondo l’intuizione di Marx -  non c’è coincidenza di vero e bene ed è per questo che il suo movimento  è perennemente un passare ad altro sulla base di ragioni in perenne contraddizione e perennemente tradite.

Contro la nota sentenza hegeliana, l’esperienza tragica di chiunque ci dice che il reale è irrazionale e il razionale è irreale. In questa tensione costitutiva del mondo, l’umano crea parentesi di senso che hanno lo scopo di contrastare la banalità dell’insensato e dell’automatico. Un intervento creativo che è proprio dello Spirito che apre una breccia temporanea, una luce fioca, segno e speranza – per  molti, ancora oggi – di una alterità tanto presente quanto inafferrabile.

Ed è questo – e non il Si di Zarathustra – il vertice dell’Assurdo e, quindi, il vertice del reale che è Fede. Ed è l’assurdo del reale, nello scontro con la frattura del dover essere che non è mai reale a divenire contraddizione, movimento, a scrivere la Storia, altro che la “Terza Repubblica” degli investiti dal Web! Una contraddizione ed un movimento, una Politica, che mai in terra potrà sopprimere la sostanza dell’essere, la natura dell’eone: guerra, vizio, intrighi, delitto, male. Non si tratta, quindi, di accettare il mondo nell’inazione irresponsabile e nella contemplazione sazia ma di cedere all’impulso di cambiamento e lotta ormai consapevoli della caducità di ogni costrutto, di ogni assunto, di ogni approdo. Ed è proprio la consapevolezza tragica di tale sentimento ad essere l’unica luce tra le tenebre, l’unica possibilità di bene comune, di sogno (im)possibile.

Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor” (Leopardi, l’Ultimo canto di Saffo). E se solo il dolore è davvero conosciuto, se non c’è definitività nella scienza, se il mondo è privo di senso senza la folgore tragica del passaggio umano, se il dolore è immanente all’essere, in che cosa consiste la trascendenzaCosa significa la sua contraddizione e cogenza che è pur essa immanente all’uomo per quanto sconosciuta? Che cosa significa questa frattura irrisolta? Ciò è sicuramente Nulla. È certamente Ni-ente, fuoco che riverbera nel sogno e nell’azione senza garanzie, lo spazio tragico ed erroneo della speranza che cozza con l’apocalissi di fato e finalità. Ma non è l’apocalissi dell’umano, non è mai stato il trionfo del Super Uomo pronto ad accettare senza problemi il “Cielo Caso, il cielo Incolpevolezza, il cielo Accidente” (Nietzsche, Così parlo’ Zarathustra) perché la volontà umana non sa davvero pacificarsi con il mondo e coincide con la sua razionalità folle e perdente che nell’auto da fè riverbera di luci arse il futuro.

Alla mancanza di conoscenza – anche sociale e politica – suppliamo con un fare, con una Vita activa – come ha chiarito Hannah Arendt - che conferisce totalità al mondo, senso al processo. E tale illusione di durata, tale coscienza delle cose, è produttiva sia praticamente che spiritualmente, e si riassume in una parola costitutiva: libertà. La libertà innaturale ed assurda, la libertà inventata di un nostro bisogno che contraddice il reale, lo pone temporaneamente in stabilità, razionalità, metafisica di ordine, di promesse e di perdono contro la dittatura dei fatti, dell’accaduto. Tutte categorie, queste,  che sono fuori da ciò che è e da ciò che è fatto ma senza le quali non ci sarebbe esistenza, volontà, Storia.

Tutto questo è Nulla? Certo che lo è! Ma tale evidenza è punto d’arrivo, può essere pace? Di nuovo No! E la Rivelazione?, il Cristianesimo? Gesù? Di nuovo assurdità ed insensatezza, un errore, nonsense generato dall’insignificanza d’un episodio tragico quanto circoscritto! E tale assurdo di successo continua a rappresentare due cose: che la Storia è una serie di avvenimenti che razionalmente non dovrebbero accadere e che l’assurdo può essere, quindi, declinato anche come miracolo ! Assurdo e miracolo sono, infatti, la stessa cosa affermata in un “divergente accordo” sia dagli scettici che dai religiosi. Scettici e religiosi che, in comune, respingono l’analisi dei filosofi razionalisti, dei politici costruttivisti e dediti alla pianificazione ideologica, i quali, pur considerando il cristianesimo un fatto umano, pur affermando ogni fatto come storico, pretendono di dimostrare che il Cristo/Fatto fosse, in fondo, prevedibile come necessario esito di un processo sensato e necessario.

A tutto questo sia scettici che religiosi non possono che opporre “la follia della Croce” (San Paolo, Lettera ai Corinzi),  la follia e l’ingiustizia di ogni croce che domanda rappresentazione. Scettici e religiosi, quindi, capaci di reggere tragicamente la verità dell’assurdità del mondo, capaci di non nascondere l’assoluto fallimento degli idoli sostitutivi filosofici e politici, capaci di combattere tanto il “dio mortale” che le rassicurazioni della filosofia ottimistica, della tecnica cieca. Il coraggio, “l’elemento maschio” dice Rensi, nell’affidamento alla trascendenza di senso non cede alla facile illusione della verità/certezza ma giunge, senza sicurezze, all’altro dal mondo perché, pessimisticamente, riconosce che il mondo, il presente, è in preda al male naturale, all’assurdità irreparabile. Negazione e speranza, quindi, coincidono quanto dannazione del mondo e sua trasfigurazione  e purificazione esogena, mai propria, mai innocente.

Più dello spinozismo e dello stoicismo – che secondo Rensi posseggono, comunque, un terreno sicuro di razionalità forte, dall’alto della quale scrutano i marosi dell’irrazionalità scatenata – più, quindi, del destino del Saggio, il passo spirituale più complesso e tragico è compiuto dal Santo che distrugge la superba sicurezza dell’indifferente e dell’ideologo per veicolare la stoltezza costitutiva della debolezza, della fragilità di una natura lapsa, ferita, che – nell’abbandono all’alterità – trova assurdamente forza ed azione. Il fonte di quel senso tragico della vita (e quanto, in questo, Giuseppe Rensi tange la forza creativa di Miguel De Unamuno), quel brivido di sacro e di (im)palpabile Salvezza che drammaticamente e per negazione costituisce – da sempre – il proprium dell’esperienza religiosa autentica.