Aula Senato

La vicenda parlamentare legata al Ddl Cirinnà spiega moltissime cose, e ci elenca gli ingredienti di quello che ormai sembra un enorme polpettone istituzionale, assolutamente indigesto. Intanto ci rivela la grande bugia maggioritaria: da anni si prova, per mezzo di riforme dei sistemi elettorali, a dare all’Italia una maggioranza parlamentare certa, perché il racconto della governabilità in campagna elettorale ha sempre il suo appeal.

Evitando un passaggio sulle elezioni del 2013 che sembrano essere state un incidente della democrazia, e stendendo un velo pietoso sugli oltre 300 cambi di casacca nei gruppi parlamentari, possiamo verificare che i partiti – considero l’espressione una licenza poetica nostalgica - e con loro i gruppi parlamentari sono dei fragili castelli di carte che tremano al primo spiffero che entra a Palazzo Madama.

Il perno dell’attuale quadro politico, il Pd, è nato a vocazione maggioritaria, ha provato ad inventare insieme al Pdl l’inesistente bipartitismo italiano, si presenta come la forza più influente in parlamento e si immagina, nelle righe della riforma costituzionale, come il Partito della nazione, unico elemento di sicurezza istituzionale in un sistema claudicante.

Tutto questo naturalmente in teoria, perché in pratica assistiamo ogni giorno al vecchio ma sempreverde schema delle geometrie variabili: maggioranze diverse, talvolta persino fantasiose, improvvisate, deboli e, cosa davvero preoccupante, che non rispondono a nessun programma di governo e ad alcuna cultura politica di riferimento. Per eleggere i presidenti delle Camere andava bene la maggioranza fresca di elezione; per la riforma elettorale serviva il patto del Nazareno e il sostegno di Forza Italia; per l’elezione del Presidente della Repubblica impossibile rinunciare ai centristi; per la riforma costituzionale arriva il team Verdini.

Oggi si grida al tradimento del Movimento 5 Stelle perché sulle unioni civili, considerati gli imbarazzi personali e le riserve confessionali, si stava costituendo un’altra, l’ennesima maggioranza di giornata, smontata all’ultimo da un colpo di reni, forse fortuito, dei quasi nuovi alleati.

Non appare dunque troppo improbabile il rischio che il parlamento approvi, in uno scenario come quello rapidamente percorso, una serie di leggi “di servizio” alla tattica, anche elettorale, incoerenti l’una con l’altra, disorganiche e non condensate in un disegno complessivo di società, con buona pace della semplificazione normativa, di programmi e di vari slide-show.

Il Paese ha un problema serio che sta a monte di ogni battaglia, anche di quelle più nobili come questa ultima a favore del riconoscimento dei diritti alle coppie gay: la perdita costante di identità e l’abbattimento irreversibile della credibilità di alcuni pilastri di garanzia, parlamento e partiti politici su tutti.

La partecipazione vera degli italiani ai confronti, ai dibattiti, alle scelte sui grandi temi è ridotta al lumicino perché non trova luoghi di sintesi; chi è liberale sa bene che le idee diverse, talvolta contrastanti, sono la più preziosa delle ricchezze se custodita in una cassaforte inviolabile come può essere quella di un sistema istituzionale solido, accettato, semplice e ampiamente condiviso.

Bisogna dirlo chiaramente, e una volta per tutte: non è più possibile pensare di introdurre per legge i sistemi politici, questi si formano innanzitutto nello spirito dei cittadini e nelle azioni conseguenti, e non precedenti, dei dirigenti politici.

In questa legislatura nessuno ha visto ancora minoranze responsabili o maggioranze dialoganti, neppure sulla riforma della legge delle leggi, e questo dovrebbe essere un forte campanello d’allarme utile ad accendere un faro su quella riforma: i cittadini dovranno esprimersi in autunno sulla nuova Costituzione, gli appassionati e gli interessati dovranno quindi prendere una posizione chiara considerando che si prova ad introdurre un sistema di Governo ibrido in un contesto socio-politico parecchio incerto.