Nelle ultime settimane, il bonus mensile di ottanta euro in busta paga per i redditi da lavoro dipendente dagli 8 fino ai 26 mila euro lordi annui è stato un campo di battaglia mediatica tra la propaganda di governo e l’anti-propaganda dell’opposizione. Si è detto di tutto, non sempre la verità.

Matteo-Renzi

Retorica, sensazionalismo e benaltrismo hanno piegato i dati e i fatti alle esigenze comunicative o, più grossolanamente, all’intuizione giornalistica. Di seguito cercherò di menzionare le principali luoghi comuni che si sono rincorsi nel corso del dibattito, in modo da verificare se e in quale misura sia contenuta della verità nelle affermazioni e nei proclami che si sono susseguiti.

 

Primo luogo comune: “il Governo ha tagliato 10 miliardi di euro di tasse”, poi corretta in “il governo ha tagliato 6,7 miliardi di euro di tasse”

La prima cifra si riferisce all’annuncio fatto da Renzi a marzo, durante una conferenza stampa tenutasi a seguito di una riunione del Consiglio dei Ministri. 10 miliardi di euro è il costo che avrebbe il riconoscimento di un credito di 80 euro (a scendere tra i 24 e i 26 mila euro all’anno), a regime, se fosse previsto anche per il 2015 e gli anni successivi. Per ora, invece, è previsto solo per il 2014, mentre si rinvia alla legge di stabilità la conferma del bonus a regime e l’individuazione della copertura per gli anni successivi. 6,6-6,7 miliardi di euro è il minor gettito derivante dal riconoscimento del bonus di 80 euro al mese per il solo 2014. In realtà la pressione fiscale non si riduce della medesima cifra, in quanto:

  1. parte della copertura deriva dall’IVA che si conta di riscuotere sbloccando il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione: l’entrata è una tantum e non certa nella sua quantificazione, dato che già Letta, tra le critiche mosse dalla Corte dei Conti per aver tenuto conto degli effetti indiretti delle tranche di pagamento dei debiti arretrati, aveva peccato di eccessivo ottimismo nel prevedere la tempistica con cui sarebbero stati effettivamente estinti i debiti e incassati i relativi pagamenti IVA;
  2. un’altra parte della copertura deriva da misure di contrasto dell’evasione fiscale;
  3. una ventina di milioni di euro provengono dalla differenza positiva tra l’aumento delle imposte sui redditi da capitale e la riduzione dell’IRAP sulle imprese.

La copertura assicurata dai tagli alla spesa pubblica ammonta a circa 4,5 miliardi di euro. L’affermazione sarebbe corretta, quindi, se si precisasse che la riduzione fiscale di 6,7 miliardi interessa i soli redditi da lavoro dipendente; in quanto, come verificato anche qui, la pressione fiscale si riduce, in generale, di 4,5 miliardi di euro.

 

Secondo luogo comune: “Il Governo, tagliando le detrazioni per coniuge a carico, toglie con una mano quello che dà con l’altra”

La polemica si riferisce alla previsione, in un disegno di legge sul lavoro, alla previsione di un futuro taglio delle detrazioni per coniuge a carico. In realtà la contestazione non è fondata per due motivi:

  1. il bonus Irpef è già in vigore e non trova copertura in tagli delle detrazioni familiari, mentre la delega al Governo è ancora all’esame del Parlamento e dovrà essere esercitata dal Governo nei prossimi messi;
  2. il criterio delega che prevede la riduzione o l’abolizione della detrazione per coniuge a carico si inserisce in un quadro programmatico con una funzione redistributiva, che prevede l’utilizzo delle risorse così recuperabili per incentivare l’occupazione femminile e non si esclude venga utilizzato per detassare il lavoro per le donne lavoratrici.

Il bonus IRPEF, quindi, non ha alcun nesso con la previsione di un taglio alle detrazioni familiari che sarebbero probabilmente compensate da altre forme di incentivazione della partecipazione al lavoro delle donne.

 

Terzo luogo comune: “80 euro al mese sono elemosina”

A dirlo sono gli stessi esponenti che hanno insistito per l’abolizione dell’IMU sulla prima casa. Sarebbe il caso di far notare che l’impatto sulle tasche dei contribuenti beneficiari del bonus è maggiore di quello assicurato ai proprietari delle abitazioni principali esentate dall’IMU. Infatti, l’esclusione delle prime case dall’IMU ha comportato un minor gettito per l’erario di 4 miliardi di euro, contro i 6,7 miliardi di euro del bonus Irpef. Se poi consideriamo le coperture individuate, dato che l’esclusione dall’IMU delle abitazioni principali è stata compensata prevalentemente da maggiori entrate fiscali (la riduzione delle detrazioni delle polizze vita e infortuni e l’aumento dell’IRES a carico degli istituti finanziari).

L’impatto della misura in termini di riduzione della pressione fiscale è quindi più alto dell’abolizione dell’IMU sulla prima casa. 6,7 miliardi, per fare un confronto con un’altra questione di politica fiscale che ha suscitato interesse lo scorso anno, equivalgono ad una riduzione di oltre 1,5 punti percentuali di IVA.

Oltre all’incognita rappresentata dalla solo ipotetica conferma della misura per il 2015, ciò che si può ragionevolmente contestare è il fatto che lo sconto fiscale sia troppo concentrato in una tipologia e una fascia di reddito. D’altro canto, la scelta di ridurre di 640 euro l’anno il carico fiscale a circa 10 milioni di lavoratori è dipesa, a quanto pare, proprio dalla necessità di rendere evidente l’impatto sul potere di acquisto dei beneficiari, anche in chiave elettorale.

In altri termini, una semplice riduzione dell’aliquota IRPEF avrebbe prodotto un effetto più generalizzato, forse anche più equo, ma meno apprezzabile dai contribuenti.