La 'neutralità attiva' francese: la laïcité alla prova del rapporto con l’Islam
Il modello francese mira all’integrazione dell’Islam nello spazio dei valori repubblicani, uno spazio pubblico condiviso, laico e universalistico. L’alternativa sarebbe la scorciatoia 'multiculturalista', che produce comunità inserite nella società occidentale, ma con regole proprie, anche in contrasto con i valori della democrazia liberale.
Nel momento in cui poniamo il problema del rapporto tra l’Occidente e l’Islam, riconosciamo che l’Islam costituisce un “altro da noi” occidentali, così come, quando il tema è posto da musulmani che vivono in Occidente, possiamo cogliere un “altro da voi”, anche rivendicato. Eppure i musulmani che vivono nei Paesi occidentali sono milioni: 19 milioni nell’Unione europea, secondo dati del 2010, e ormai parliamo di seconde e terze generazioni.
Il tema è divenuto particolarmente saliente negli ultimi decenni, all’aumentare della popolazione musulmana, e ancor più di quella stanziale, con il ricongiungimento delle famiglie – come è stato ad esempio rilevato per il caso francese -, ma anche in corrispondenza di due fenomeni correlati (anche se non sovrapponibili): la radicalizzazione di un Islam politico e il terrorismo di matrice islamista negli Stati occidentali.
Sempre di più l’appartenenza all’Islam si è mostrata ai nostri occhi come una rivendicazione di appartenenza ad una religione/cultura le cui manifestazioni, soprattutto nel comportamento degli individui, in alcune espressioni, ci appaiono non coerenti con valori che riteniamo fondamentali della nostra civiltà, dei traguardi che essa ha faticosamente raggiunto nei secoli. La parità tra uomo e donna costituisce l’esempio più eclatante, insieme al diritto individuale – di donna o uomo che sia – di compiere scelte libere diverse da quelle del proprio nucleo di provenienza.
Ma soprattutto, quella rivendicazione di appartenenza ha assunto anche l’aspetto di una volontà di integrarsi fino a un certo punto, volendo mantenere una coesione comunitaria basata su di una religione/tradizione che si pone come filtro tra l’individuo e la società. In questo contesto si è poi inserito, acutizzando gli aspetti più problematici, il problema del terrorismo, specialmente, come accaduto in Francia, in Gran Bretagna, in Belgio, quando ci si è resi conto che molti giovani terroristi erano nati e cresciuti in Europa. Quelle comunità, dunque, possono divenire anche humus per la violenza terroristica? Naturalmente il rapporto tra i due fenomeni è complesso e di sicuro non deterministico. Tuttavia, è comunque aumentata la percezione del pericolo di certe tendenze “comunitariste”, certo rafforzata da fatti come la provenienza dal quartiere “islamizzato” della periferia di Bruxelles, Molenbeek, di uno degli autori dell’attentato del Bataclan a Parigi.
In un Paese come la Francia, che oggi appare in “prima linea” sulla questione - dopo i gravissimi attentati di gennaio e novembre 2015 a Parigi e del 14 luglio 2016 a Nizza, la proclamazione dello “stato di emergenza”, la recente vicenda del divieto in alcuni comuni di indossare il burqini, vestito da spiaggia inventato per le donne islamiche, che le copre da capo a piedi, ma col viso scoperto, divieto poi sconfessato dal Consiglio costituzionale - tutta questa problematica tocca, poi, un nervo sensibile della cultura repubblicana, ovvero la laicità.
La laicità in Francia costituisce il nocciolo dell’idea di uno spazio pubblico neutrale rispetto al fattore religioso. Come si legge sul sito del governo francese – tanto per comprendere l’importanza che le è attribuita - essa riposa sui principi della libertà di coscienza e di culto, della separazione tra istituzioni pubbliche e religiose e dell’eguaglianza davanti alla legge. Questo spazio, in realtà, non è neutrale, nella misura in cui nessun disegno di uno spazio pubblico può esserlo. Esso poggia su una concezione dell’individuo che trovò la sua più alta espressione nella dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 ed è pensato come uno spazio di libertà, ovvero di libera realizzazione dell’individuo, anche attraverso l’emancipazione dai retaggi dai quali proviene per nascita. Non a caso la laicità non è solo strumento per la libera espressione delle proprie credenze, ma anche per la possibilità di mutarle e per essere liberi di fronte alle religioni. “La laïcité - si legge - n'est pas une opinion parmi d'autres mais la liberté d'en avoir une”.
In realtà noi comprendiamo che è essa stessa un’opinione: l’opinione che sia legittimo per ogni individuo avere la propria opinione. E qui sta la specificità della laicità francese e dunque della religione civile repubblicana che su essa poggia, ovvero l’inevitabile carattere “particolare”, ma al tempo stesso la pretesa “universalistica” (ogni uomo desidera essere libero). Comprendiamo anche come questa libertà d’opinione non sia illimitata, ma sia piuttosto circoscritta da quei valori di eguaglianza, solidarietà e libertà (dell’individuo) che forgiano il repubblicanesimo francese (ma sono anche, di fatto, alla base delle altre democrazie liberali, magari meno culturalmente consapevoli).
Questo orizzonte è oggi messo a dura prova dalla “questione Islam”. Come spiega molto bene in un recente articolo Philippe Portier (Riconoscere e sorvegliare. La gestione pubblica dell’Islam in Francia, «Rivista di Politica», 2/2016), dagli anni Ottanta e in particolare Novanta l’atteggiamento dei responsabili politici in Francia è passato da una sostanziale indifferenza ad un intervento attivo. Questo intervento – accompagnato da dibattiti molto accesi – ha cercato di muoversi all’interno di una difficile composizione tra il riconoscimento delle diversità, nella misura in cui queste non contraddicono l’ordine democratico (e dunque i suoi valori), e il rifiuto della soluzione multiculturale, ovvero dell’idea di una società fatta di comunità giustapposte.
Questa strada ha portato all’adozione di misure volte a imporre la neutralità in ambiti pubblici (ad es. il divieto di indossare il velo a scuola), ma anche a misure educative, come corsi obbligatori di francese ed educazione alla cittadinanza per i nuovi arrivati, nonché il ripristino negli anni Ottanta e il rafforzamento negli anni Novanta dell’educazione civica nelle scuole. Accanto a questo si è condotta una politica di “riconoscimento”, con la creazione, ad esempio, nel 2003, del Consiglio Francese del Culto Musulmano, e più in generale con forme di cooperazione tra istituzioni politiche e religiose, ad esempio per questioni come la gestione degli spazi di culto, che hanno dato luogo anche ad aiuti (come la messa a disposizione dei terreni) per la costruzione di moschee, o altri aiuti indiretti per i luoghi di culto che accolgono anche spazi culturali.
Si potrebbe sostenere che gli sforzi dei governi francesi non abbiano prodotto gli effetti sperati (vi è una certa delusione rispetto ai risultati conseguiti attraverso la collaborazione con il CFCM, ad esempio in materia di preparazione degli Imam), in particolare relativamente all’acutizzarsi del problema del rapporto dello Stato francese con l’universo, peraltro tanto vasto quanto eterogeneo, islamico. Tuttavia, alla luce di quanto accade in altri paesi che accolgono una consistente popolazione musulmana (che, in Francia, è composta da circa 4-5 milioni di persone), è legittimo chiedersi se vi siano situazioni dove si sono ottenuti risultati più soddisfacenti. Ed è altrettanto legittimo soffermarsi sulle difficoltà di piena integrazione di una popolazione che, almeno in alcune sue componenti, spesso quelle più giovani, mostra una certa resistenza verso una piena accettazione dei valori repubblicani (come emerge da un sondaggio citato da Portier).
D’altro canto, che permangano ambiguità lo dimostrano anche alcune voci provenienti dallo stesso mondo islamico, lamentando l’insufficienza dello sforzo di apertura di molti suoi rappresentanti, in particolare di fronte alla minaccia del terrorismo. Così, ad esempio, Hocine Druiche, vice-presidente della Conferenza degli Imam di Francia, dopo l’attentato di Nizza si è dimesso dal suo ruolo, denunciando l’ambiguità e il poco coraggio di molti suoi omologhi e la difficoltà, nel contesto francese, di distinguere tra un Islam religioso ed un Islam ideologico.
La via francese, pur tra incertezze e dissensi all’interno del mondo politico e intellettuale, così come dell’opinione pubblica, sembra comunque procedere nell’orizzonte di uno spazio pubblico condiviso, laico e “universalistico”. Ciò per la convinzione che solo quello spazio possa consentire la sopravvivenza della Repubblica e quindi della democrazia liberale. Come scrissero nel 1989 a Lionel Jospin, in una lettera aperta e critica, Elisabeth Badinter, Regis Debray e Alain Finkielkraut trattando della questione del velo nelle scuole, «La neutralità non è passività, né la libertà è semplice tolleranza. La laicità è sempre stata un rapporto di forze». Come dire che i fondamenti della convivenza repubblicana richiedono una vigilanza e una battaglia costanti, per lo meno quando le religioni (o altri) li mettono in pericolo.
Recentemente, Bernard Henry Levy, in un articolo dedicato alla questione “burqini” (Corriere della Sera, 4/9/16), pur ritenendo quelle ordinanze un errore (una trappola nella quale si è caduti), ha parlato di un’ “offensiva dell’islamismo radicale” anche attraverso l’uso dell’abbigliamento femminile e si è domandato se la discriminazione verso le donne rappresentata dal loro dover essere coperte, a differenza degli uomini, sia davvero – come sostenuto da alcuni – da ritenersi una “questione privata” o se, piuttosto, i diritti acquisiti dalle donne dopo tante resistenze, così come altri diritti, non siano “costitutivi di quell’edificio complesso, fragile e pronto a crollare se cede uno dei suoi pilastri, che è la casa comune repubblicana”.
Il modello francese, se di modello vogliamo parlare, mira ad un Islam che sia Islam di Francia – una preoccupazione costante di questa fase storica, da Sarkozy a Valls – ovvero che possa essere pienamente parte della Repubblica. L’alternativa è la scorciatoia “multiculturalista”, che produce comunità inserite nella società occidentale, ma con regole proprie, anche in contrasto con i valori della democrazia liberale (si pensi alla tolleranza verso l’uso della Sharia in Gran Bretagna), e per questo, nel lungo periodo, potenzialmente in grado di minare le basi dello spazio comune.
INDICE Settembre/Ottobre 2016
Editoriale
Monografica
- La Turchia dal tentativo di nazionalizzazione dell’Islam all’islamizzazione dello Stato
- Perché l’Islam è diventato islamista?
- Un islam europeo? Lo scandalo che è bene che avvenga
- La trasformazione dell'Isis: dalla guerra civile alla jihad globale
- L’internazionalizzazione europea dell’Islam, organizzazione e ideologia
- Musulmani in Italia o Islam italiano?
- A parti invertite: cosa l’Islam italiano può chiedere alla Repubblica Italiana
- La 'neutralità attiva' francese: la laïcité alla prova del rapporto con l’Islam
- Oltre lo stereotipo, contro il pregiudizio. Per un vero dialogo con l’Islam
- L’Italia è un Paese islamofobo?
- I volti del terrore. Chi sono i jihadisti che insanguinano l'Europa?
- Blasfemia e apostasia. La strada in salita della libertà religiosa
Istituzioni ed economia
- La cosa più razionale da fare in Europa: rispettare alla lettera l’utopia
- Lotta al terrorismo e laicità: l’esempio del Bahrain
Innovazione e mercato
- Il suicidio-omicidio del TTIP: quanto è facile dividere la vecchia Europa
- Oro, dollaro, bitcoin, Sardex: facciamo chiarezza