Dalle liberalizzazioni degli anni '80/90 alle nuove contaminazioni con i nuovi modelli di trasporto della sharing economy, la disponibilità all'innovazione nei modelli di gestione del trasporto pubblico locale e l'apertura alla concorrenza comportano vantaggi per i conti pubblici e per la qualità del servizio offerto ai cittadini.

 

serafini

 

Tutto cambia: nella vita, nell’economia, nella cultura. Se ci fermiamo a ragionare qualche secondo, ricordando le innovazioni anche solo dell’ultimo secolo, possiamo scorgere cambiamenti epocali, che hanno condizionato irreversibilmente le nostre vite. Negli ultimi cento anni, perchè è questa l’età di ATAC, in Italia abbiamo avuto: il voto alle donne, il divorzio, la televisione, i voli low-cost, internet, i cellulari, e decine di migliaia di altre innovazioni in ogni campo. Insomma, tutto sembra essere cambiato nel nostro Paese, tranne il modo di vedere il rapporto tra pubblico e privato, che, sfortunatamente, è sempre lo stesso.

Ed è da questo ragionamento che è utile partire, per ripensare le nostre politiche in materia di trasporto pubblico. Ha senso conservare qualcosa che non funziona, quando, in ogni momento della nostra vita, ci confrontiamo costantemente con innovazioni e cambiamenti? Cosa ci spaventa così tanto da indurci a non voler provare a gestire il cambiamento, affrontarlo e governarlo, nella speranza che possa fornire migliori soluzioni, prodotti o servizi, come accade da centinaia di anni, in tanti altri ambiti?

Eppure, in qualche paese, la classe politica ha scelto di applicare i criteri dell’innovazione e del cambiamento anche nel rapporto tra pubblico e privato, sperimentando nuove governance e sistemi che potessero venire incontro alle esigenze dei territori, dei cittadini e dei conti pubblici. Vediamone alcune.

I pionieri di questo approccio, in Europa, furono gli inglesi: sotto il Governo Thatcher nel 1986. Grazie a un processo di deregolamentazione, fu permesso a compagnie private di entrare nel settore del trasporto pubblico, e venne progressivamente avviata la privatizzazione della compagnia londinese London Bus, la più grande del Regno Unito. Altre compagnie vennero acquistate dai dipendenti, o da consorzi aziendali. Diverse furono quindi, le esperienze di privatizzazione.

La riforma del 1986 prevedeva il divieto di erogazione di contributi pubblici agli enti di trasporto locale, con l’unica eccezione del possibile sostegno a servizi ritenuti non abbastanza profittevoli da essere forniti dal mercato, come per esempio servizi serali o festivi, e percorsi in aree rurali. Questo processo portò a conseguenze immediate su prezzi e servizi: la concorrenza tra le diverse aziende indusse le compagnie ad operare seguendo i principi di mercato, adottando strategie di riduzione dei prezzi e di miglioramento dei servizi.

Grazie alla riforma sostenuta dal governo britannico, la riduzione dei costi per contribuenti e consumatori toccò picchi del 40 percento. La deregolamentazione incentivò le diverse aziende a innovare in qualità e tecnologia, migliorando sia l’esperienza del passeggero, sia la sicurezza dei mezzi.

Il governo britannico non fu però l'unico a innovare in questo senso. Molti altri paesi hanno intrapreso, in questi anni, il percorso della privatizzazione e della concessione in gara del servizio: dal Canada, all’Australia, alla Cina. In Est Europa si diffuse, già dai primi anni ‘90, la convinzione che i migliori risultati in termini di qualità ed efficienza, si sarebbero potuti ottenere mettendo in concorrenza aziende di trasporto pubblico e privato: questa fu, per esempio, la strada scelta da Polonia e Romania.

In Polonia, dopo il 1990, il governo scelse di ridisegnare la governance dell'unica compagnia di Stato, PKS, e i mercati del trasporto pubblico locale vennero aperti a nuovi competitor: oggi i sistemi di trasporto pubblico in Polonia si dividono tra aziende municipalizzate e operatori privati, che arrivano a detenere dal 10% al 100 % delle quote di mercato, come nella città di Elbag, dove sono esclusivamente tre operatori privati a fornire il servizio di trasporto locale.

Anche il Comune di Bucarest, in Romania, non ha impedito l'avvio di servizi di trasporto in concorrenza con la principale azienda pubblica locale. Anzi, solo un anno fa, il Sindaco di Bucarest Gabriela Firea ha annunciato diverse iniziative di prezzo e prodotto, come nuove tariffe e nuovi servizi per i passeggeri, menzionando direttamente i competitor privati: alleati, e non nemici del servizio di trasporto pubblico locale .

Anche Singapore scelse la privatizzazione della principale compagnia di trasporto pubblico locale. Nel 2016, però, il governo di Singapore riacquistò le azioni della società SMRT, riconquistandone il controllo e la governance. Stiamo parlando di una città - Stato molto più simile ad un’azienda che a un ente pubblico, ma anche questo testimonia le diverse opportunità che possono intercorrere nelle politiche pubbliche: a un cambiamentone possono seguire altri, a seconda delle necessità e delle contingenze.



Un esempio interessante è quello della città di Tirana, in Albania. A seguito della fine dell’epoca comunista, il sistema dei trasporti pubblici locali, era - letteralmente - collassato. Una crisi che investì i servizi e impedì a molti cittadini di poter usufruire di servizi di trasporti di qualità. Nel 1999 iniziarono a entrare nel mercato alcuni furgoni privati che, informalmente, fornivano servizi di trasporto all’interno della città, a un prezzo più alto del competitor pubblico (circa 30% in più). Nonostante questo, in breve tempo il numero di passeggeri trasportati sui furgoni “privati”, superò quello dei passeggeri dei trasporti pubblici (circa 70.000 al giorno). I furgoni privati, pur essendo meno “comodi”, fornivano infatti un servizio migliore, per tratte, velocità ed efficienza. Nessuno dei furgoni privati aveva mai ottenuto una particolare licenza, ma il servizio veniva tollerato dall’amministrazione locale.

Nel 2003 il governo fece alcuni sforzi per poter regolamentare il servizio, avviando un sistema di licenze, di permessi e di regole. L’intento fu quello di creare un sistema di mercato che potesse dare le stesse opportunità e regole alle compagnie: una premessa necessaria per avviare una totale privatizzazione dei trasporti locali, che venne avviata nei primi anni 2000 anche su suggerimento dei consulenti della Commissione Europea che in quella fase affiancavano il governo locale nelle scelte di politiche pubbliche. In soli tre anni, nove linee su dieci di trasporto pubblico vennero privatizzate, con quattro compagnie operative e un considerevole risparmio per i conti pubblici: i sussidi passarono da 150 milioni di Lek (circa un milione e trecentomila euro) a poco più di 20 milioni di Lek all’anno (meno di duecentomila euro).

L’esempio dei “furgoni informali” che invasero le strade di Tirana ci proietta, infine, nell’ultimo scenario, quello dei sistemi di trasporto pubblico contaminati dai nuovi servizi di sharing economy, forniti, quasi esclusivamente, da aziende private. Qualcuno avrà sentito parlare di uberPOOL, servizio di carpooling in condivisione offerto in molte città degli Stati Uniti, che permette di effettuare viaggi in auto a un costo leggermente superiore a quello di un autobus e nettamente inferiore a quello di un taxi. Oggi uberPOOL ha una nuova versione: UberExpressPool, a costi ancora più ridotti perchè - proprio come un autobus - chiede ai passeggeri di camminare fino a qualche centinaio di metri per raggiungere l’auto o il pulmino in condivisione, massimizzando l’efficienza del servizio e riducendo ulteriormente i costi per azienda, autista e passeggeri.

UberExpressPool rappresenta solo una delle decine di alternative al trasporto pubblico locale, che progressivamente stanno assumendo un ruolo sempre più importante nei servizi di mobilità. Dalle bici “free floating”, ai monopattini elettrici, il futuro è sempre più integrato tra servizi pubblici tradizionali e servizi di trasporto innovativo. La sfida alla mobilità locale è quindi avviata: chi avrà il coraggio di innovare avrà l’opportunità di governare il cambiamento, anticiparlo e gestirlo a proprio vantaggio. Ripensare una politica pubblica vuol dire poter provare a rigenerare un servizio che può migliorare o che - come nel caso di ATAC - ha dimostrato di aver fallito. Un cambiamento è necessario oggi più che mai, e il beneficio più immediato, non lo avranno solo i conti pubblici, ma soprattutto i consumatori, i lavoratori e i cittadini.