RosarioCrocetta

In linea teorica, la pubblicazione di materiali di indagine, intercettazioni comprese, si giustifica sulla base del principio della pubblicità del processo, non della vita del processato, né - a maggiore ragione - di quanti ne incrociano per le ragioni più disparate la vicenda umana, finendo risucchiati pure in quella giudiziaria o affogati in quel brodo primordiale pre-giudiziario fatto di intercettazioni telefoniche e ambientali spiate a giornali e tv, che ormai fanno le veci del processo e pure della pena, senza neppure passare da un'aula di giustizia.

Che però il diritto di informare sui processi serva all'obiettivo e all'esigenza di un controllo pubblico della giustizia - che è un potere pubblico per definizione, essendo esercitato nel nome del popolo - e non dell'esemplare denudamento del privato di chi nella giustizia finisce impigliato, è ormai nozione che i politici e i professionisti dell'informazione ignorano o dimenticano a comando, essendo troppo ricco il piatto del populismo penale e mai troppi i posti a tavola per soddisfare la fame di un'opinione pubblica persuasa che il fine di far fuori i cattivi - e di svergognarli - giustifichi i mezzi cattivi e l'abuso dello svergognamento.

Sulle intercettazioni, peraltro, ben prima di ieri siamo da tempo giunti anche al paradosso della giustificazione dell'illegalità in base al principio di legalità - anche le intercettazioni che non si possono pubblicare, a maggior ragione si devono pubblicare, per aiutare la lotta alla corruzione e alla criminalità: così si dice, no? - o dell'autoaggiramento per via giudiziaria dei principi che l'autorità giudiziaria dovrebbe in teoria rispettare e fare rispettare, come quando di sbobinature politicamente gustose, ma del tutto irrilevanti vengono farciti gli atti disponibili alle parti processuali, proprio per sdoganarne la pubblicazione.

La storia dell'intercettazione patacca rifilata all'Espresso segna un'evoluzione del tutto prevedibile di questo processo politico-culturale, che elegge la gogna a forma più edificante e efficiente di giustizia e quindi autorizza l'idea che il dibattito pubblico sui vizi e sulle responsabilità dei "potenti" si possa fondare sulle veline giudiziarie e perfino sulla violazione delle comunicazioni e della corrispondenza privata. Il caso Crocetta, per come emerge dopo la smentita della Procura di Palermo, non è un errore evitabile, ma un effetto collaterale della giustizia e informazione "manganello".

Su quella strada, evidentemente, non ci si ferma, né si può rallentare. Si può solo precipitare a rotta di collo verso il cupio dissolvi della vox populi. Occorrerebbe tornare indietro, ma è complicato oltre che per ragioni di mercato - lo scandalismo rende - anche per ragioni di legittimità e di consenso, perché il ritorno a principi di garanzia, a questo punto, apparirebbe ai più una forma di inconfessabile complicità nel malaffare di chiunque riprenda a rispettarli, dopo avere bollato d'infamia o, come minimo, di conflitto di interesse tutti i "garantisti".

Quindi, la cosa più probabile è che ci si tenga ancora per un po' un'informazione malata e una democrazia infetta, con il teatrino allucinato di giustizieri e giustiziati a mezzo stampa e di politici che incitano al bagno di sangue - come ieri, pavlovianamente, il PD - solo per scamparne.

@carmelopalma