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Aveva ragione Augusto Del Noce (in La critica dell’idea di modernità): lo spirito della modernità europea è stato essenzialmente critica feroce alla tradizione, critica ai freni che impediscono all’uomo di trascendersi, nel senso prettamente terrestre di mutare nel nuovo, nel meglio.

Tale spirito moderno e illuministico ha condotto le élite sino alla contemporaneità – e qui penso ad esempio all’Ernst Nolte di Der Faschismus in seiner Epoche – a considerare ogni movimento conservatore e reazionario come “male intrinseco”, come timore infantile verso il progresso sociale indirizzato verso un “oltre” intra-mondano auspicabile e, in quanto espressione di sclerotizzazione dei valori tradizionali, unica fonte del totalitarismo. L’Oltre auspicabile antitotalitario del mutamento incessante di una natura umana travolta da un’escatologia appiattita sull’immanenza e che riconosce valore solo a ciò che è transeunte.

E fin qui tutto bene (o quasi); queste sono posizioni legittime ed ampiamente di successo che hanno segnato la cultura occidentale del secondo dopoguerra e che hanno concorso a strutturare – grazie all’ottimismo proprio d’ogni progressismo – la nostra società comunque libera e tesa all’equità e alla giustizia sociale.

È pur vero, però, che, come un fiume carsico, posizioni critiche – e non in principio anti-moderne ma senz’altro scettiche – hanno cercato, come un antidoto, di resistere allo spirito di novità in lotta contro i riconosciuti e denunciati “rottami metafisici” quali teologia e diritto e ciò sulla base dell’assunto che il novum e l’immediato – quando divengono ideologia – producono disumanizzazione tanto quanto la tradizione sclerotizzata, dissacrano ogni approdo stabile e giungono all’altro dall’uomo, così come aveva ben inteso Nietzsche.

Ancora oggi secondo questo punto di vista pessimista – all’interno del quale possiamo riconoscere, come padri nobili, filosofi tragici e agonici come il Leopardi dello Zibaldone e il Giuseppe Rensi delle Polemiche antidogmatiche ma anche Rosmini, Manzoni e il pensiero cattolico liberale oggi rinvigorito da Diego Antiseri con la sua Invenzione cristiana della laicità – il fenomeno totalitario, come baratro sempre aperto e pericolo attuale, è tutt’altro che finito con il fascismo, il nazismo od il socialismo reale e si rende oggi presente – nell’eclissi del Volk, della Classe e dello Stato etico - soprattutto come perfettismo dal basso, fondato sulla frattura tra rappresentanti e rappresentati e sulla possibilità di auto-redenzione e di prossima affermazione di una società risolta, di una società semplice.

Se negli anni '50 del Secolo breve – come aveva intuito Eric Voegelin nella sua Nuova scienza politica – questo neo puritanesimo a Deo excitatus era appannaggio soprattutto della chiesa marxista e della sua fede scientifica nel trionfo proletario, oggi è la demagogia dualistica moralisticamente orientata ad immanentizzare la speranza teologica, a propugnare un nuovo paradiso terrestre di giusti e ispirati. Un paradiso – apparentemente privo di sacri testi - comunque sempre collettivista, integralista, chiuso all’alterità e aggressivo contro l’avversario del momento declinato come nemico.

Ed è chiaro che in questo quadro neo rivoluzionario tutto fondato sulla bontà a prescindere del “proprio” uomo qualunque, sulla squalificazione delle istituzioni classiche e sulla politica intesa come semplicità e radicalismo, ciò che per prima cosa viene meno è il “diritto” inteso come locus della compensazione di conflitti e interessi e fonte di compromesso mentre si afferma scatenata la Verità semplice del partito o del movimento. È alla ri-divinizzazione del potere politico che, in fondo, stiamo nuovamente assistendo; alla rinnovata utopia del Terzo regno (magari protetto da mura, filo spinato e dazi) e alla affermazione di una nuova casta di “cittadini” pianificatori e autarchici bravissimi a promettere e a ingegnarsi con i denari e il futuro dei più.

Contro questo spirito aggressivo e vincente, capace di banalizzare ogni alternativa di popolo e non populista, non potendo opporre al momento un’offerta politica alternativa appetibile, destinata ad essere travolta dalla deriva escatologica in corso, tentiamo almeno di riportarci all’autorità critica, al monito di un premoderno davvero “laico”. Un monito che è viatico di un’altra via verso l’ordine politico possibile e comunque “mortale” … quello di S. Agostino: ignoranza, sviluppo, declino, sono gli elementi propri della natura umana, psicologicamente scissa tra amor Dei e amor sui; una natura ferita gettata in una Storia nel corso della quale la speculazione umana è fallace come ogni illusione di pacificazione imperitura.

Non ci sarà mai davvero pace duratura in terra ci dice Agostino mentre interpreta pessimisticamente il Salmo 45 (“Egli fa cessare le guerre fino al limite della terra”); nessun Cesare potrà realizzare tale profezia trascendente e ogni annuncio di una fine della storia politicamente escludente, come – più prosaicamente – ogni orgogliosa rivendicazione dell’inizio di un ennesimo Terzo regno, fosse anche l’inizio della evocata Terza Repubblica dei cittadini, è solo un attentato al buon senso.