intercettazioni

Cos'è la 'barbarie giustizialista' denunciata ieri da Renzi al Senato? Non quella forma specifica di populismo penale che porta ad aggravare le pene (o a inventare i reati) per le condotte più allarmanti e oggetto della più forte riprovazione sociale, anziché per quelle più offensive e lesive di beni giuridici.

Non quell'idea combattentistica della giustizia penale, che obbliga esecutivo e parlamento ad un'intesa preventiva con la terza camera dell'Anm rispetto a qualunque ipotesi di riforma, per non disarmare i magistrati nella "lotta" contro il crimine. Neppure la trasformazione delle procure in una sorta di Consiglio dei Guardiani del potere politico, secondo l'ambigua formula del "controllo di legalità", che significa tutto e niente, e quindi viene fatta significare qualunque cosa, anche la legittimazione dello sputtanamento morale come cardine del sistema di checks and balances tra i poteri dello Stato.

Di tutta questa "barbarie", che coincide con l'idea stessa che della giustizia penale hanno la maggioranza dei cittadini e dei magistrati inquirenti, Renzi e il suo (molto garantista) ministro Orlando non possono parlare, se non di fatto per obbedirvi e per provare ad attenuarne gli effetti velenosi; non per denunciarla, né per sfidarla. Nella costituzione materiale e morale della Seconda Repubblica, che nasce con Tangentopoli, l'idea vincente della giustizia è quella dell'ordalia e qualunque politico che voglia essere vincente e uscire vivo dal quotidiano conflitto con il potere togato non può sovvertire, neppure culturalmente, una vulgata che è dominante non solo perché è in certo modo "armata", ma perché è realmente corrispondente a quel che gli italiani pensano della giustizia e vogliono da essa.

La "barbarie giustizialista" denunciata dal premier riguarda "solo" l'uso politico delle inchieste giudiziarie attraverso la divulgazione dei materiali d'indagine (in primo luogo le intercettazioni) e la pretesa di far discendere dal coinvolgimento nelle inchieste per indagati e imputati (o addirittura testimoni o parti lese) una condizione di oggettiva incompatibilità con l'esercizio di un potere pubblico.

Su questo Renzi può rivendicare l'indubbia coerenza di avere liquidato ministri imbarazzanti, solo sfiorati dalle inchieste, sulla base di considerazioni di convenienza politica, ma di non avere mai preteso e neppure chiesto dimissioni automatiche all'arrivo di un avviso di garanzia o di un rinvio a giudizio. Che tutto questo corrisponda o no a un convincimento profondo di Renzi, si tratta comunque di un'obiettiva svolta nel modo di raccontare e rappresentare a sinistra l'autonomia della politica.

Il problema è se basti questa rivendicazione di ruolo per salvaguardare il circuito democratico dall'interferenza di inchieste che diventano politiche non per la qualifica degli indagati o per l'affiliazione degli inquirenti, ma per il fatto stesso di diventare, quotidianamente, la prima pagina di tutti i giornali e dunque il centro del discorso e della polemica politica e il cuore dello scontro istituzionale. Detto in altri termini, è possibile evitare questa barbarie "a valle", che ha lasciato sul campo non poche vittime innocenti, senza mettere in discussione la barbarie "a monte", che ormai autorizza perfino la pubblicazione platealmente illegale di spiate e veline per superiori ragioni di giustizia?

È possibile ad esempio che tutti sulla materia calda delle intercettazioni debbano rimettersi all'auspicata (campa cavallo) autoregolamentazione di procure e giornali e non serva invece ripristinare l'effettiva applicazione di un divieto che già c'è (quello della riproduzione totale e parziale, ancorché di atti non più segreti) e  perseguire un reato che già c'è (e che compie chi pubblica atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione), ma comporta di fatto una sanzione inferiore a quella di un divieto di sosta (ammenda da euro 51 a euro 258), e quindi può continuare a essere compiuto a costo zero e con grande guadagno dei profittatori della "barbarie"?

Questo non è un problema che si risolve tecnicamente, attraverso un vaglio preventivo più severo delle intercettazioni rilevanti o evitando di consegnare la trascrizione di quelle "da scartare" agli avvocati. Non si risolve tecnicamente, proprio perché non è un problema tecnico, ma un conflitto di potere. La soluzione pratica è quella di rendere effettivo il divieto attraverso la depenalizzazione di un reato che non serve a niente e la previsione di una sanzione amministrativa molto salata, che a quel punto servirebbe a qualcosa. Ma è una soluzione tutt'altro che agevole, proprio perché sovverte equilibri di potere.

Il governo sarebbe accusato di imbavagliare la stampa, proteggere i mariuoli e punire i pm, per impedire che i cittadini conoscano gli arcani della lotta al malaffare. Infatti (si accettano scommesse) non cambierà nulla e le intercettazioni continueranno a rimanere, ancora a lungo, il più gustoso ingrediente della cucina politica.

@carmelopalma